tag:blogger.com,1999:blog-20842201973026698132024-03-01T06:39:06.958+01:00AVGVSTOSICVT FVLMINA FVRENTEStriFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.comBlogger197125tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-67866754268652787992014-01-17T12:08:00.000+01:002014-01-17T12:08:22.276+01:00Marx e Gentile: idealismo è rivoluzione<div style="text-align: justify;">
<i>Articolo pubblicato in «<a href="http://www.ilprimatonazionale.it/" target="_blank">Il Primato Nazionale</a>», 6 gennaio 2014.</i></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNzLvFZ3iOnNepauoPu3YAwxKUv-DHSvGCTZZvzuyNkH_j56oNuoUhHFILbfeI-44Eu2VnaD9aYjfC56cfmrhHtz5ttFbkPEr30jD5s0iKFObAUm6JAjL_2ps_-7e1g7byHvM3L_xUYB4/s1600/Idealismo_e_prassi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjNzLvFZ3iOnNepauoPu3YAwxKUv-DHSvGCTZZvzuyNkH_j56oNuoUhHFILbfeI-44Eu2VnaD9aYjfC56cfmrhHtz5ttFbkPEr30jD5s0iKFObAUm6JAjL_2ps_-7e1g7byHvM3L_xUYB4/s1600/Idealismo_e_prassi.jpg" /></a>Il mondo non dobbiamo necessariamente accettarlo così com’è. L’uomo ha sempre la possibilità, grazie alla sua volontà creatrice, di trasformalo. È questo, in sostanza, il messaggio che ci viene dalla tradizione filosofica dell’<b>idealismo</b>. Ed è sempre questo il <i>fil rouge</i> lungo cui si dipana l’interessante volume di <b>Diego Fusaro</b> <i><a href="http://www.ibs.it/code/9788870188899/fusaro-diego/idealismo-prassi-fichte.html" target="_blank">Idealismo e prassi: Fichte, Marx e Gentile</a></i> (Il melangolo, pp. 414, € 35), uscito da qualche mese nelle librerie italiane.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L’autore, giovane filosofo torinese e ricercatore presso l’Università San Raffaele di Milano, è tra le altre cose il fondatore di <i><a href="http://www.filosofico.net/filos1.html" target="_blank">filosofico.net</a></i>, il sito internet in cui, volenti o nolenti, sono incappati quasi tutti gli studenti di filosofia. Fusaro inoltre, a dispetto dell’età, ha già dato alle stampe diverse e interessanti opere, come <i><a href="http://www.ibs.it/code/9788845263941/fusaro-diego/bentornato-marx-rinascita.html" target="_blank">Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario</a></i> (2009) e <i><a href="http://www.ibs.it/code/9788845270130/fusaro-diego/minima-mercatalia-filosofia.html" target="_blank">Minima mercatalia: filosofia e capitalismo</a></i> (2012). Più in particolare, Fusaro appartiene a quella sinistra, purtroppo minoritaria, che ha come esponenti di punta il compianto <b>Costanzo Preve</b> e <b>Gianfranco La Grassa</b>. Quella sinistra cioè che, nell’epoca del dilagante trasformismo della sinistra «istituzionale», non ha rinunciato ai padri nobili della sua tradizione culturale e a una critica serrata dell’odierno capitalismo, ossia il capitalismo finanziario (o «finanzcapitalismo», secondo la definizione di <b>Luciano Gallino</b>).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Insomma il postcomunista Pd, rinnegando la sua storia, ha ceduto in tutto alle logiche del capitale, costituendone anzi una delle «sovrastrutture» ideologiche (per usare il linguaggio marxiano) con la sua <a href="http://www.lospiffero.com/cronache-marxiane/la-tirannia-del-politically-correct-13904.html" target="_blank">bieca retorica del politicamente corretto</a> e la paradossale difesa della legalità e delle regole (capitalistiche). Come direbbe Fusaro, <a href="http://www.lospiffero.com/cronache-marxiane/se-il-capitalismo-diventa-di-sinistra-9837.html" target="_blank">si è passati da Carlo Marx a Roberto Saviano, da Antonio Gramsci a Serena Dandini</a>.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Di qui la rivolta del giovane filosofo che, rileggendo Marx, offre una chiara interpretazione del pensatore di Treviri come <b>nemico di ogni supina accettazione dell’esistente</b>, ponendo in rilievo gli aspetti idealistici del suo pensiero. Di qui, anche, il rifiuto di ogni pensiero debole postmoderno e l’assunzione da parte della filosofia di una <b>funzione interventista e attivistica</b>. La filosofia, dunque, non più vista come mera erudizione estetizzante o come cane da guardia del «migliore dei mondi possibili», ma come strumento per trasformare la realtà. Una filosofia, insomma, che riacquista finalmente la sua dimensione epica ed eroica, come la intendeva <b>Giovanni Gentile</b>.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaB1X26RZAfuOrbkpV2BHSedC-k8hn29Jz6FYN4loXv734aFB93yxzbk2Mnui_gAQn9SUxg8TSQsJ-AkTzy4ZWb3PGdyd-pkLDFQ09P_NPovN7J6gov5O_CTgIgKhdkQiW9wkFqBkZufU/s1600/Fusaro_Marx.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaB1X26RZAfuOrbkpV2BHSedC-k8hn29Jz6FYN4loXv734aFB93yxzbk2Mnui_gAQn9SUxg8TSQsJ-AkTzy4ZWb3PGdyd-pkLDFQ09P_NPovN7J6gov5O_CTgIgKhdkQiW9wkFqBkZufU/s1600/Fusaro_Marx.jpg" height="240" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Diego Fusaro con il suo libro su Marx</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
Ed è proprio al filosofo di Castelvetrano e al suo rapporto con Marx che Fusaro dedica pagine importanti del suo nuovo libro, proponendo un’interpretazione certamente unilaterale del pensiero marxista, ma tutt’altro che illegittima. È in particolare il Marx delle <i>Tesi su Feuerbach</i> che emerge prepotentemente dall’opera di Fusaro: quel Marx che criticava il materialismo «volgare» dello stesso Feuerbach e che si concentrava maggiormente sul concetto di prassi – quella prassi che, contro ogni determinismo, era sempre in grado di rifiutare una realtà sentita come estranea per fondare un nuovo mondo. <b>La prassi, quindi, come fonte inesauribile di rivoluzione</b>.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Non è un caso, del resto, che sarà proprio Gentile a valorizzare il Marx filosofo della prassi, in quel famoso volume (<i>La filosofia di Marx</i>, 1899) che <b>Augusto Del Noce</b> indicò, non senza qualche evidente esagerazione, come l’atto di nascita del fascismo. Nonostante una ottusa <i>damnatio memoriae</i> che ancora grava su Gentile, ma che è già stata messa in crisi da molti autorevoli filosofi (<b>Marramao, Natoli, Severino</b>, ecc.), Fusaro riafferma la indiscutibile grandezza filosofica del padre dell’attualismo. Lo definisce giustamente, anzi, come <b>il più grande filosofo italiano del Novecento</b>. Non per una mera questione di gusto o di tifo, naturalmente, ma per un fatto molto semplice: tutti i filosofi italiani del XX secolo, nello sviluppo più vario del loro pensiero, si sono necessariamente dovuti confrontare con Gentile. «Gentile – scrive l’autore – sta al Novecento italiano come Hegel – secondo la nota tesi di Karl Löwith – sta all’Ottocento tedesco».</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Fusaro, dunque, ricostruisce tutto quel percorso intellettuale che da Fichte, passando per Hegel e Marx, giunge sino a Gentile che, non a caso definito <i>Fichte redivivus</i> da <b>H. S. Harris</b>, chiude il cerchio. Di qui l’interpretazione dell’<b>atto puro</b> di Gentile alla luce della prassi marxiana, così come, per converso, la lettura di Gramsci come «gentiliano» che ha conosciuto Marx filtrato dal filosofo siciliano. Tesi, quest’ultima, tutt’altro che nuova (pensiamo anche solo ai recenti lavori di <b>Bedeschi</b> e <b>Rapone</b>), ma che ancora non ha fatto breccia negli ambienti semi-colti del «ceto medio riflessivo» che legge <i>Repubblica</i>, ripudia Gramsci e ha per guru Eugenio Scalfari.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGGRtdZetT2264OoXmCVlLrLuHT24rpD5I1XQneUPjS1E-sdkszCK7UPFZShA7qn62SwQub2TGzXhA9zYAwNmcEsTXYxypNovVNosNVpwC_EOR6NE6GgjVRz43375WUVxd2OTPAtjiDBE/s1600/palazzo_civilt%C3%A0_lavoro.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGGRtdZetT2264OoXmCVlLrLuHT24rpD5I1XQneUPjS1E-sdkszCK7UPFZShA7qn62SwQub2TGzXhA9zYAwNmcEsTXYxypNovVNosNVpwC_EOR6NE6GgjVRz43375WUVxd2OTPAtjiDBE/s1600/palazzo_civilt%C3%A0_lavoro.jpg" height="214" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Il Palazzo della civiltà italiana o della civiltà del lavoro, <br />comunemente noto come «colosseo quadrato» (Eur, Roma)</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
Ad ogni modo, non mancherebbero le obiezioni ad alcune tesi di Fusaro sul rapporto di Gentile con Marx, dal momento che l’autore non tiene nel minimo conto gli <b>elementi mazziniani e nietzscheani</b> del pensiero del filosofo attualista, così come manca qualsiasi riferimento alle <b>correnti culturali del fascismo</b> che provenivano dal socialismo non marxista e che non mancarono di influenzare Gentile. Mi riferisco, in particolare, al <b>sindacalismo rivoluzionario</b> (<b>A. O. Olivetti, S. Panunzio</b>) e al <b>socialismo idealistico</b> dello stesso Mussolini: quel socialismo, cioè, che aveva scoperto che <b>rivoluzionaria non era la classe, ma la nazione</b>. Mi riferisco, inoltre, alle giovani leve degli anni Trenta che volevano edificare la «<b>civiltà del lavoro</b>», glorificata dal fascismo con il cosiddetto «colosseo quadrato» che campeggia tra le imponenti costruzioni dell’Eur.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Senza Mazzini e gli altri «profeti» del Risorgimento, del resto, non si potrebbero comprendere gli <b>elementi nazionali del pensiero gentiliano</b>, così come il significato che Gentile dava al termine «umanità». Far discendere l’«umanesimo del lavoro» di <i>Genesi e struttura della società</i> (1946, postumo) da un «ritorno» di Gentile a un confronto con Marx, come fa Fusaro, è dunque possibile solo se si prescinde deliberatamente da tutto il dibattito che la cultura fascista sviluppò negli anni Trenta, con <b>Ugo Spirito, Berto Ricci e Niccolò Giani</b>. E in questo senso allora sarebbe anche possibile interpretare l’umanesimo gentiliano in senso egualitarista. Ma lo stesso Gentile, in alcuni importanti interventi, ha chiarito come intendeva l’universalità (e non l’universalismo), che doveva basarsi sul <b>concetto romano di <i>imperium</i></b> e su una <b>missione civilizzatrice dell’Italia</b> (e qui ritorna Mazzini), come messo ben in evidenza da Gentile nel fondamentale articolo <i>Roma eterna</i> (1940). Un’universalità verticale, quindi, intesa come ascesa, e non un universalismo orizzontale e azzeratore delle differenze in nome di un’astratta concezione di uomo, avulsa da qualsiasi contesto storico e culturale concreto. In questo senso, dunque, l’umanesimo gentiliano è fondamentalmente <i>sovrumanismo</i>, come lo ha magistralmente descritto <b>Giorgio Locchi</b>.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiaR_oLPS0Ft1Qu6nbArH8MEUDYB4kcCJj-ivZUYPPJE8oJuVZ1_D1OqvWaCYA5s4_HFLcF5W882fjrskU64CPVqma6NIYZWt2MqPie1apPnSW7PyhGgWpgvY13CHL-qHx3x3Yz0PDuRPw/s1600/Giovanni_Gentile.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiaR_oLPS0Ft1Qu6nbArH8MEUDYB4kcCJj-ivZUYPPJE8oJuVZ1_D1OqvWaCYA5s4_HFLcF5W882fjrskU64CPVqma6NIYZWt2MqPie1apPnSW7PyhGgWpgvY13CHL-qHx3x3Yz0PDuRPw/s1600/Giovanni_Gentile.JPG" height="320" width="232" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Giovanni Gentile</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: justify;">
Anche sul concetto di «<b>apertura della storia</b>», su cui giustamente insiste il Fusaro, bisognerebbe intendersi. D’altronde, già <b>Karl Löwith</b> sottolineò, nell’immediato dopoguerra, il messianismo intrinseco alla filosofia della storia marxiana. Secondo la <i>teoria scientifica</i>, infatti, il proletariato, ottenuta la coscienza di classe grazie allo sfruttamento capitalistico, avrebbe dovuto, per il tramite dell’azione del partito comunista, abolire le classi e lo Stato, ristabilendo le condizioni dell’<i>Urkommunismus</i>, sebbene in una forma «arricchita», con tutti i vantaggi, cioè, della moderna tecnologia. In questo senso, il marxismo lavorava anch’esso per l’<b>uscita dalla storia</b> che, invece di coincidere con la planetaria democrazia liberale di <b>Francis Fukuyama</b>, avrebbe istituito l’agognata società comunista e la fine di ogni volontà storificante dell’uomo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ad ogni modo, queste brevi e sintetiche obiezioni non vogliono in alcun modo sminuire l’eccellente opera di Fusaro, che è invece quanto di meglio si possa leggere oggi in un desolante contesto politico e culturale totalmente appecoronato alle logiche demoliberali, mondialiste e finanzcapitalistiche. La rilettura di Marx in senso idealistico, anzi, ha un innegabile merito: riportare al centro dell’azione politica la <b>volontà creatrice dell’uomo</b>, che scaturisce dalla sua <b>libertà storica</b>. È, in altri termini, il ritorno della filosofia a un approccio rivoluzionario alla realtà. Filosofia non più intesa come glorificazione dell’esistente, ma come <b>motore di storia</b>. Il che, si converrà, se non è tutto, è certamente molto.</div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-87968382355105137232013-12-09T15:25:00.003+01:002013-12-10T15:49:12.220+01:00Corporativismo e New Deal/3<div align="JUSTIFY" style="color: #333333; font-family: 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span data-mce-style="font-family: Liberation Serif,serif;" style="color: inherit; font-family: 'Liberation Serif', serif; font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625;"><span data-mce-style="font-size: large;" style="color: inherit; font-family: 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; font-size: medium; font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625;"><img alt="" class="alignleft" data-mce-src="http://www.orionlibri.net/wp-content/uploads/2013/06/copertina_corporativismo.jpg" height="392" src="http://www.orionlibri.net/wp-content/uploads/2013/06/copertina_corporativismo.jpg" style="border: 1px solid rgb(221, 221, 221); color: inherit; cursor: default; display: inline; float: left; font-size: 15px; font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; margin-bottom: 1.625em; margin-right: 1.625em; margin-top: 0.4em; padding: 6px;" width="278" /></span></span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Come abbiamo notato, l'edificio corporativo che si stava lentamente edificando in Italia attirò grandissimo interesse negli Stati Uniti. Questa attenzione andò scemando nel corso degli anni, quando il New Deal venne pesantemente ostacolato (ad esempio dalla <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Corte Suprema</strong>) e nella politica estera dei due paesi si cominciò a scavare un fossato incolmabile. Solamente la <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">guerra</strong> permetterà agli Usa di rimettere in carreggiata la propria situazione economica.