mercoledì 21 aprile 2010

Neoterocrazia e Nuovo Umanesimo



In molti atenei italiani vi saranno a breve le elezioni accademiche, sicché torna a farsi attuale il dibattito sui programmi delle varie liste che intendono cambiare l’Università. Già da questo semplice enunciato emergono due interrogativi: ma perché solo quando ci sono le elezioni si comincia a parlare di programmi? Ma i vari soggetti politici la vogliono cambiare per davvero questa Università?  

È noto d’altronde che l’elettorato studentesco universitario è particolarmente abulico e indifferente, soprattutto se si tratta di parlare di riforme che possano migliorare il nostro sistema accademico: infatti lo studente medio si iscrive, studia, fa gli esami e non vede l’ora di avere il pezzo di carta per poi potersi gettare a capo fitto nel mondo del lavoro. Vanno bene le battaglie per ottenere la mensa di facoltà o per attrezzare una navicella che ci porti comodamente in sede ma, per quanto riguarda lo studio, «volete cambiare le cose? Basta che non mi scombinate le carte in tavola e che mi lasciate laureare in pace». Legittimo per carità… Ma allora dov’è la democrazia? Dov’è la tanto sbandierata coscienza civile degli studenti-cittadini? Dov’è la partecipazione? Mistero: miracoli della democrazia delegata…  

Ma a parte la stragrande maggioranza degli studenti (circa il 90%, se non il 99,9), alla quale stanno a cuore solamente taluni aspetti burocratici (priva cioè di una visione ad ampio respiro), coloro che si occupano di politica nelle università ci sono. Senza perderci in complicate divisioni e suddivisioni, possiamo osservare che le posizioni principali sono essenzialmente due: gli uni avversano l’entrata dei privati (sotto qualsiasi forma) negli atenei, gli altri si battono invece contro lo strapotere dei «baroni». Posizioni entrambe condivisibili, benché con alcune riserve.  

Entrambe, tuttavia, nascondono il rovescio della medaglia. I primi infatti contribuiscono all’isolamento delle università italiane, sganciate pressoché totalmente dal mondo del lavoro, e divenute oramai meri stipendifici. Sicché i «baroni» non possono che rallegrarsi di questi fidi custodi (consapevoli?) dei loro privilegi, a cui non mancano conseguentemente di offrire il proprio appoggio. I secondi, al contrario, folgorati dal sistema universitario-aziendale statunitense, invocano giustamente la meritocrazia, senza preoccuparsi tuttavia della calata dei barbari privatizzatori, dell’arrivo cioè di nuove lobbies che andranno a scontrarsi con le oligarchie dominanti in una guerra senza quartiere, la posta in palio della quale non è certamente il bene supremo: la «salute» dell’Università.  

Ma giacché noi pensiamo che la salus publica (o universitaria) sia suprema lex, non ci curiamo né degli interessi dei «baroni», né di quelli dei privati rampanti. Ben vengano allora i finanziamenti esterni, purché scrupolosamente disciplinati e subordinati al bene comune (cioè dell’Università, cioè nostro), e ben vengano anche l’autonomia e la libertà di ricerca degli atenei, purché non più facili prede della tirannia «baronale».  

Al di là però di questi delicatissimi temi, esiste un problema fondamentale, che precede gerarchicamente tutti gli altri. Ossia l’idea che noi abbiamo di Università, il ruolo cioè che essa deve rivestire nel destino di una nazione.  

Il Blocco Studentesco, volendo superare le vetuste contrapposizioni e rianimando un sano «Sindacalismo universitario», propone essenzialmente due punti imprescindibili: la partecipazione attiva ed effettiva degli studenti alla politica accademica; una rivoluzione culturale

La presenza degli studenti nei vari organi consiliari universitari infatti, sic stantibus rebus, altro non è che il contentino gentilmente elargito dalle alte gerarchie accademiche agli indomiti (?) giovani. Qualche formale chiacchierata in sede di assemblea, e gli arcigni (?) ragazzotti investiti del potere (?) si illudono di contare qualcosa. Senza un’adeguata presenza studentesca nei vari organi universitari, infatti, è inutile e offensivo venirci a parlare di «democrazia», «partecipazione», «potere degli studenti» e amenità varie, dal momento che, al massimo, fungiamo da innocui soprammobili in sede assembleare. Al contrario l’insediamento del 50% di studenti eletti in ogni organo d’ateneo, dal Senato al Consiglio d’Amministrazione (importantissimo!), unito al diritto di veto in merito ai provvedimenti fondamentali, rappresenta la condicio sine qua non per poter almeno tentare di realizzare i nostri programmi, e sicuramente per poter incidere maggiormente nella politica d’Ateneo.  

