In questo saggio, l'autore ci fornisce una visione completa della democrazia, analizzando come il "fenomeno" abbia mutato forma e sostanza nel tempo fino a proporre un'idea di democrazia "organica" che, a detta sua, sarebbe oggigiorno più "efficace". Il tutto arricchito da citazioni tratte dal pensiero di autorevoli personalità cha vanno da Aristotele a Carl Schmitt, passando per Montesquieu, Sartori, Tocqueville, Michels e tanti altri...
Erroneamente, c'è chi crede la democrazia un "prodotto moderno". Così non è. Fino al XIX secolo il concetto di democrazia non trovò grossa eco in Europa. De Benoist ci suggerisce allora di volgere lo sguardo in Grecia per studiare la "vera" democrazia; una democrazia diretta (tutti i cittadini potevano prender parte all' ekklesia o assemblea, vero organo decisionale) dove "Il popolo governava, invece di eleggere gli uomini incaricati di governarlo".
La democrazia è concepita non in rapporto all'individuo, ma alla comunità organizzata, alla città. Caratteristica principale della sua esistenza è perciò il concetto di cittadinanza, dove cittadino (polites) è chi appartiene a una patria, cioè a una terra e ad un passato.
Anche per il concetto di "libertà" vale la stessa premessa: per il Greco è l'appartenenza a conferire la libertà, essere libero significa avere il diritto di poter partecipare alla vita politica, alla vita della città dunque. Ebbene se la democrazia è inscindibilmente legata al concetto di libertà, e questo è legato a sua volta al concetto di appartenenza a una comunità (cittadinanza quindi), ne risulta che in una città di uomini liberi, l'interesse particolare non può che sottostare all'interesse generale, cioè quello della comunità/città.
Proseguendo nella sua analisi, de Benoist passa in rassegna le critiche che più spesso si muovono oggi contro la moderna democrazia.
Una di queste critiche è quella che vede il "regno dei partiti" attentatore all'unità nazionale. Portando avanti ognuno i propri interessi, sempre divergenti, il gioco politico perde di vista l'interesse generale creando uno stato di "endemica guerra civile".
La democrazia non è poi legata "naturalmente" al concetto di libertà. Sono stati molti i regimi democratici oppressivi e terroristi (si pensi al genocidio vandeano, o alle "democrazie popolari" dell'est-Europa fino al 1989...).
Altra critica è mossa verso chi confonde la democrazia con il liberalismo. Una loro congiunzione, essendo la prima fondata sul concetto di "potere del popolo" e il secondo sui diritti dell'individuo scaturiti da una "naturale" condizione di eguaglianza, appare quantomai complicata. Nello stato democratico è il popolo ad essere sovrano. Altra cosa avviene nello stato liberale dove sovrano diventa il numero.
Proseguendo, l'autore sposta l'attenzione sul concetto di pluralismo e sovranità popolare.
Le moderne democrazie rappresentative vedono nel pluralismo un connotato fondante la democrazia stessa. In altri termini o la moderna democrazia rappresentativa riconosce il pluralismo o non è. Tuttavia riconoscere il pluralismo significa difendere anche quelle "arene" politico-sociali non propriamente democratiche e/o spesso avverse al regime stesso. Posta così, il pluralismo rischia di essere un fattore "disgregante" per la democrazia, più che istitutivo.
Sulla sovranità popolare (espressione democratica per antonomasia...) e sul principio di maggioranza che le è proprio, resta da indicare significato e portata da attribuire a tale principio. Esso può considerarsi allora come un dogma o come una tecnica. Se la osserviamo nell'accezione dogma, è allora la quantità che risulta essere l' extrema ratio; è il numero che fa nuovamente da "sovrano".
Se la consideriamo come tecnica, e assodiamo che il regime liberale vede ogni forma di dominio antidemocratica, è il riconoscimento dei diritti alla minoranza (opposizione) che garantisce il buon funzionamento democratico. Ma riconoscere tali diritti significa riconoscere il pluralismo e tutti i rischi ad esso connessi, non ultimo quello di disgregazione della nozione di popolo, base della democrazia stessa.
Il IV capitolo del libro è dedicato a (ed intitolato) "la crisi della democrazia".
Le moderne democrazie occidentali assumono la forma, per dirla con Dahl, di poliarchie elettive in quanto il popolo delega a chi elegge la "cura di far passare nella realtà le sue decisioni". Il rappresentante, però, delegherà a sua volta parte del compito a collaboratori, funzionari, esperti, e via dicendo. Inoltre il potere politico non è il solo potere esistente nella società (si pensi ad istanze economiche, al potere dei media, ad altre istituzioni culturali, ecc.). I partiti rendono ancor più caotico il contesto: essendo organizzati internamente secondo logiche oligarchiche (R. Michels), essi "pretendono di difendere l'interesse comune, ma difendono in realtà la propria potenza. Contrapposti gli uni agli altri, sono tutti d'accordo per mantenere il regime dei partiti".
L'elettore, che dovrebbe essere il "protagonista" del regime democratico, fa in realtà la parte della "comparsa"; si aggiunga poi che tanto è più alto il numero dell'elettorato, tanto più l'importanza del singolo voto si marginalizza: se votano 40 milioni di persone, il voto del singolo non è che la 40 milionesima parte della volontà generale. Questa demoralizzante condizione dell'elettore è aggravata dal fatto che la volontà popolare non è mai autodeterminata, ma quasi sempre "fabbricata" da tecniche di condizionamento dell'opinione ad opera degli organi di informazione. "Pubblicità e marketing hanno raccolto il testimone della propaganda. Nessun dispotismo era fino ad oggi riuscito a far accettare così passivamente una simile Gleichschaltung (messa al passo)".
La limitata durata del mandato non può che aggravare la situazione. I programmi politici dei candidati tenderanno infatti a concentrarsi su politiche che mirano al breve termine. Puntando tutto sulla "seduzione" per poter raccogliere il più alto numero di voti possibile, i programmi elettorali saranno scarni, a scarsissimo carattere ideologico e per lo più standardizzati; lasciando l'elettore con la sensazione che "tutti gli uomini politici dicono le stesse cose".
Per finifre, Alain de Benoist ci indica la direzione "verso una democrazia organica". Sapendo già da Aristotele che una democrazia non può esistere in stati con troppe persone, sembrerebbe impossibile proporre tale regime in un contesto come quello contemporaneo. Eppure la nostra società si compone di una multitudine di comunità (regioni, comuni, municipi, ecc.). E' qui che la democrazia può trovare espressione nella sua forma più "pura" ed originaria: quella diretta.
Altra forma di espressione diretta è il plebiscito (oggi referendum). Essendo la democrazia fondata sul concetto di partecipazione, quale mezzo migliore dell'iniziativa popolare per far sentire la collettività realmente partecipe?
Per partecipare, poi, è indispensabile riconoscersi nel contesto in cui la partecipazione avviene; da quì risulta indispensabile riprendere il concetto greco di cittadinanza, dove l'interesse comune non sottostà a quello individuale, ma, al contrario, l'individuo assume coscienza di sé proprio perchè appartenente a una collettività.
In una siffatta società, dove l'idea di patria assumerebbe un'importanza centrale, è il sentimento di fratellanza che diventa fondamento non solo della solidarietà, ma anche della giustizia sociale, del patriottismo e della partecipazione democratica.
Gran bell'articolo! Stavolta er Nobis mi ha proprio stupito...!
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