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">In ogni caso, il tratto principale che va rilevato è che la nostra nazione seppe distinguersi in un dibattito culturale ed economico di livello <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">internazionale</strong>, lanciando un messaggio sociale importante e divenendo <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">esempio</strong> per diverse nazioni<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote2sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote2sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">2</span></a>. Perfino verso la <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Russia sovietica</strong> ci fu da parte di molti intellettuali fascisti uno studio e un'attenzione particolare<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote3sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote3sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">3</span></a>.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Molto semplicemente, quindi, il contributo italiano fu parte <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">integrante</strong> della fase di «più intenso ripensamento del rapporto tra economia, società e politica»<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote4sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote4sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">4</span></a> sul piano mondiale, come ha osservato Alessio Gagliardi<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote5sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote5sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">5</span></a>. Il pensiero corporativo fu un significativo «momento della storia del pensiero economico, nel quale lo spostamento dell'attenzione dal comportamento del singolo individuo al comportamento di gruppi sociali considerati globalmente ha portato gradualmente <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">all'approccio macroeconomico</strong>»<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote6sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote6sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">6</span></a>.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Dall'unità ad oggi è difficile trovare altri momenti in cui l'Italia seppe esprimere un pensiero di pari portata, suscitare dibattiti e tentare la <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">mobilitazione</strong> del popolo verso una costruzione socio-economica così complessa e originale.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">La <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">miniera</strong> rappresentata dalla legislazione e dalle opere teoriche del pensiero corporativo, distrutta dal secondo conflitto mondiale e rimasta sepolta dai pregiudizi e dal dilettantismo della storiografia, merita di essere riportata alla luce nella sua vitalità. L'opera di giovani studiosi <em style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Corporativismo del III millennio</em><strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;"> </strong>è un piccolo tentativo in questo senso, per immaginare soluzioni alla crisi attuale che sappiano andare "oltre" i <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">dogmi liberali (o marxisti).</strong> Le difficoltà odierne coinvolgono le democrazie parlamentari e i concetti stessi di lavoro e libertà. Coordinate "corporative" quali la concezione <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">organica</strong> dello Stato e le idee di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">responsabilità e partecipazione dei lavoratori</strong> potrebbero essere i primi esempi per "ricostruire" il destino del popolo italiano.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote1anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote1anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">1</a> G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza Via fascista, </i>cit., p. 208</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote2anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote2anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">2</a> Pensiamo solo alle esperienze austriache, portoghesi e spagnole degli anni Trenta, o a nomi come quelli di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Henri De Man, Werner Sombart, Mihail Manoilesco</strong>, più volte richiamati negli scritti di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Renzo De Felice, Lorenzo Ornaghi e Gianpasquale Santomassimo</strong>. L'opera dello studioso rumeno <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Le siecle du corporatism </i>(Mihail Manoilesco, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Le siecle du corporatism, </i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i>Alcan<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">, </i>Parigi 1934) sarà alla base del saggio di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Philippe Schmitter</strong> (Philippe Schmitter,<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"> Still the century of corporatism?, </i>«Rewiev of politics», vol. 1, n. 36, gennaio1974, pp. 85 – 131) e della successiva ripresa degli interessi per la tematica corporativa in ambito internazionale: G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La terza via fascista</i> cit., p. 306.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote3anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote3anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">3</a> In Italia, infatti, sin dall'inizio degli anni Trenta, l'interesse verso i provvedimenti bolscevichi fu a dir poco intenso. Nel dibattito riguardante <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«Roma e Mosca o la vecchia Europa?»</strong>, apertosi sulle pagine di «Critica Fascista», diversi giornalisti ravvisarono <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">somiglianze tra bolscevismo e fascismo</strong>, ed altri addirittura predissero futuri incontri (G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza Via Fascista</i> cit., pp. 198 – 207). Bruno Spampanato e Riccardo Fiorini furono tra i più accesi sostenitori delle somiglianze tra le due rivoluzioni, in una discussione che, nel corso degli anni, interessò un grande numero di personaggi e posizioni diverse, al punto che per contrastare la cosiddetta <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">“moscofilia”</strong> il PNF promosse una pubblicazione di spiccata impostazione antisovietica: Pietro Sessa, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Fascismo e bolscevismo</i>, Mondadori, Milano,1933. Su impulso di Bottai, vennero<strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;"> tradotti</strong> numerosi testi di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">dirigenti sovietici, tra cui Stalin</strong> (G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza Via fascista</i>, cit., p. 200) e di studiosi marxisti, quale la storia del bolscevismo scritta da <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Arthur Rosenberg</strong> (A. Rosenberg,<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"> Storia del bolscevismo da Marx ai nostri giorni,</i> Sansoni, Firenze, 1933). Contemporaneamente libri come quelli di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Ettore Lo Gatto</strong> (E. Lo Gatto, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Dall'epica alla cronaca nella Russia soviettista</i>, Istituto per l'Europa Orientale, Roma 1929 e E. Lo Gatto, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">URSS 1931: vita quotidiana, piano quinquennale</i>, Istituto per l'Europa Orientale, 1932) <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Gaetano Ciocca</strong> (G. Ciocca, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Giudizio sul bolscevismo</i>, Bompiani, Milano, 1933 ) e <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Gerhard Dobbert</strong> (G. Dobbert,<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"> L'economia sovietica</i>, Sansoni, Firenze 1935), studioso tedesco trasferitosi a Milano per il suo interesse verso il corporativismo (G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza Via fascista</i>, cit., p. 202), fornivano validi spunti d'interpretazione sulla situazione economica russa. Nel pieno di questi fermenti culturali, significativo fu l'articolo di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Federico Maria Pacces e Bottai</strong>: F. M. Pacces, G. Bottai, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Verso un piano economico – corporativo</i>, «Critica Fascista», 15 marzo, pp. 103 – 105, mentre Carlo Costamagna arrivò a parlare di un <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«piano quinquennale europeo»</strong>, in “concorrenza” e opposizione ai sovietici : C. Costamagna, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Per un piano quinquennale europeo. (La marca orientale)</i>, «Lo Stato», giugno 1932, p. 453 - 455. Nel 1936 il duce varò effettivamente un «piano regolatore» che avrebbe dovuto lanciare ancora <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«più avanti»</strong> la politica sociale del regime (R. De Felice, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929 – 1936</i>, cit., p. 786).</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Queste suggestioni sono state descritte in diverse opere riguardanti il fascismo (oltre alle pagine di Santomassimo, il miglior studio specifico è: Roberto Romani, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Il piano quinquennale sovietico nel dibattito corporativo italiano. 1928 – 1936</i>, cit., pp. 27 – 41) e possono senz'altro aiutare a contestualizzare e capire il clima e le influenze culturali che si avvertivano in Italia, e l'entusiasmo e la profondità d'analisi che animò diversi protagonisti dell'epoca.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote4anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote4anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">4</a> Ibidem, p. 11.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote5anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote5anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">5</a> Ibidem</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote6anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=127&action=edit#sdfootnote6anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">6</a> M. Finoia, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Il pensiero economico italiano degli anni '30, </i>cit., p. 589.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<br /></div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-16150422836699415332013-12-09T15:23:00.000+01:002013-12-10T15:50:11.961+01:00Corporativismo e New Deal/2<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
</div>
<div style="clear: left; float: left; font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;">
<span style="clear: left; float: left; font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; margin-top: 0.4em; text-align: justify;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><img alt="" class="alignnone" data-mce-src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8j4wZkjn50siZkr_CHSjKHMuX345io7yP7T-Ic1wzrPYjwzRqSNcIDhyI2TcHBnndCsAzP6BYO33FZ386imeA4dNGomNwZZetr4_0chx4jVVL84ips2u1J71_l5lVfweFTtOX3B13LMQf/s320/national+recovery+administration+1.jpg" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8j4wZkjn50siZkr_CHSjKHMuX345io7yP7T-Ic1wzrPYjwzRqSNcIDhyI2TcHBnndCsAzP6BYO33FZ386imeA4dNGomNwZZetr4_0chx4jVVL84ips2u1J71_l5lVfweFTtOX3B13LMQf/s320/national+recovery+administration+1.jpg" style="border: 1px solid rgb(221, 221, 221); color: inherit; font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; margin-top: 0.4em; padding: 6px;" width="267" /></span></span><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="color: white;">Nel regime fascista, accanto a molte posizioni superficiali o di taglio giornalistico, ci fu ampio spazio per chi espresse critiche documentate e ampi studi verso l'America e le sue riforme. In prima fila ci furono i bottaiani, che tentarono di esaminare il problema «alla luce di una definizione più precisa di corporativismo»</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote1sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote1sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">1</span></a><span style="color: white;">, considerato come l'idea che si stava ormai imponendo su scala mondiale. Proprio Bottai fu protagonista di un momento saliente del rapporto tra i due Paesi, quando firmò l'articolo </span><i style="color: white; font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Corporate State e NRA</i><span style="color: white;"> su </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">«Foreign Affairs»</strong><span style="color: white;"> («voce ufficiosa ma autorevole del Dipartimento di Stato»</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote2sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote2sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">2</span></a><span style="color: white;">) del luglio 1935, dedicato a un'esposizione teorica del </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">corporativismo</strong><span style="color: white;"> e a un'analisi delle differenze e somiglianze sul piano sociale ed economico fra Italia e Stati Uniti</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote3sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote3sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">3</span></a><span style="color: white;">. Non