«Neoterocrazia», dunque, la Giovinezza al Potere. Il primo punto è proprio questo: è da noi giovani che deve (ri)cominciare la nostra azione (l’indign-azione la lasciamo ai piagnoni), senza padri putativi e padrini, senza deleghe e santi crismi.  

Il secondo punto è, invece, la già accennata rivoluzione culturale. Progetto troppo ambizioso? Termine eccessivamente roboante? Forse. Ma noi non abbiamo paura di nulla, neanche delle parole. E certamente non abbiamo timore nel concepire un’Università nuova, rinnovata, che sia l’avanguardia della futura Europa politicamente libera e sovrana, finalmente padrona del proprio destino. Ed è dall’Italia, come ieri, come sempre, che divamperà il salutare incendio della rivoluzione, poiché – come noto – il fuoco, oltre a distruggere, purifica.  

Il 4° punto del programma del Blocco Studentesco Università, il cosiddetto «Progetto Piattaforma», infatti, contiene in sé i germogli di un «Nuovo Umanesimo». Vediamo perché.  

Ogni materia consta solitamente di un corso istituzionale – il quale prevede l’apprendimento del relativo manuale, e che intende quindi fornire allo studente le conoscenze di base della materia stessa –, di un corso monografico e di un corso specialistico (quest’ultimo di norma riservato agli studenti delle Lauree Magistrali). Il corso monografico e quello specialistico rappresentano (o meglio: dovrebbero rappresentare) l’autentico e più genuino livello superiore di insegnamento universitario. Con grande amarezza, tuttavia, ci rendiamo presto conto che, nella stragrande maggioranza dei casi (non mancano però virtuose eccezioni), questi corsi risultano essere dei meri «prolungamenti» o «riproposizioni» del modulo istituzionale, benché affrontino uno specifico tema in maniera più circostanziata.  

Il problema non risiede però – come un’analisi affrettata potrebbe suggerire – nei programmi, bensì nel METODO di insegnamento. In effetti, se ci fate caso, le modalità attraverso le quali tali corsi vengono svolti non differiscono poi molto da quelle dei «corsi-base»: il professore, di fronte a una platea più o meno vasta, spiega – spesso ininterrottamente – per una o due ore l’argomento del giorno, magari riservando le domande e le delucidazioni alla fine della lezione; egli fornirà poi una o più opere monografiche di riferimento e il gioco è finito. E noi studenti? Che cosa abbiamo ottenuto? Abbiamo imparato qualcosa di nuovo, certo. Ma altrettanto certamente abbiamo «subìto» la lezione in maniera passiva, con la consapevolezza magari che parte di quanto abbiamo appreso sbiadirà lentamente col tempo (è inevitabile). E allora, che cosa ci rimane? Nozioni, per quanto importanti e fondamentali, ma nient’altro che nozioni. E purtroppo non abbiamo invece imparato un METODO, una forma mentis realmente scientifica, la quale dovrebbe essere il vero fine dell’insegnamento universitario. Infatti una nozione può sbiadire, ma un metodo – se ben acquisito – rimane per sempre.  

Ebbene, il «Progetto Piattaforma» prevede, in luogo dei corsi monografici e specialistici, l’istituzione di SEMINARI, traendo ispirazione dal modello tedesco. Un’ispirazione che – si badi bene – non è però brutale «trapianto» di un sistema in un differente contesto. Tali seminari, dunque, che potranno essere divisi in due o più categorie a seconda del livello di difficoltà, saranno composti da un numero massimo di 25 studenti, seguiranno gli stessi calendari dei corsi monografici e specialistici (quindi anche per quanto riguarda la quantità di ore e l’offerta di CFU), e sarà richiesta la frequenza obbligatoria. In questi seminari gli studenti parteciperanno attivamente alle lezioni tramite relazioni (i Referate tedeschi), ricerche personali e discussioni aperte. E il professore? Di certo non scomparirà, ma diverrà un supervisore delle lezioni, con la facoltà – si capisce – di rettificare, riprendere, consigliare, ecc. gli studenti, con i quali instaurerà un continuo e proficuo rapporto dialettico da primus inter pares. Gli esami saranno preferibilmente composti da:  
- una tesina di circa 10-12 pagine (ma la mole del lavoro sarà determinata dalla quantità di CFU prevista dal corso), il cui tema sarà concordato preventivamente con il docente;  
- una breve parte orale (10-15 minuti) a lavoro concluso, nella quale si discuterà del proprio elaborato.