è quindi casuale l'impegno profuso dalla </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">scuola di</strong><span style="color: white;"> </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Scienze Corporative di Pisa</strong><span style="color: white;"> (voluta dal gerarca romano) nella raccolta e nella traduzione di libri di numerosi autori americani, quali Stuart Chase, Thorstein Veblen</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote4sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote4sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">4</span></a><span style="color: white;">, </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Henry A. Wallace</strong><span style="color: white;">, segretario all'Agricoltura dell'amministrazione Roosevelt, e dello stesso presidente americano, risultando all'epoca una delle più complete in proposito</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote5sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote5sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">5</span></a><span style="color: white;">. Nello stesso ambiente culturale, autori come </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Benigno Crespi</strong><span style="color: white;"> e </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Attilio Fontana</strong><span style="color: white;"> si concentrarono sull'analisi del taylorismo e dell'organizzazione industriale americana, mettendone in luce i lati positivi</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote6sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote6sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">6</span></a><span style="color: white;">. Ancor più “audaci” furono studiosi come </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Fritz Ermarth e Andrè Rouart</strong><span style="color: white;">, che descrissero un'America «sulla via delle realizzazioni corporative»</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote7sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote7sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">7</span></a><span style="color: white;">, al pari del «sostenitore più deciso e preciso della somiglianza tra i due casi»</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote8sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote8sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">8</span></a><span style="color: white;">: </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Giovanni Fontana,</strong><span style="color: white;"> che ebbe occasione di studiare il caso statunitense attraverso un soggiorno alla Yale University</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote9sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote9sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">9</span></a><span style="color: white;">. Le maggiori critiche rivolte a chi proponeva paralleli riguardavano, in particolare, la </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">mancanza di coinvolgimento dei lavoratori</strong><span style="color: white;"> nel processo formativo delle leggi (come si pretendeva avvenisse in Italia) e differenze di carattere spirituale e morale quali divergenze più eclatanti tra le due esperienze</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote10sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote10sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">10</span></a><span style="color: white;">. Numerosi risultarono coloro, quindi, che negarono qualsiasi parentela tra il </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">National Recovery Act</strong><span style="color: white;"> (NRA, elemento centrale dell'economia rooseveltiana) e le politiche fasciste, come i nazionalisti e i reazionari</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote11sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote11sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">11</span></a><span style="color: white;">. Il quadro che emerge, comunque, è quello di una vasta schiera di intellettuali e scrittori capaci di esprimere critiche documentate e spiccare per capacità d'analisi e vitalità di pensiero. Non solo </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Spirito</strong><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote12sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote12sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">12</span></a><span style="color: white;"> e </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Bottai</strong><span style="color: white;">, ma personaggi quali Fontana</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote13sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote13sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">13</span></a><span style="color: white;">, </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Celestino Arena</strong><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote14sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote14sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">14</span></a><span style="color: white;"> e </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Guglielmo Masci. </strong><span style="color: white;">Quest'ultimo fece costante riferimento alla teoria dello sviluppo di </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Schumpeter</strong><span style="color: white;"> e agli scritti di </span><strong style="color: white; font-style: inherit; line-height: 1.625;">Keynes</strong><span style="color: white;">, esprimendo un pensiero economico autonomo e talvolta addirittura anticipatore di alcuni aspetti delle loro opere successive</span><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote15sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote15sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">15</span></a><span style="color: white;">.</span></span></div>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><span style="color: rgba(0, 0, 0, 0);"></span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Di primaria importanza e particolarità fu la posizione di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Mussolini,</strong> che recensì positivamente il libro di Roosevelt <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Looking Forward<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote16sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote16sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">16</span></a>, </i>e ci tenne a far pervenire una cordiale lettera al presidente americano, recapitata dall′allora ministro delle Finanze <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Guido Jung</strong>, giunto in visita ufficiale a Washington nel 1933<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote17sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote17sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">17</span></a><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">. </i>Questo avvenimento si inseriva nel preciso periodo in cui diversi intellettuali e membri del <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;"><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Brain Trust</i></strong> effettuarono studi e viaggi in Italia. Tra i nomi più importanti figurarono Hugh Johnson, James Farley<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote18sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote18sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">18</span></a>, Harry Hopkins<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote19sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote19sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">19</span></a> insieme ai professori Raymond Moley e <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Rexford Tugwell</strong><strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;"></strong><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote20sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote20sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">20</span></a>. Tutti si espressero con toni sostanzialmente positivi riguardo alle politiche economiche fasciste per affrontare la crisi economica. Da qui le polemiche e i confronti nel dibattito americano si fecero più serrati, orchestrati in molti passaggi significativi dall'abile figura del presidente Roosevelt<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote21sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote21sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">21</span></a>.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">La rivista <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«Fortune»</strong> si spinse fino a dedicare un numero speciale al corporativismo, in cui, oltre a diverse considerazioni critiche, venivano elencati i «vantaggi» che una programmazione economica di stampo fascista avrebbe potuto offrire alla situazione critica del Paese<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote22sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote22sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">22</span></a>. Non dissimili le analisi di molti studiosi e giornalisti, poco noti oggi in Italia, che firmarono pagine importanti di questo complesso rapporto. <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Roger Shaw</strong>, ad esempio, scrisse: «La Nra, con il suo sistema di norme, le clausole che regolano l'economia, e certi aspetti tesi a migliorare la situazione sociale, è stata un semplice adattamento americano dello Stato corporativo italiano nei propri meccanismi. La filosofia del New Deal assomiglia da vicino a quella del partito laburista inglese, ma i suoi meccanismi sono stati presi a prestito dall'antitesi italiana al laburismo»<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote23sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote23sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">23</span></a>. Sullo stesso piano si posero nomi delle più diverse estrazioni politiche come William Welk<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote24sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote24sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">24</span></a>, <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Norman Thomas</strong><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote25sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote25sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">25</span></a>, Mauritz Allegren<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote26sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote26sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">26</span></a>, Gilbert Montague<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote27sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote27sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">27</span></a> e lo storico <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Charles Beard</strong><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote28sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote28sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">28</span></a>. Ben poche, tra le riviste più importanti e diffuse<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote29sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote29sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">29</span></a>, non toccarono l'argomento.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Quest'attenzione verso l'Italia destò allo stesso tempo preoccupazioni e forti rimostranze da parte di politici (principalmente dello schieramento conservatore, come Hoover) e di studiosi quali Leon Samson e Waldo Frank, timorosi riguardo alla possibile perdita dei valori democratici del Paese<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote30sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote30sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">30</span></a>. Tra i critici più pungenti verso il fascismo e la sua economia spicca il nome di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">George Seldes</strong> che, nel libro <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Sawdust Caesar. The Untold history of Mussolini and fascism</i>, mise in luce quelle che considerava le contraddizioni e le finzioni propagandistiche del regime fascista<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote31sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote31sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">31</span></a>.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Ciò che stupisce di più, comunque, è il fatto che in ambito americano «i paralleli fra New Deal e corporativismo fascista erano ancor più diffusi (...) che nella stessa Italia»<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote32sym" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote32sym" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">32</span></a>.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote1anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote1anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">1 </a>M. Vaudagna, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed economiche italiane,</i> cit.,<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"> </i>p. 110.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote2anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote2anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">2 </a>Ibidem, p. 106.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote3anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote3anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">3 </a>Ibidem. Anche Ermarth ebbe occasione di illustrare il corporativismo su <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«Plan Age»</strong><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"> (</i>Ibidem, p. 138), rivista dei “pianificatori” americani, diretta dall'economista <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Lewis Lorwin</strong>, e il cui contributo fu uno dei più originali all'epoca.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote4anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote4anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">4 </a>Questo nome ci consente di aprire una parentesi per citare il tema della <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">“tecnica” e</strong> della <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">tecnocrazia,</strong> che accomunò le elaborazioni teoriche di alcuni protagonisti-chiave nel contesto preso in esame, come Bottai e Eraldo Fossati.. Cfr. Arturo Masoero, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Un americano non edonista</i>, Economia, n.2, febbraio 1931, pp. 151 – 172; E. Fossati, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">New Deal. Il nuovo ordine di F. D. Roosevelt</i>, Cedam, Padova, 1937;Alexander De Grand, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Bottai e la cultura fascista</i>, Laterza, Roma 1978 e Alfredo Salsano, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'altro corporativismo. Tecnocrazia e managerialismo tra le due guerre</i>, Il Segnalibro, Torino 2003.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote5anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote5anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">5 </a>M. Vaudagna, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed economiche italiane, </i>cit., p.138.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote6anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote6anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">6 </a>B. Crespi,<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"> Il taylorismo nell'Italia fascista</i>, «Critica Fascista», 15 febbraio 1929, pp. 88 – 91; B. Crespi, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Cosa insegna l'America</i>, 15 settembre 1929, pp. 351 – 353; A. Fontana, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">presupposti e finalità del taylorismo</i>, «L'Ordine Corporativo», II, 7, maggio – giugno 35, pp. 11 – 14. Da segnalare inoltre i libri: Eraldo Fossati, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">New Deal. Il nuovo ordine di F. D. Roosevelt,</i> Cedam, Padova, 1937 e <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Mariano Pierro</strong>, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'esperimento Roosevelt e il movimento sociale negli Stati Uniti</i>, Mondadori, Milano, 1937.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote7anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote7anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">7 </a>M. Vaudagna, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed economiche italiane, </i>cit<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">., </i>p. 118.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote8anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote8anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">8 </a>Ibidem, p. 126.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote9anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote9anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">9 </a>Ibidem, p. 117. Tra le sue ricerche più interessanti da mettere in evidenza, spicca l'<strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">accurato studio dei <em style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">codes</em> americani</strong>: G. Fontana, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La disciplina della concorrenza e i codici di Roosevelt</i>, Diritto del Lavoro, Roma 1935 e il volume: G. Fontana, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La concorrenza sleale negli Stati Uniti d'America</i>, Cya, Firenze 1936.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote10anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote10anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">10 </a>In proposito cfr. le posizioni degli economisti Alberto De Stefani, Luigi Amoroso, Felice Vinci e Renzo Sereno (Ibidem, p.113) o del giornalista Piero Campana. Ibidem, p. 130.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote11anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote11anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">11 </a>Valgano per tutti i numerosi corsivi dell'epoca presenti ne <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Vita Italiana</i> dell'antisemita Giovanni Preziosi, ne <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'Economia Italiana</i>, rivista improntata allo «statalismo autoritario», che non esitò a definire il capitalismo americano come «un'economia di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">rapina»</strong> (M. Vaudagna, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed economiche italiane </i>cit., pp<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">.</i> 112 – 113) e negli scritti di Giuseppe Attilio Fanelli, caratterizzati da un'ideologia «ruralistica e antiamericanistica». G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza Via Fascista</i> cit., pp. 273.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote12anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote12anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">12 </a>Come già osservato, Spirito fu protagonista nel dibattito intorno alle questioni sociali,politiche ed economiche degli anni '30. Il filosofo aretino, tentando di dare alle sue intuizioni respiro internazionale, espresse interesse per il fordismo americano (U. Spirito, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Il problema del salario nella trasformazione del capitalismo</i>, «Critica fascista», 15 settembre 1932, pp. 365 – 367), formulando al contempo una <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">critica all'economia liberale «per certi versi in notevole sintonia con i primi scritti di Keynes»</strong>. M. Finoia, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Il pensiero economico italiano degli anni '30, </i>cit., p. 585.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote13anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote13anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">13 </a>Il già citato studioso scrisse su <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La rivista di Politica economica</i>, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Il Diritto del Lavoro</i>, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Rassegna corporativa</i> e <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Commercio. </i>M. Vaudagna<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">, New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed economiche italiane </i>cit.,<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"> </i>p. 117.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote14anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote14anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">14 </a>Francesco Perillo ha osservato che, nella sua produzione, «Arena riprende temi già sviluppati, in quegli anni, dal pensiero anglosassone immediatamente pre-keynesiano; tuttavia queste analisi testimoniano una inaspettata <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">sintonia con le linee di sviluppo dell'analisi economica all'estero</strong>, <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">non rintracciabile invece nella scuola accademica liberale</strong>: così che, proprio attraverso le tematiche emergenti nell'area del pensiero corporativo, è possibile cogliere i limiti dell'immobilismo concettuale del liberismo italiano» (F. Perillo, Introduzione a: <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La teoria economica del corporativismo</i>, vol. 2, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1982, 2 voll., p. 345). Arena diresse anche, insieme a Bottai, la «Nuova Collana di Economisti Stranieri e Italiani». Keynes non venne ovviamente trascurato: Piero Bolchini, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La fortuna di Keynes in Italia</i>, «Miscellanea Storica Ligure», Anno XIV, Genova 1982, pp. 7 – 70; Aurelio Marchioro, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Il keynesismo in Italia nel periodo a cavallo della seconda guerra mondiale</i>, «Studi di storia del pensiero economico», Milano 1970, pp. 628 – 652 e Giacomo Beccantini, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'acclimatamento del pensiero di Keynes in Italia: introduzionead un dibattito</i>, «Passato e presente», II, luglio – dicembre 1983, pp. 85 – 104.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote15anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote15anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">15 </a>M. Finoia, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Il pensiero economico italiano degli anni '30 </i>cit., p. 573 – 574. Riferendosi a lui, con un'affermazione tutt'oggi valida, l'economista Federico Caffè scrisse: «si è indotti a chiedersi perché un pensiero così <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">fecondo, vivace, stimolatore</strong> sia oggi praticamente ignorato» (F. Caffè, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Frammenti per lo studio del pensiero economico italiano</i>, Milano, Giuffrè, 1975, p. 125). Riguardo alla politica americana dei primi anni '30, Masci espresse apprezzamenti per quello che considerava un esperimento «vasto e interessante». Ibidem, p. 583.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote16anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote16anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">16 </a>Benito Mussolini, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Roosevelt e il sistema</i>, «Il Popolo d'Italia», 7 luglio 1933, riportato in <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Bollettino del Ministero degli affari esteri,</i> 7 luglio 1933, pp. 715 - 717. Gli apprezzamenti verso la figura del presidente USA e la sua politica di interventismo statale furono confermati l'anno successivo da una nuova recensione del duce, questa volta a un libro di Henry A. Wallace, chiusa enfaticamente: <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«Dove va l'America? Questo libro non lascia dubbi: è sulla strada del corporativismo, il sistema economico di questo secolo»</strong>. I provvedimenti americani erano visti come prova della bontà delle idee fasciste, oltre che occasione propagandistica da sfruttare, come suggerisce W. Schivelbush, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Three New Deals,</i> cit., pp. 27 – 28.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote17anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote17anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">17 </a>La polemica riguardante la lettera del duce e i suoi rapporti con Roosevelt è stata posta all'attenzione del pubblico da Lucio Villari e Sergio Romano: <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Che cosa unisce e cosa divide New Deal e fascismo</i>, “Corriere della Sera”, 14 novembre 2010, p. 29. La lettera fu recapitata il 24 aprile 1933, neanche due mesi dopo l'elezione del presidente democratico. Tale fu l'attenzione verso Roosevelt che nel luglio 1933 l'Ufficio stampa del duce diramò l'ordine di non definire “fascista” il New Deal, per non offrire argomenti agli oppositori politici del presidente americano. Le azioni italiane in questo periodo furono ricambiate da parole lusinghiere da parte di Roosevelt, che definì Mussolini <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«that admirable Italian gentleman»</strong> (J. P. Diggins, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'America, Mussolini e il fascismo</i>, cit., p. 362).</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote18anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote18anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">18 </a>R. De Felice, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Mussolini il duce. Gli anni del consenso</i>, cit., p. 554.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote19anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote19anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">19 </a>G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza Via fascista, </i>cit., p. 208.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote20anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote20anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">20 </a>W. Schivelbush, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Three New Deals</i>, cit., pp. 34 – 35.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote21anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote21anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">21 </a>«Primo grande presidente “mediatico”, Franklin D. Roosevelt fu <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">maestro</strong> nel controllo dell'opinione pubblica: allestì un efficiente servizio di monitoraggio dei giornali, inaugurò l'abitudine di tenere regolari conferenze stampa, coltivò rapporti di amicizia personali con i principali cronisti politici, curò scrupolosamente la sua immagine». Oliviero Bergamini, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La democrazia della stampa. Storia del giornalismo</i>, Laterza, Bari 2006, p. 231.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote22anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote22anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">22 </a>«Fortune», X, luglio 1934, pp. 137 – 138, riportato in J. P. Diggins, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'America, Mussolini e il fascismo, </i>cit., pp. 208 – 210. Proprio questa rivista ospitò anche alcune considerazioni sull'Italia fascista del presidente Roosevelt: cfr. in proposito J. P. Diggins, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'America, Mussolini e il fascismo </i>cit. pp. 365 – 366.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote23anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote23anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">23</a> R. Shaw, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Fascism and the New Deal</i>, «North American rewiew», vol. CCXXXVIII, 1934, p. 472.