Il ristretto numero di studenti partecipanti a un singolo seminario, inoltre, darà la possibilità di organizzare più corsi per materia, che dovranno essere affidati alla direzione di giovani e volenterosi ricercatori, i quali, riscattati dalla loro triste condizione di «portaborse» dei professori, potranno far mostra delle loro capacità e del loro valore.  

Ovviamente ogni Corso di Laurea avrà seminari ad hoc e confacenti alla propria precipua natura. Ad esempio, per quanto riguarda l’insegnamento delle scienze naturali, essi potranno essere costituiti da corsi superiori da svolgersi in laboratorio.

Tali seminari-laboratori dovranno essere infine il collegamento indispensabile tra il mondo accademico e il mondo del lavoro. Quest’ultimi, infatti, non possono assolutamente restare – come ora – due compartimenti stagni, non comunicanti tra loro. 

Ai più non sarà sfuggita l’intrinseca portata rivoluzionaria di questo progetto. Una rivoluzione – come dicevamo – eminentemente culturale, poiché si tratta di scegliere tra i due concetti contrastanti di istruzione (il dispensare cioè unicamente nozioni), da una parte, e di FORMAZIONE o EDUCAZIONE, dall’altra. «Educare» significa infatti etimologicamente (dal latino e-duco) ‘condurre fuori’, suscitare ed alimentare energie, accompagnare lo studente fuori dagli angusti confini del sapere preconfezionato (il manuale o il monologo del docente) verso una superiore consapevolezza delle proprie qualità intellettuali. Significa risvegliare e potenziare il senso critico del discente, educarlo ad un METODO. È la scelta tra il soliloquio e il DIALOGO

È dunque una rivoluzione «umanistica»: se nel Medioevo, infatti, l’auctoritas del professore era «sacra e inviolabile» (della serie ipse dixit: «è così perché l’ha detto lui»), la rivolta culturale dell’Umanesimo italiano generò invece maestri come Guarino Guarini e Vittorino da Feltre, le scuole dei quali erano luoghi di alta formazione intellettuale in cui il docente dialogava continuamente e cooperava pariteticamente con i suoi discepoli. Una formazione che non era però strettamente «umanistica» (nel senso di studia humanitatis), bensì organica e completa, grazie allo studio delle scienze naturali, giuridiche, matematiche, mediche, artistiche e grazie all’indispensabile esercizio fisico. Una formazione che era anche gioco e divertimento, tanto che alla scuola mantovana di Vittorino fu dato il significativo nome di «Zoiosa».

Si tratta quindi di un ideale universitario che si riconnette, prima ancora che al modello seminariale tedesco (che ne è invece derivazione), alla nostra tradizione nazionale e continentale. Un ideale di Rinascimento che, sorto in Italia, infiammò tutta l’Europa. E così, oltre a Leonardo, Michelangelo, Alberti e Machiavelli, avemmo Rabelais, Erasmo, Montaigne e Moro, per non dire di tanti altri.

E non è certo un caso che il meraviglioso manifesto del Blocco «L’Università che vogliamo», così come la copertina di «Idrovolante», ritragga la Scuola di Atene di Raffaello, in cui centralmente domina la figura di Platone, il filosofo della critica e del dialogo.  

È dunque grazie all’esempio dei nobili padri della nostra civiltà che la nuova gioventù d’Europa si riapproprierà del suo ruolo nella Storia. È da qui che prenderà vita l’«Uomo nuovo», l’«Uomo del Terzo Millennio», il quale si appresta a tornare faber suae fortunae, ossia artefice del proprio destino.  

La «Neoterocrazia» e questo «Nuovo Umanesimo» rappresentano, in definitiva, la volontà degli studenti di diventare finalmente protagonisti della vita universitaria, senza timori e complessi di inferiorità. Sono la nostra marinettiana «sfida alle stelle», ossia la riaffermazione del sacrosanto diritto e dovere di costruire il nostro futuro, attivamente, potentemente, categoricamente.

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giovedì 8 aprile 2010

Intervista a Francesco Polacchi



Francesco Polacchi è nato a Roma nel 1986. Studente di Scienze storiche presso l’università di Roma Tre, è responsabile nazionale del Blocco Studentesco.


Quali sono i miti, gli autori e le esperienze che consideri parte integrante del tuo bagaglio politico-culturale?


Cercherò di essere sintetico... Trovo la Storia molto divertente: credo che sia molto più simpatica e meno noiosa di come ce la si voglia far passare di questi tempi; credo cioè che nulla avvenga mai per caso e che il passato esista sia perché debba riproporsi sia perché gli uomini debbano carpire gli insegnamenti degli avi in situazioni completamente differenti da come si erano proposte in precedenza.
I periodi storici in cui più ritrovo lo spirito e le linee guida della mia azione sono l’Impero Romano, anche se sono consapevole che in mille anni di storia (considerandolo quindi dall’atto della fondazione di Roma quale Imperium) tanti sono stati i momenti e i motivi che lo hanno portato alla sua implosione; l’Impero di Federico II quale più longeva e fresca espressione della nuova sintesi delle idee Imperium, popolo e rivoluzione sociale e amministrativa nell’artecrazia e infine, ovviamente, il Fascismo. Inoltre ci sono altri momenti quali il Risorgimento, il periodo napoleonico o alcuni altri imperatori «medioevali» (uso le virgolette perché odio la parola «medioevo» in quanto vorrei sapere quale epoca non è un passaggio tra due epoche???). Come autori ho sempre svariato: da Degrelle a Palahniuk, da Sun Tzu a Bunker, da Omero e Virgilio a Fante e Bukowski...


Che cosa è stato secondo te sinteticamente il Fascismo? Alcune sue intuizioni e proposte possono essere valide ancora oggi?

In senso lato il fascismo è stata la grande poesia del XX secolo; l’originale sintesi tra la moderna idea di Stato, le nuove esigenze della società con una visione del mondo lontana dall’essere contingente e immanente. In senso stretto fu ciò che trasformò l’Italia da un paese agricolo a una nazione industriale.
Molte sono le intuizioni che possono essere ancora valide, come la politica sulla casa di proprietà, sulla socializzazione delle imprese, su un’economia guidata (non bloccata) dallo Stato, sulla costruzione di grandi infrastrutture, la lotta alla mafia... tutte cose che ormai sono tristemente cadute nel dimenticatoio perché il fascismo è oggetto di una damnatio memoriae che non concede sconti.


Come e perché nasce il Blocco Studentesco? Qual è la sua «missione»?

Non siamo religiosi, quindi in un certo senso non crediamo alle «missioni»... però accetto la provocazione e dico che la nostra volontà è quella di riportare la partecipazione politica tra i giovani in un periodo storico in cui si fa di tutto per andare nella direzione opposta; d’altronde: meno domande e meno curiosi = meno problemi. Questo è un po’ il perché. Sul come la cosa è molto divertente. Ufficialmente il Blocco Studentesco nasce il 12 settembre del 2006 a CasaPound, ma l’idea era nata qualche mese prima sulle scale quando mi ritrovai con Davide di Stefano a parlare con Gianluca Iannone il quale ci disse un po’ per gioco: «perché non fate un movimento studentesco?». Detto fatto e, così come in altre situazioni, la nascita del Blocco non deve essere vista come chissà quale operazione studiata nelle segrete da chissà quanto tempo... Sicuramente però è stato proprio il momento giusto per partire!


In che stato si trova l’attuale sistema dell’istruzione nazionale?

Non bene. Troppi finanziamenti alle scuole private e poca attenzione al settore pubblico in cui molto spesso gli addetti non fanno il loro dovere avvalorando la tesi di chi vorrebbe privatizzare anche l’aria che si respira.


Come giudichi le ultime riforme della Gelmini in materia di scuola e università?