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote24anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote24anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">24 </a>Su «Foreign Affairs»<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"> </i>questo politologo firmò una lunga e lusinghiera inchiesta sull'economia fascista: W. Welk, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Fascist economic policy and Nra</i>, «Foreign Affairs» XXI, ottobre 1933, 98 – 108. Welk successivamente pubblicò un libro sul tema: W. Welk,<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"> Fascist Economic Policy; An Analysis of Italy's Economic Development,</i> Harvard University Press, Cambridge 1938. Oltre a questa, non pochi i volumi <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">significativi</strong> che videro la luce negli anni '30: Carmen Haider, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Capital and Labour under fascism</i>, Columbia University Press, New York 1930; Ernst Basch, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">The Fascist: His state and His Mind</i>, Morrow, New York 1937; George Lowell Field, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">The syndacal and corporative institution of Italian fascism</i>, Columbia University Press ,New York 1938; Carl T. Schmidt, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">The Corporate State in Action. </i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Italy Under Fascism</i>. Oxford University Press, New York 1939. Queste sono opere ancora colpevolmente ignorate dalla storiografia, quanto fondamentali per capire il clima culturale e le proposte economiche dell'epoca.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote25anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote25anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">25 </a>Thomas fu il capo dell'American Socialist Party nel periodo in esame, e si occupò delle analogie tra i due paesi in diverse sue elaborazioni. W. Schivelbusch, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Three New Deals</i> cit., p. 32.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote26anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote26anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">26 </a>Giornalista liberale, Allegren si occupò di questioni estere e socio – economiche sulle pagine dello <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Spectator</i>, toccando spesso temi riguardanti l'Italia a confronto con gli Usa, e guardando con<strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;"> interesse</strong> alle riforme fasciste (W. Schivelbusch, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Three New Deals,</i> cit., p. 31). Su posizioni simili il direttore del <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">New Republic</i> <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">George Soule</strong> (Ibidem, p. 32). Sull'importanza centrale di questa rivista nel contesto del New Deal: Francesco Villari, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Il New Deal</i>, Editori Riuniti, Roma 1977, p. 264.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote27anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote27anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">27 </a>Anche lui liberale, fino al 1935 fu uno dei più strenui sostenitori delle somiglianze tra corporativismo e New Deal. Cfr. Ibidem, p. 35 e John P. Diggins, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'America, Mussolini e il fascismo</i> cit., p.212.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote28anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote28anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">28 </a><strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Beard</strong> si occupò a lungo di economia e corporativismo, e i suoi scritti sono fondamentali nel quadro analizzato, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">in primis</i> il libro: Charles Beard, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">The future comes. A study of the New Deal</i>, McMillan, Londra 1933.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote29anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote29anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">29 </a>Uno dei più grandi magnati della stampa americana come <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">William Randolph Hearst</strong> fu un ammiratore del capo del fascismo (John P. Diggins, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'America, Mussolini e il fascismo,</i>cit., pp. 59 – 60<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">), </i>mentre <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Henry Luce</strong>, altro uomo di punta dell'editoria americana, fu un repubblicano d'impostazione liberista e antifascista<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">. </i>Trale tante riviste che si dedicarono a critiche e paralleli, ci furono <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">in primis </i>«New York Times» (di Hearts), «Fortune» (di Luce)<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"> e </i>l'«Harper's Magazine» <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">(</i>W. Schivelbusch, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Three New Deals</i> cit., pp. 32 – 33), dove apparve uno degli scritti più significativi: Joseph Brown Matthews e Ruth Enalda Shallcross, <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;"><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Must America go fascist?</i></strong>, «Harper's Magazine», vol. CLXXX, 1935, p. 159.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote30anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote30anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">30 </a>Questi due autori si occuparono diffusamente delle analogie tra i sistemi economici italiano e americano, al punto di firmare due articoli dal titolo e dai contenuti simili: L. Samson, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Is fascism possible in America?</i>, «Common Sense», agosto 1934, p. 17 e W. Frank, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Will fascism come to America?</i>, «Modern Monthly», vol. VIII, 1934, p. 135. La rivista <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«Common Sense»</strong> fu una delle tribune di discussione più interessanti riguardo all'economia degli anni Trenta. Trai suoi collaboratori spiccò il nome di John T. Flynn, uno dei più attivi critici sia del New Deal che del fascismo. Cfr. John Moser, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Right Turn: John T. Flynn and the Transformation of American Liberalism, </i>New York University Press, New York 2005.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote31anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote31anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">31 </a>G. Seldes, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Sawdust Caesar. The Untold history of Mussolini and fascim</i>, Harper, New York 1935.</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote32anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post.php?post=121&action=edit#sdfootnote32anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;">32 </a>G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza Via fascista, </i>cit., p. 208</span></div>
</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 1.625em;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-10465055868829727982013-12-09T15:20:00.000+01:002013-12-10T15:47:48.675+01:00Corporativismo e New Deal/1<div align="JUSTIFY" style="color: #333333; font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span data-mce-style="font-size: large;" style="clear: left; color: inherit; float: left; font-size: medium; font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><img alt="" class="alignnone" data-mce-src="http://www.borgato.be/Documenti_Vari/1926/Corporazioni_Fasciste/Corporazioni_Fasciste.jpg" height="232" src="http://www.borgato.be/Documenti_Vari/1926/Corporazioni_Fasciste/Corporazioni_Fasciste.jpg" style="border: 1px solid rgb(221, 221, 221); color: inherit; font-size: 15px; font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; margin-top: 0.4em; padding: 6px;" width="320" /></span></span><span style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625;"><span data-mce-style="font-family: Liberation Serif,serif;" style="color: inherit; font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></span></span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">La <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">crisi</strong> del <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">capitalismo</strong> fra le due guerre mondiali stimolò riflessioni teoriche in ogni angolo del mondo. Gli stati europei, colpiti dalle conseguenze delle difficoltà economiche, tentarono di esprimere ricette innovative, con l'Italia che recitò un ruolo da protagonista. Nel nostro paese, <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«Critica Fascista»</strong> si distinse per l'alto livello delle sue elaborazioni teoriche<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">1</span>.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Sul finire degli anni Venti questa rivista intensificò visibilmente il suo impegno verso la diffusione dei principi della <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«terza via»,</strong> alimentando un dibattito che presentava il corporativismo come ordinamento capace di superare le teorie economiche classiche e dare vita ad una <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«nuova scienza economica</strong>»<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">2</span>. Aspirazioni riscontrabili dalla lettura di altri fogli del regime e condivise anche da numerosi intellettuali, che tentarono di dare un respiro internazionale alle proposte italiane in campo economico<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">3</span>. Ne derivò una serie di fermenti culturali e illusioni propagandistiche che conobbe un crocevia fondamentale proprio con la <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«grande crisi»</strong> del 1929, la quale ebbe conseguenze significative sugli orientamenti di molti studiosi ed economisti italiani<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">4</span>. Le difficoltà del sistema liberale offrirono al fascismo l'occasione per proporre la tematica corporativa al di fuori dei confini nazionali<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">5</span>: tanto che essa fu, come ha osservato Gianpasquale Santomassimo, «una delle <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">leve fondamentali</strong> del successo internazionale del fascismo»<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">6</span>. Attenzione particolare nella pubblicistica del regime venne riservata alla situazione americana, dove la crisi fu più dirompente.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">D'altra parte, proprio a causa delle difficoltà economiche, oltreoceano si cominciava a guardare con sempre più interesse ai provvedimenti d'impostazione dirigista del fascismo. A seguito dell'insediamento di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Franklin Delano Roosevelt</strong> alla Casa Bianca nel 1933 e del varo del <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">New Deal</strong>, tra i due Paesi si intensificarono notevolmente i rapporti culturali e istituzionali, dando vita ad una serie di contatti che merita di essere studiata in profondità.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<em style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"><span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">- Stato degli studi</span></em></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Le posizioni fasciste di fronte al New Deal (e in genere alle politiche economiche degli Stati Uniti) così come quelle americane nei confronti del corporativismo sono state analizzate raramente dalla storiografia. Cenni sulla questione, infatti, si trovano solamente in alcune opere dedicate generalmente agli Stati Uniti e al fascismo, come ad esempio nella biografia di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">De Felice</strong> dedicata a Mussolini<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">7</span>. Da segnalare poi la breve ma densa analisi presente in <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Santomassimo</strong><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">8</span> e il volume datato ma prezioso di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">John P. Diggins</strong><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">9</span>. Quest'ultimo costituisce ancor oggi una piattaforma indispensabile per capire l'atteggiamento statunitense di fronte al fascismo. Qui vengono esaminate nel dettaglio tutte le reazioni ed i rapporti con l'Italia da parte del governo, dell'opinione pubblica, dei giornalisti, del mondo degli affari, dei cattolici e dei sindacati americani.