Non sono poi così negative. A me fa sorridere il fatto che tutte le manifestazioni di protesta che furono fatte nell’autunno 2008, a parte pochi interlocutori tra cui noi!!!!, non avevano idea su cosa andare a parare. Noi volevamo bloccare la legge 133, gli altri al massimo il grembiule e il maestro unico: assurdo. Tornando a bomba: la riforma sugli accorpamenti dei licei era necessaria così come il riordino degli istituti tecnici; altre cose come le norme antibullismo e il voto in condotta sono palliativi populistici. Sull’università, fermo restando la nostra assoluta contrarietà alla legge 133 voluta dalla finanziaria del 2008, gli interventi contro il baronato e in favore della maggiore trasparenza di assegnazioni e fondi non possono che farmi piacere.


Tu conosci molto bene gli interessi politici che gravitano intorno alla scuola. Quali sono i veri centri di potere che dettano l’agenda in fatto di istruzione?

Con la legge 133 si concede la possibilità a terzi di entrare nei consigli di amministrazione degli atenei. Il problema è che così facendo le materie umanistiche andrebbero ovviamente a soccombere e materie più tecniche a essere favorite. In più la mia grande paura è relativa alla possibile intromissione delle multinazionali farmaceutiche.


Che modello di scuola/università propone il Blocco? Come intende realizzarlo?

La scuola e l’università devono essere i luoghi in cui si formano le coscienze delle nuove generazioni e la professionalità della classe dirigente del futuro. Anche se non devono essere viste come scuole di lavoro, è chiaro che devono rappresentare la piattaforma di lancio per gli studenti nella società civile, cioè in quella dei «grandi». Oggi assistiamo purtroppo alla distruzione della comunità scolastica in nome di una più proficua e con meno problemi scuola-azienda che nell’università è già diventata una realtà. Per raggiungere questo obiettivo puntiamo sulla ricostruzione di un movimento che sia al tempo stesso una vera e propria comunità di giovani dediti quotidianamente alle attività politiche seguendo i nostri princìpi basilari. È nell’azione quotidiana che si possono gettare le fondamenta per il futuro e, nel frattempo, concorrere a qualsiasi tipo di elezione dove far valere le nostre idee riportando lo spirito di trincea che ci contraddistingue.


Ultimamente stiamo purtroppo assistendo a un continuo crescendo di tensione con le formazioni della cosiddetta «sinistra antagonista», tanto che alcuni – probabilmente in maniera esagerata – fanno paragoni con gli anni piombo. A chi e a cosa giova questa situazione?

Il paragone con gli anni di piombo è assolutamente esagerato... qualcosa è cambiato, non tutto, ma qualcosa sì. Questa situazione giova moltissimo all’estrema sinistra in quanto, essendo ormai sconfitti dalla Storia, possono trovare un motivo per continuare a esistere solo nel cannibalismo politico, cioè solo nutrendosi delle altrui battaglie per avere qualcosa da contraddire, qualcosa contro cui opporsi. In più questa situazione fa gola a tutti i finti democratici che trovano l’occasione per poter aprire bocca e darle fiato, usando il linguaggio politichese per affermare cose banalissime e avere un minimo di visibilità nonostante la loro inconsistenza politica.


Questa domanda è quasi d’obbligo. Che significato ha avuto l’ormai celebre manifestazione anti-Gelmini dell’autunno 2008? All’inizio sembrava che si fosse veramente riusciti a realizzare una protesta corale e trasversale, al di là delle vecchie contrapposizioni politiche. Poi che cosa è successo?

C’era una volta una manifestazione studentesca... il Blocco e le incredibili vicende di piazza Navona. Nelle due settimane precedenti al 29 ottobre il nostro movimento era impegnato in una vera e propria agitazione studentesca partecipando a manifestazioni, cortei, sit-in, assemblee straordinarie, occupazioni di innumerevoli scuole per contestare la legge 133 (che fa parte della finanziaria 2008) e tutto questo ovviamente con studenti di qualsiasi opinione politica... il 29 ottobre era l’ultimo giorno.


Il Blocco Studentesco si sta espandendo in tutta Italia, contando numerosi militanti e decine di migliaia di simpatizzanti. Qual è il segreto di questo successo? Che cosa rappresenta il Blocco per le nuove generazioni?

Il Blocco è il nuovo che avanza, è l’irrazionale voglia di vivere, è un’esplosione di vitalità che non tutti riescono a capire, ma con cui tutti devono fare i conti. Credo che il segreto del successo vada rintracciato nell’impegno costante dei militanti che con i loro sacrifici portano «avanti la baracca» e nell’organizzazione scientifica del da farsi. Quando a questi due elementi si aggiunge un contenuto rivoluzionario il resto vien da sé.


In cosa invece il Blocco, secondo te, deve ancora migliorare?

Si deve sempre migliorare in tutto, la perfezione non è di questo mondo, ma tendendo costantemente ad essa si migliora tutti i giorni.


Feste, sport, concerti. Che importanza rivestono questi eventi per la politica del Blocco?

Sono mezzi importanti per dimostrare realmente la nostra essenza. Mostriamo a tutti come ci divertiamo ai nostri concerti e alle nostre feste, condividendo con gli altri la nostra innata propensione al sorriso e al divertimento. Insomma tutto il contrario di quello che dicono alcuni giornali descrivendoci come pazzi asociali assetati di sangue. Senza tralasciare poi l’importanza economica che rivestono tali eventi, essendo quasi l’unica fonte di autofinanziamento per il gruppo.


Che ruolo giocano le nuove tecnologie all’interno della militanza politica del nuovo millennio?

Un ruolo importantissimo, basti pensare che subito dopo gli scontri di Piazza Navona abbiamo messo su youtube il nostro video-verità che ci ha permesso di mostrare a tutti come erano andate realmente le cose. Per non parlare dell’importanza che riveste la grafica nei nostri manifesti e nei nostri volantini. È un altro campo in cui dimostriamo di essere avanguardia.
Se nel ’900 era il cinema l’arma più forte, nel terzo millennio è internet a rivestire il ruolo di protagonista indiscusso.


È nato da poco «Idrovolante», il trimestrale del Blocco Studentesco all’università. Quanto è importante la battaglia culturale per un’organizzazione come il Blocco? Quali sono le linee-guida e le idee-forza della nuova cultura che si intende proporre?

La battaglia culturale è la battaglia più importante. Tramite il nostro giornalino, le nostre assemblee e le nostre conferenze stiamo di fatto portando avanti una piccola rivoluzione culturale. In Italia, purtroppo, dal secondo dopoguerra in poi la sinistra ha monopolizzato questo settore servendosi di case editrici, cantanti, autori, comici, per far credere a tutti che la «cultura sta a sinistra». Si sono volutamente criminalizzati autori come Pound, Céline, La Rochelle e gettati nel dimenticatoio avvenimenti storici come la tragedia delle foibe. Tutto ciò che non piaceva all’intellighenzia salottiera era considerato non cultura. CasaPound ha rivoluzionato tutto questo, diventando un vero e proprio laboratorio culturale dove si parla di tutto e tutti possono parlare.
Inevitabilmente questo dà fastidio a qualcuno che ha smarrito ormai presa sulle masse e vivacità culturale.
Passando alle linee-guida e alle idee-forze credo che i manifesti dell’EstremoCentroAlto e della Neoterocrazia raffigurino in versi la nostra «idea di mondo».


Quali sono i prossimi obiettivi del Blocco? Quali le prospettive?

Gli obbiettivi sono molti e le sfide più grandi sono quelle che ci entusiasmano di più. Quest’anno abbiamo raggiunto risultati importanti alle elezioni della Consulta Provinciale degli studenti, prendendo 4 presidenti e una marea di voti, poi ci saranno le elezioni universitarie, le prime a cui partecipa il Blocco e ogni anno ci sono le elezioni all’interno dei vari licei. Abbiamo organizzato una festa con quasi mille persone al Piper, storico locale romano, e il 7 Maggio staremo in piazza per la Giovinezza al potere. L’obbiettivo principale è quello di risvegliare questa generazione dallo stato confusionale in cui è stato trascinato dall’attuale società dei consumi, ma soprattutto vogliamo volere e affermare!


Che cosa ti aspetti dalla manifestazione nazionale del 7 maggio?

Immagino migliaia di persone che colorano la città con fumogeni e bandiere, allegria incontenibile mista a rabbia da urlare in faccia a chi ci dice che va tutto bene e a chi ci vorrebbe morti. Dimostrare a tutti che siamo noi la meglio gioventù.



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