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">Gli studi più specifici sul tema, in ambito italiano, sono rappresentati da un articolo di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Franco Catalano</strong><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">10</span> e dai saggi di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Maurizio Vaudagna</strong><strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;"></strong><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">11</span>. Sul piano internazionale, invece, speciale menzione merito uno scritto di <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">John A. Garraty</strong>, pubblicato negli anni Settanta,che più di altri contribuì a mettere in discussione i pregiudizi riguardo ai rapporti tra il totalitarismo italiano (e tedesco) e la democrazia statunitense e alla natura delle loro convergenze politiche, economiche e culturali<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">12</span>. L'autore illustrò inoltre le somiglianze tra i due Paesi e accennò ai dibattiti che avevano animato Italia e America negli anni Trenta, venendo in questo seguito diverso tempo dopo da <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Diane Ghirardo</strong><span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">13</span> e, recentemente, da <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Wolfgang Schivelbusch</strong>. Ed è proprio di quest'ultimo il volume più importante pubblicato finora sul tema, ossia <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Three New Deals: Reflections on Roosevelt's America, Mussolini's Italy, and Hitler's Germany<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">14</span>. </i>Qui l'autore analizza tutte le affinità tra Italia e Stati Uniti sul piano economico, culturale, oltre che delle opere pubbliche, delle istituzioni e della propaganda, approfondendone i comuni elementi populisti e statalisti. La panoramica offerta è di estremo interesse, quanto però lontana dall'essere esaustiva. Per comprensibili ragioni di spazio e di vastità di argomenti affrontati, le porte aperte a critiche e approfondimenti storiografici ulteriori sono a dir poco numerose<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">15</span>. Allo stesso modo, l'opera precedentemente richiamata di Vaudagna, fondamentale per inquadrare il contesto culturale entro cui i fascisti recepirono ed interpretarono la situazione americana, risulta oggi quanto mai suscettibile di ulteriori approfondimenti<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">16</span>. L'autore, poi, tradisce i suoi pregiudizi ideologici quando definisce fascismo e New Deal due «forme di dominio capitalistico borghese». Affermazione a dir poco superficiale. Ad oggi, infine, il tema è stato rilanciato con forza da Lucio Villari<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">17</span> e da Paolo Mieli sulle colonne del <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Corriere della Sera<span style="bottom: 1ex; font-size: 10px; font-style: inherit; font-weight: inherit; height: 0px; line-height: 1; position: relative; vertical-align: baseline;">18</span></i>.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
___________________</div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">1 </span><span style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">La rivista di Giuseppe Bottai, tra le più sensibili alle questioni internazionali, si avvalse «delle </span><strong style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-style: inherit; line-height: 1.625;">migliori firme</strong><span style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;"> giornalistiche e della pubblicistica italiana di quegli anni» (Gabriele De Rosa, </span><i style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Bottai e «Critica Fascista». Saggi introduttivi all'antologia di «Critica Fascista»: 1923 – 1943, </i><span style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Luciano Landi Editore per C. E. N.</span><i style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-weight: inherit; line-height: 1.625;">, </i><span style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">Roma 1980</span><i style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-weight: inherit; line-height: 1.625;">, </i><span style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">p. XCV) e la sua lettura costituisce un passaggio imprescindibile per capire a fondo la storia dell'«illusione corporativa» tra le due guerre (Francesco Malgeri, </span><i style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Bottai e «Critica Fascista», </i><span style="color: white; font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif;">cit., p. LXXI).</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">2 Nel corso del 1928 «Critica Fascista» ospitò uno dei più rilevanti <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">“scontri” tra teorici di estrazione liberale e sostenitori del corporativismo</strong> quale «nuova scienza economica», al quale parteciparono Giuseppe Bottai, Lello Gangemi, Massimo Fovel, Gustavo Del Vecchio, Ettore Lolini, Gaetano Napolitano, e dove emersero le fragilità delle nuove concezioni fasciste, ma anche la convinzione di perfezionarle e portarle avanti (G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza via fascista, </i>cit., pp. 111 – 115). Nella costruzione teorica di questa vagheggiata «nuova scienza» al nazionalista <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Filippo Carli</strong> spetta «l'indubbia primogenitura» (Ibidem, p. 69), mentre <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Ugo Spirito</strong> ne fu forse il più noto ed “estremo” propugnatore. Oltre che per via del suo celebre intervento al Congresso di Ferrara del 1932, ciò si evince dall'analisi dei suoi libri (U. Spirito, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Critica dell'economia liberale</i>, Sansoni, Firenze 1930; U. Spirito, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">I fondamenti dell'economia corporativa</i>, Sansoni, Firenze 1933; U. Spirito, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Capitalismo e corporativismo</i>, Sansoni, Firenze 1933; U. Spirito, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Dall'economia liberale al corporativismo</i>, Sansoni, Firenze 1939) e della sua rivista «Nuovi studi di diritto, economia e politica», uscita dal 1927 al 1935. La discussione fu ampia e articolata in quanto secondo alcuni il corporativismo costituì pressoché l'unico argomento sul quale durante il regime si potessero esprimere <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">opinioni difformi</strong>. Cfr. F. Chabod, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'Italia contemporanea (1918 – 1948)</i>, Einaudi, Torino 1961, p. 87; Pier Giorgio Zunino, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime</i>, Il Mulino, Bologna 1995, p. 246.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">3 «Gli studiosi dell'epoca ebbero <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">chiara consapevolezza</strong> che la loro riflessione non fosse legata alla situazione politica italiana», secondo Massimo Finoia (M. Finoia, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Il pensiero economico italiano degli anni '30</i>, Rassegna Economica, Banco di Napoli, Maggio – Giugno 1983, p. 583). A questo proposito ha scritto Giacomo Beccantini: «Io credo che con tutti i loro equivoci (…), <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">le critiche di Spirito e compagni</strong> all'economia liberale, contenessero molti grani di verità e fossero comunque <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">meno anacronistici delle pur labili e dotte difese dei custodi del tempio</strong>. E credo anche che quelle controversie e coloro che ne furono protagonisti <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">non</strong> siano da considerare come <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">un momento di smarrimento della ragione economica</strong> o come il prezzo pagato ad una dittatura politica invadente il terreno della cultura». G. Beccantini, «Alberto Bertolino (1898 - 1978) », in AA. VV., <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'inflazione oggi: distribuzione e crescita</i>, Giuffrè, Milano 1981, p. 129.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">4 Santomassimo, riferendosi a studiosi di primo piano come Gustavo Del Vecchio, Ulisse Gobbi e Giorgio Mortara, ha scritto: «(…) si poteva notare un'<strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">evoluzione</strong> nell'atteggiamento degli economisti nei confronti del corporativismo, indotta certamente dalle ripercussioni, anche intellettuali, che la crisi economica cominciava a diffondere in Italia. Non si trattava affatto di una conversione esplicita, che non sarebbe mai avvenuta, ma di casi isolati in cui cominciavano a cadere <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">barriere e preclusioni</strong>, a volte anche in base a considerazioni critiche sulla capacità di resistenza dei modelli teorici fino ad allora sostenuti» (G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza via fascista, </i>cit., p. 131). In questo contesto, Alberto De Stefani compì «un lento decorso dal liberismo al solidarismo cattolico attraverso l'esperienza corporativa» (Ibidem, p. 219).</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">5 Tra l'espansione del fenomeno fascista e la «crisi» ci fu uno «stretto rapporto». Questo favorì l'attenzione verso le teorie economiche italiane all'estero, oltre che la popolarità del duce. Le dinamiche in questione sono state approfondite da De Felice in: R. De Felice, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936,</i> Einaudi, Torino, 1974, pp. 538 – 587. Il ministro delle Corporazioni Bottai organizzò due <strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">Convegni di studi sindacali e corporativi</strong> proprio dopo l'irrompere della crisi (Roma 1930 e Ferrara 1932), in cui si discusse a proposito dell'ordinamento economico italiano ed internazionale, nel momento di massima difficoltà del sistema economico a livello europeo e mondiale.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">6 G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza Via fascista, </i>cit.<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">, </i>p. 11. Ancora una volta fu la «grande crisi» a spingere il regime verso il rafforzamento delle sue «illusioni universalistiche». Molti giovani e intellettuali negli anni Trenta vollero proporre l'esperienza italiana come modello per gli altri Paesi, progettando la costruzione di un'<strong style="font-style: inherit; line-height: 1.625;">«internazionale delle camicie nere»</strong> che avrebbe dovuto soppiantare la «vecchia democrazia borghese», come descritto da Michael Ledeen nel suo <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'internazionale fascista</i>, Laterza, Roma – Bari 1973. Cfr. anche: Marco Cuzzi, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Antieuropa. Il fascismo universale di Mussolini</i>, MB Publishing, Milano 2006. De Felice ha affrontato il tema in: R. De Felice, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Mussolini il duce, </i>vol. I: <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Gli anni del consenso 1929-1936</i>, Einaudi, Torino 1974, pp. 307 – 311.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">7 Ad esempio cfr. R. De Felice, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Mussolini il duce,</i> vol. I: <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Gli anni del consenso </i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">(1929-1936)</i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i>, Einaudi, Torino 1974, p. 542.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">8 G. Santomassimo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">La Terza Via Fascista</i> cit., pp. 207 – 212.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">9 J. P. Diggins, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">L'America, Mussolini e il fascismo</i>, Laterza, Bari 1972.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">10 F. Catalano, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">New Deal e corporativismo di fronte alle conseguenze della grande crisi</i>, «Movimento di Liberazione in Italia», Aprile – Giugno 1967, pp. 3 – 34.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">11 M. Vaudagna, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed economiche italiane, </i>in: a cura di Giorgio Spini, Gian Gioacomo Migone e Massimo Teodori, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Italia e America dalla grande guerra ad oggi, </i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i>Marsilio, Padova, 1976, pp. 101 – 140. L'autore in questione ha scritto anche: M. Vaudagna, C<i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">orporativismo e New Deal, integrazione e conflitto sociale negli Stati Uniti (1933-1941)</i>, Rosenberg & Sellier, Torino 1981 e M. Vaudagna, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">The New Deal and the American welfare state: essays from a transatlantique perspective (1933-1945),</i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i> Otto, Torino 2013, che affrontano in particolare il tema della situazione sociale degli Stati Uniti nel periodi indicati.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">12 J. A. Garraty, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">The New Deal, National Socialism, and the Great Depression</i>, «<cite style="border: none; font-weight: inherit; line-height: 1.625;">The American Historical Review», </cite>78/4 (ottobre 1973), pp. 907-944 .</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">13 D. Ghirardo, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Building New Communities: New Deal America and Fascist Italy, </i>Princeton University Press, New York 1989.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">14 W. Schivelbush, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;"></i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Three New Deals: Reflections on Roosevelt's America, Mussolini's Italy, and Hitler's Germany. </i><i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">1933-1939, </i>Metropolitan Books, New York 2006.<a data-mce-href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post-new.php#sdfootnote15anc" href="http://ilventunodomani.altervista.org/wp-admin/post-new.php#sdfootnote15anc" style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625; text-decoration: none;"><br style="font-style: inherit; font-weight: inherit; line-height: 1.625;" /></a></span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">16 Questo scritto analizza i contributi di molte riviste italiane in maniera efficace quanto veloce e, inoltre, sembra sopravvalutare i pregiudizi che pure caratterizzarono parte delle analisi di molte riviste specializzate, come si nota <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">in primis</i> dalla lettura di «Critica Fascista».</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">17 Lucio Villari, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">America amara</i>, Salerno editrice, Roma 2013.</span></div>
<div style="font-size: 15px; line-height: 24px; margin-bottom: 0.21cm;">
<span style="color: white; font-family: Georgia, Times New Roman, serif;">18 P. Mieli, <i style="font-weight: inherit; line-height: 1.625;">Quell'amicizia finita male tra Mussolini e Roosevelt. Le forti sintonie tra fascismo e new deal</i>, Corriere della Sera, 26 novembre 2013.</span></div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-62839143596971702082013-05-09T11:57:00.000+02:002013-05-09T11:57:04.253+02:00Alessandro Pavolini: L’ultimo poeta armato<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">L’articolo è stato pubblicato in «Occidentale», aprile 2013.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAW7SfGT3QIY0Z87WHrNSQ6jLJDzykjl0TMHtQhKKumEx9E_OXVXc-ivTvKLl1r8yJ6CxPTGG8ARJzsI2Bcpvsf04euu9uuVVZkzWsK7zD83hHuy-N2JknLWVpG9Br9k6a6AbTMVKLkPU/s1600/Pavolini.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAW7SfGT3QIY0Z87WHrNSQ6jLJDzykjl0TMHtQhKKumEx9E_OXVXc-ivTvKLl1r8yJ6CxPTGG8ARJzsI2Bcpvsf04euu9uuVVZkzWsK7zD83hHuy-N2JknLWVpG9Br9k6a6AbTMVKLkPU/s1600/Pavolini.jpg" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Il mito, sin dai tempi più remoti, cela in sé una potenza primordiale e misteriosa. Il mito, attraverso simboli e immagini, ci parla, tecnicamente ci «narra», ci invita all’azione, alla fedeltà a un archetipo. Nel caso di <b>Alessandro Pavolini</b>, la fedeltà al fascismo. La perfetta e simmetrica identificazione del segretario del Pfr con il suo mito archetipico (il fascismo sansepolcrista, lo squadrismo delle origini) ha poi reso lui stesso un mito. «Un’Idea vive nella sua pienezza e si collauda nella sua profondità quando il morire battendosi per essa non è metaforico giuramento, ma pratica quotidiana»: così Alessandro Pavolini ha magistralmente espresso, in una prosa tragicamente vibrante, l’essenza dell’ideale fascista, della salda fedeltà al fascismo, che poi altro non voleva dire che fedeltà a sé stessi, al proprio destino che si è liberalmente scelto.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Senza scomodare Sorel, è troppo facile constatare che, specialmente nell’epoca moderna, conformarsi a un mito, a un’immagine di sé stessi e della propria comunità, è un atto eminentemente rivoluzionario. E questo perché, nella «società liquida» e del nichilismo realizzato, si avverte intorno a noi un malcelato rifiuto di tutto ciò che è Forma, di tutto ciò che è strutturato, che è scultura di sé, che è costruito con abnegazione e attraverso la distruzione del proprio «io» egoista e borghese – un rifiuto di tutto ciò che è bello perché autentico, che è conturbante perché, in definitiva, terribilmente vero.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
È proprio per questo motivo, cioè per esorcizzare la bellezza solare del mito incarnato e vissuto, che la parola d’ordine del borghese invidioso è diventata «demitizzare». Cosa ben diversa dalla <i>demistificazione</i>, che invece non è altro che lo smascherare una menzogna artificiosa. No, la <i>demitizzazione</i> è un processo molto più sottile e spudoratamente vile. Essa consiste, in ultima analisi, nel diffamare l’autenticità, nell’abbassare la grandezza e le più alte vette dell’esistenza alle turpi bassezze dei nani. Essere fedeli al proprio mito è in effetti il peggiore dei crimini agli occhi del borghese politicamente corretto, il quale non fa altro che predicare la prudenza, la diserzione, l’individualismo più retrivo. È per questo che il nume sfavillante di Pavolini si è cercato più volte di demitizzarlo. Una vana illusione, del resto, perché il regno delle aquile non potrà mai essere il loro starnazzante pollaio. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma, d’altronde, come si poteva perdonare al Pavolini creatore dei Littoriali, del Maggio Musicale Fiorentino, delle Rassegne d’Arte, della Fiera del Libro, del Teatro Sperimentale dei Guf, ecc. – come si poteva perdonare a quest’uomo di profonda, raffinata e vivace cultura di essere stato fascista? Di più: come si poteva perdonargli di aver incarnato così fedelmente l’idea fascista tanto da immolarsi per essa, mentre tutti gli altri tradivano, si imboscavano, si prostituivano? </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
«Le Brigate Nere in che periodo sono apparse? Quando altri si squagliavano e noi ci adunammo. Altri dimettevano il distintivo e noi ci rimettemmo la camicia nera. Altri cercavano di farsi dimenticare e noi ci ricordammo. Ci ricordammo delle parole date, delle fedi promesse, dei compagni perduti. Noi ci ricorderemo sempre». Ecco, la fedeltà al mito e al proprio ideale: questo, i biliosi e i truffatori, non glielo potevano proprio perdonare.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNoHZSBUrM0vrDj0w3_yYcCpFDtterLni8kThhKdnY2ezSAELzlo5NL22KTgQl-PfXeXjoDTfWnsDzaK1KomYKRyyXIkuyD9XkEg_o33NRosBwUZVT71pxGUzwClDJ8kNWRr9RG_phe8M/s1600/ultimo_poeta_armato.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhNoHZSBUrM0vrDj0w3_yYcCpFDtterLni8kThhKdnY2ezSAELzlo5NL22KTgQl-PfXeXjoDTfWnsDzaK1KomYKRyyXIkuyD9XkEg_o33NRosBwUZVT71pxGUzwClDJ8kNWRr9RG_phe8M/s320/ultimo_poeta_armato.jpg" width="228" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Ora, la seconda edizione ampiamente arricchita de <i><a href="http://www.latestadiferro.org/os/product_info.php?products_id=1784" target="_blank"><span style="color: red;">L’ultimo poeta armato. Alessandro Pavolini segretario del Pfr</span></a></i> (Seb, pp. 436, € 24) di <b>Massimiliano Soldani</b>, recentemente pubblicata a più di un decennio di distanza dalla prima (1999), ci aiuta a meglio comprendere il mito di Alessandro Pavolini. L’opera di Soldani infatti, arricchita peraltro da una magnifica introduzione di <b>Gabriele Adinolfi</b>, rappresenta un ottimo esempio di storiografia competente e non conforme che rifugge da un tipico tranello in cui spesso è incappato il variegato ambiente neofascista, ossia la trasformazione del fondatore delle Brigate Nere in un santino e in una figurina. Ricordare Pavolini <i>unicamente</i> come l’eroe che resiste fino all’ultimo, fino all’ultima cartuccia, è un altro modo, cioè, per depotenziare la sua figura. Perché Pavolini, prima del supremo ed eroico sacrificio, è stato un uomo che ha vissuto, che ha lottato durante tutta la sua esistenza per qualcosa di ben preciso. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
L’Autore infatti, grazie a una rara padronanza delle fonti, ricostruisce con esattezza le numerose tappe della battaglia politico-culturale di Pavolini, dagli anni del «Bargello» sino agl’ultimi provvedimenti da segretario del Pfr. Dalle pagine dell’opera di Soldani, dunque, emerge chiaramente il fascismo per cui Pavolini si è battuto. Che non è il «fascismo» dei fiancheggiatori, dei conservatori e dei liberali in orbace, bensì il fascismo degli squadristi della prima ora, il fascismo come cultura totale, il corporativismo che anela alla rivoluzione sociale, la socializzazione che introduce gli operai alla gestione delle imprese: è, in definitiva, lo stupendo fascismo mussoliniano sociale e nazionale, il fascismo immenso e rosso.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Si badi che l’appunto è tutt’altro che banale. Se per vent’anni molti si erano costruiti un fascismo fatto su misura, Pavolini al contrario, pur non rinunciando certamente alla discussione e alle critiche costruttive, è sempre rimasto fedele al fascismo originario e rivoluzionario. E ciò è ancora più importante e notevole se riflettiamo sul fatto che tutti questi vari «fascismi» sono poi sopravvissuti nel dopoguerra, e tuttora convivono all’interno della cosiddetta «area» neofascista. In altre parole quindi, conoscere a fondo, grazie a questo volume, la personalità di Pavolini ci aiuta a non perdere di vista la stella polare, ossia il fascismo autentico e genuino, quello in camicia nera. Il fascismo aristocratico perché popolare, imperiale perché nazionale, culturale perché incarnato nell’azione. Quel fascismo che fu veramente la «poesia del XX secolo». </div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-85927247916482619452013-02-19T11:42:00.000+01:002013-02-19T11:42:10.178+01:00Il voto utile: tra conservazione e rinnovamento<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">L’articolo è stato pubblicato in «Occidentale», febbraio 2013.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjI7HjRq-tfl-wvo-jYkkwfhPBOLmCNzVII3ufHp34GTLJRVR9xRRxxHWL_i5mbNsNNjl4dSxwhCOQW7THkFtVD2xHJMBDci9hwfmmFo45qwXnTcHjcxhmfP8hTlJPU_SLknCdNDJFFzKc/s1600/fallipiangere.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="285" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjI7HjRq-tfl-wvo-jYkkwfhPBOLmCNzVII3ufHp34GTLJRVR9xRRxxHWL_i5mbNsNNjl4dSxwhCOQW7THkFtVD2xHJMBDci9hwfmmFo45qwXnTcHjcxhmfP8hTlJPU_SLknCdNDJFFzKc/s400/fallipiangere.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Alle elezioni politiche del 2008, dopo l’esperienza cialtronesca e fallimentare della banda Prodi al governo, ci fu un punto che mise tutti quanti d’accordo, Pd e Pdl: l’appello al «voto utile». Caduta tra fischi e pernacchie l’eterogenea e traballante coalizione prodiana, si respirava infatti nell’aria una tremenda voglia di stabilità, la formazione di un dicastero non ricattabile da partitini e partitucoli che, forti magari finanche del’1%, erano però in grado di mandare a casa tutti, con tanto di baracca e burattini. Il fenomeno, peraltro, aveva raggiunto picchi di notevole patetismo, visto che il «Professore», per ottenere la maggioranza al senato, era costretto a ricorrere continuamente ai senatori a vita e a quelli eletti all’estero, tanto che divenne famoso l’altrimenti ignoto Luigi Pallaro, senatore italo-argentino in quota Unione, che, al momento della verità, fece cadere er Mortazza decidendo, invece di dargli la fiducia a Palazzo Madama, di restarsene in panciolle a Buenos Aires.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Insomma, mandando al diavolo il malsicuro <i>bipolarismo</i> spaghettaro, si invocava ora a gran voce il <i>bipartitismo</i> puro «made in Usa»: tutti americani dunque. Ebbero così buon gioco Berlusconi e Veltroni nel propagandare la retorica del voto utile. Utile soprattutto al secondo, a causa dell’atavica incompatibilità delle varie anime della sinistra italiana, laddove il primo poteva contare sulla lealtà della Lega e sull’assorbimento dei «cugini» di An nel proprio partitone. L’effetto più vistoso di tale campagna, sorretto inoltre dall’anti-berlusconismo più becero, fu allora un sensibile aumento dei consensi al bistrattato Pd (che comunque non lo salvarono dalla clamorosa batosta finale) con conseguente «svuotamento» dei partitini della sedicente «sinistra antagonista», i quali rimasero trombati ed esclusi dal Parlamento.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ora, tutto questo non ha comunque evitato lo sgretolamento di uno dei governi più saldi nella storia della Repubblica Italiana dal punto di vista del consenso. Il Delfino della Scrofa infatti, all’indomani della vittoriosa passerella del Pdl alle Regionali, creò una grave crisi di governo che porterà di lì a poco al collasso del Berlusconi IV. Poi vennero Monti, la Fornero, Terzi e gli altri macellai sociali al seguito della corte di Re Giorgio. Il resto è storia recente. Nonostante tutto questo, Pd e Pdl si ripresentano oggi agli italiani criticando Monti (che hanno sostenuto fino all’altro ieri) e rispolverando, con una bella faccia tosta, la retorica del voto utile (benché si sia già rivelato, a conti fatti, quanto mai inutile). </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6UJM_GTvDamCI-8pV1ViNAq2zOVg5KMEXlYap482NcMO3Rz54kP3zghmhTU9Ljd0-9uLzjNoDPtXdrsQx-6Qp9nXauGeVawbtQfaxj_K6zB2hW8cymUXMXkSZeoiC23jxcy5uG8mkBg8/s1600/unicovotoutile.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj6UJM_GTvDamCI-8pV1ViNAq2zOVg5KMEXlYap482NcMO3Rz54kP3zghmhTU9Ljd0-9uLzjNoDPtXdrsQx-6Qp9nXauGeVawbtQfaxj_K6zB2hW8cymUXMXkSZeoiC23jxcy5uG8mkBg8/s400/unicovotoutile.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Il concetto, del resto, è furbo ma debole. E curioso, oltretutto, visto che il voto dovrebbe essere utile in quanto <i>convinto</i>, come ci insegnano i soloni della democrazia indiretta. Io dovrei votare in base alle mie convinzioni e alle mie idee, e non per garantire la cosiddetta «governabilità». Quindi, in soldoni, il voto utile rappresenta per i grandi partiti il viatico naturale per rimanere in sella, per non dover mai pagare la propria inettitudine, la propria viltà e il proprio marciume.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In questa grave congiuntura storica, sulla scia dei governi tecnici antinazionali e dei rottami dei vari carrozzoni partitici, è tuttavia possibile ri-pensare il voto utile? In effetti c’è un movimento che dichiara da tempo di rappresentare, oggi, l’«unico voto utile». Si tratta di un movimento per cui «voto utile» non significa conservazione dei privilegi di casta, ma radicale rinnovamento, rivoluzione. Ebbene sì: «rivoluzione». Questo, infatti, è un movimento che non ha paura di nulla, nemmeno delle parole. Rivoluzione, oggi, significa soprattutto andare alla radice, fare piazza pulita dei sepolcri imbiancati che costellano il triste panorama politico italiano, tra guitti, mummie, magistrati prezzolati e rubagalline. Un movimento che è <i>popolare</i> perché è movimento di popolo, perché nasce nelle strade, nelle scuole, nelle università, nei cantieri e nelle imprese produttive. Un movimento che è <i>radicale</i> perché ha salde radici in un mondo di rinnegati. Un movimento <i>giovane</i> perché i suoi candidati, molto spesso, non superano i quarant’anni. Un movimento <i>rivoluzionario</i>, infine, perché ha il coraggio e la forza di voler edificare la «civiltà del lavoro». Che ha il coraggio di sfidare apertamente le mafie dei partiti, dei giudici, dei questurini, dei costruttori e dei ladruncoli da quattro soldi. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il voto utile, in effetti, oggi ha trovato un nome. Con un poeta come nume tutelare e una salda corazza sulle spalle. Con buone gambe e una tremenda voglia di camminare.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-20206533709496357262013-02-08T12:49:00.000+01:002013-02-08T12:49:41.490+01:00E fu subito Regime: il fascismo e la marcia su Roma<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">L’articolo è stato pubblicato in «Occidentale», gennaio 2013.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZxEjLwhy021CuEzanp9cW6pCZwc0uOJX7SVFGxeaACX-c2ue0FQssoRA8gMMaO_cGB5EZbBkV8dyhLQwRlOV-wEfqhq9e-iRAToPKyDaZmZ2A39HG-pcFW4FcbOFeSNtgXyPh5xQ62y4/s1600/Marcia+su+Roma+(G.+Balla).jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="317" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhZxEjLwhy021CuEzanp9cW6pCZwc0uOJX7SVFGxeaACX-c2ue0FQssoRA8gMMaO_cGB5EZbBkV8dyhLQwRlOV-wEfqhq9e-iRAToPKyDaZmZ2A39HG-pcFW4FcbOFeSNtgXyPh5xQ62y4/s400/Marcia+su+Roma+(G.+Balla).jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
È stata recentemente pubblicata l’ultima opera dello storico <b>Emilio Gentile</b>, <i>E fu subito regime: il fascismo e la marcia su Roma</i> (Laterza, pp. 336, € 18). Gentile, uno dei massimi storici del fascismo, affronta così una vicenda su cui sono stati versati fiumi d’inchiostro e su cui permangono tuttora molti lati oscuri, specialmente riguardo a quelle ore febbrili che vanno dal 27 al 30 ottobre allorché <b>Mussolini</b>, con un’abilità politica senza pari, «fece fessi tutti» – come dichiarò il suo attendente <b>Cesare Rossi</b> – e riuscì a coronare di successo l’insurrezione armata delle squadre d’azione.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tuttavia – ci duole dirlo – questo libro non sembra francamente aggiungere nulla a quel che già si sapeva sugli eventi, e non contribuisce minimamente a far luce sulle notizie insicure e contraddittorie delle fonti e delle testimonianze a nostra disposizione. Anche la tesi centrale e pretesamente originale dell’opera, che verte sulla questione del «regime», è tanto discutibile quanto già sentita, visto che è stata di recente rispolverata da <b>Giulia Albanese</b> (precisamente nel 2006, peraltro proprio per Laterza!). Se <b>De Felice</b> infatti sostenne che la conquista del potere da parte dei fascisti non coincise con un vero e proprio rivolgimento istituzionale ma piuttosto con la creazione di un gabinetto di compromesso, rimandando al 3 gennaio 1925 la trasformazione del governo Mussolini in regime, Gentile afferma sostanzialmente che la data della fondazione del regime fascista sarebbe viceversa da anticipare proprio al 28 ottobre del ’22. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In questo Gentile ha ragione allorché argomenta che le modalità e la natura stessa del colpo di Stato costituirono allora un fatto senza precedenti, ossia un partito-milizia che conquista il potere tramite un’insurrezione armata con il dichiarato intento di smantellare lo Stato liberale, laddove De Felice si mostrava più cauto sui propositi «sovversivi» di Mussolini. D’altro lato, però, ci sembra azzardato parlare di un autentico trapasso di «regime» basandosi solamente – come fa Gentile – sui semplici <i>desiderata</i> di un capo rivoluzionario e, per esempio, sulla creazione del Gran Consiglio del fascismo! Quest’ultimo in particolare, creato il 15 dicembre del ’22, era un organo del Pnf e non un istituto dello Stato (lo sarebbe diventato il 9 dicembre del 1928): se la sua fondazione rappresentò senz’altro uno smacco, ma pur sempre relativo, nei confronti dello Stato liberale, esso tuttavia era ancora un organo ufficioso e informale: un po’ poco per parlare di regime! </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg24_5jvEzIUfHPBVOZeCEmS9KXYtqA0k8QUOEndOuYX_XTkUL_3dpknZ0LZ5lzVKQoaoFNS0RsVNaNt9SzJZcvLkZsABeDrCgES-PVPAGcr0yDi-6cMHUaXohX2ImA2oIn2vf67qynsN0/s1600/EfuSubitoRegime.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg24_5jvEzIUfHPBVOZeCEmS9KXYtqA0k8QUOEndOuYX_XTkUL_3dpknZ0LZ5lzVKQoaoFNS0RsVNaNt9SzJZcvLkZsABeDrCgES-PVPAGcr0yDi-6cMHUaXohX2ImA2oIn2vf67qynsN0/s400/EfuSubitoRegime.jpg" width="263" /></a>Decisamente deludente, poi, l’analisi di Gentile in relazione ai rapporti di forza militare e alla questione dello stato d’assedio. L’interpretazione di De Felice è qui seguita alla lettera, dando ampio credito alle tesi del generale <b>Emanuele Pugliese</b>, comandante della guarnigione preposta alla difesa della capitale, il quale fornì la sua versione dei fatti nel dopoguerra in risposta alle accuse infamanti rivoltegli da <b>Emilio Lussu</b>, un decorato della Grande Guerra che si attestò poi su posizioni radicalmente antifasciste. Pugliese ha indicato cifre quanto meno sospette riguardo alla sua guarnigione, non mancando di rilasciare dichiarazioni da gradasso del tipo «sarebbero bastati pochi colpi di cannone a salve, per disperdere e disarmare quelle torme». Le «torme» di cui parla con disprezzo Pugliese sarebbero le colonne di squadristi accampate ai confini di Roma, formate da circa 30.000 armati. Nel resto del centro-nord i fascisti, che avevano mobilitato 300.000 camicie nere, avevano già occupati quasi tutti i centri nevralgici della principali città, spesso aiutati dai militari, entrando in possesso di fucili, mitragliatrici e, addirittura, pezzi d’artiglieria. Sebbene la loro organizzazione non fosse irreprensibile (come valutava il quadrumviro <b>De Bono</b>), si deve pur sempre calcolare che le squadre erano per la maggior parte formate da ex combattenti e decorati al valore. Quindi gli esiti di un eventuale scontro, per lo meno in quel frangente, erano tutt’altro che scontati.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tant’è che <b>Vittorio Emanuele</b>, interrogando lo Stato Maggiore, si sentì rispondere che l’esercito era «troppo simpatizzante col fascismo da poterlo arrischiare in un conflitto» e che la guarnigione di Pugliese «disponeva di 5-6.000 uomini in tutto. Si trattava di reparti raccogliticci e non sicuri al cento per cento». Al re, in sostanza, fu detto: «l’esercito farà il suo dovere, <i>però sarebbe bene non metterlo alla prova</i>». Insomma, le cose sono molto più complesse e intricate di quanto non lascino intendere Gentile e l’auto-apologia di Pugliese. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Se dovessimo però cercare un pregio dell’opera di Gentile, questo è senz’altro da rintracciare nella demolizione di una delle più grottesche e insistenti interpretazioni antifasciste della marcia su Roma, e cioè che essa non sia stata altro che «una goffa kermesse» (A. Repaci) o «poco più che una trascurabile adunata di utili idioti» (D. Sassoon). Gentile, infatti, ben evidenzia l’assoluta gravità della situazione, rimarcando il pericolo reale ed effettivo di un partito-milizia di massa che minacciava apertamente le istituzioni democratiche dello Stato liberale. Chiosa giustamente l’autore: «il sarcasmo storiografico lascia senza risposta, ripetendo così l’errore di incomprensione commesso a suo tempo dalla maggior parte degli antifascisti, che non presero sul serio il fascismo e la “marcia su Roma”. Poi, sconfitti e messi al bando dal fascismo, si consolarono ridicolizzando la “marcia su Roma” come una messa in scena, e proiettarono questa immagine su tutta la successiva esperienza del regime totalitario: e non capivano che, in tal modo, essi ridicolizzavano se stessi, perché si erano lasciati travolgere dai commedianti di un’opera buffa, i quali rimasero al potere per un ventennio, e furono detronizzati soltanto dopo essere stati sopraffatti e disfatti dagli eserciti stranieri in una seconda guerra mondiale».</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In conclusione, quest’opera di Gentile lascia perplessi, anche riguardo ai toni, allorché emerge implicitamente una sua interpretazione antifascista moderata e liberale della marcia su Roma. Proprio perché in finale, più che <b>Luigi Salvatorelli</b> (le cui tesi sono apprezzate da Gentile), fu all’epoca <b>Richard Child</b>, l’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, a cogliere l’essenziale dell’evento: «Qui stiamo assistendo a una bella rivoluzione di giovani (…) ricca di colore e di entusiasmo». Gioventù, colore, entusiasmo. Questo è fascismo. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-62969632183544802402013-01-30T12:05:00.000+01:002013-02-01T13:48:04.231+01:00«Il mio amico Pound ha ragione»<br />
<div style="text-align: justify;">
<i><span style="color: red;">di Adriano Scianca</span> </i></div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
«“Ma qvesto”,</div>
<div style="text-align: justify;">
disse il Duce, “è divertente”</div>
<div style="text-align: justify;">
afferrando il punto prima degli esteti».</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbgleGGlCVJWCLU4vJ5aGBSkCPlngPv9weWyZQD9o62mO5xx2o-oQtjPWg0Ih-lbdSj603kB3MXNjv1GdivIqt_Pnjv37t83z6ZwN8vXWButhAq8CwSjv0MwUgXnBNzQUI252Uqfh5gmw/s1600/EPound.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbgleGGlCVJWCLU4vJ5aGBSkCPlngPv9weWyZQD9o62mO5xx2o-oQtjPWg0Ih-lbdSj603kB3MXNjv1GdivIqt_Pnjv37t83z6ZwN8vXWButhAq8CwSjv0MwUgXnBNzQUI252Uqfh5gmw/s400/EPound.jpg" width="365" /></a></div>
L’incipit del canto 41 in cui Ezra Pound rievoca il suo incontro con Benito Mussolini (<i>the Boss</i>, nella versione originale) avvenuto esattamente 80 anni fa costituisce da sempre un vero rompicapo per gli storici e i letterati. Se la “v” in “qvesto” sembra alludere in parte alla romanità e in parte al marcato accento romagnolo di Mussolini (un particolare, quest’ultimo, che viene sottolineato proprio per segnare ulteriormente la natura popolare e popolana del capo del fascismo e la conseguente distanza tra lui e “gli esteti”), il giudizio si riferisce, come noto, alla lettura, da parte del Duce, dei primi 30 Cantos. Ma facciamo un passo indietro.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Informazioni di prima mano su Mussolini, al di là di ciò che il poeta leggeva nei giornali e vedeva per le strade, Pound le aveva avute da Olga Rudge, che già nel 1923 aveva suonato il violino per il leader fascista, riportandone un’opinione lusinghiera: il Capo di Stato appariva alla musicista americana come un uomo politico illuminato, amante dell’arte, che sapeva a sua volta suonare il violino e sembrava molto competente della materia per essere un profano. Tali racconti dovevano aver fatto grande presa su Pound, che da sempre auspicava una politica più attenta al mondo dell’arte e della cultura. Nei primi anni Trenta il poeta, come detto in precedenza, cominciò a muoversi per cercare di incontrare Mussolini. Anni dopo cercherà di fare altrettanto con Roosvelt, senza riuscirci. Con Mussolini dovette insistere un bel po’, ma alla fine lo incontrò (ulteriore conferma, ai suoi occhi, della superiorità dell’Italia fascista sull’America democratica), precisamente il 30 gennaio 1933, alle 17.30.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il poeta portò a Mussolini una copia dei canti 1-30. Il Duce li sfogliò, lesse per un po’, poi esclamò: «È divertente». Il commento appare a prima vista naif, superficiale, quasi irridente. Tale, almeno, è sembrato negli anni ai soloni della cultura. Non così all’autore dei <i>Cantos</i>, che proprio a questo episodio dedicherà l’incipit del canto 41 che abbiamo già visto precedentemente. Come spiegare l’entusiasmo di Pound? I più propendono per l’accecamento puro e semplice del poeta di fronte al suo eroe, ma forse che le cose stanno diversamente. Secondo Tim Redman, infatti, Mussolini era rimasto colpito da un passaggio in cui un personaggio dei <i>Cantos</i> parla in dialetto e aveva chiesto di cosa si trattasse. Dopo la spiegazione, il Duce si mise a ridere e disse che la cosa era divertente. Pound rimase folgorato e il perché ce lo ha spiegato di recente la figlia Mary: «Solo pochi giorni prima Joyce si era lamentato con mio padre perché nessuno gli aveva detto che l’<i>Ulysses</i> era divertente. Bisogna conoscere i retroscena». Antonio Pantano, invece, ha ricondotto il divertimento di Mussolini alla comprensione del metodo poundiano per eliminare le imposte, tassando direttamente il denaro con il ben noto meccanismo della moneta prescrittibile. Eliminare le tasse: quale governante non riterrebbe questo “divertente”?</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Nello stesso incontro, comunque, pare che Mussolini e Pound abbiano discusso di cultura cinese e del concetto confuciano del “mettere ordine nelle parole” per mettere ordine nelle idee. Al che Mussolini, evidentemente molto ben ispirato, quel giorno, chiese al poeta perché mai volesse mettere ordine nelle sue idee, confermando a Pound l’impressione di stare parlando con un uomo geniale. Idea che molti commentatori hanno giudicato ingenua, anche se uno studioso non certo fascisteggiante come Hugh Kenner ha potuto scrivere: «Nel 1933 sembrava possibile credere che Benito Mussolini comprendesse queste nozioni. Forse, in un certo senso, era così». Anche il fatto che Pound lo chiamasse “the Boss” (ma altre volte utilizzava nomignoli come “Mus” o “Ben” oppure, curiosamente, lo appellava “il toro”) non va trascurata: Pound, evidentemente, riconosceva nel capo del fascismo anche il proprio capo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiiU1kMF3BWJA7Jtplm5VlZ0Dap_SYf53QSxGZuqqa3xfPnHde00T2bh0P9qDLwYkfU-jYopDx0gCqoGsZ94WXuLN5kXLWUx8GwjxQ2ar5qWGiykX1Sc5CDGu2QLEeMP9ElD3FR79GG9ns/s1600/Jefferson_Mussolini_EP.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiiU1kMF3BWJA7Jtplm5VlZ0Dap_SYf53QSxGZuqqa3xfPnHde00T2bh0P9qDLwYkfU-jYopDx0gCqoGsZ94WXuLN5kXLWUx8GwjxQ2ar5qWGiykX1Sc5CDGu2QLEeMP9ElD3FR79GG9ns/s400/Jefferson_Mussolini_EP.JPG" width="280" /></a></div>
La convocazione dell’udienza venne appesa nello studio di Pound, mentre sulla carta da lettere finì la frase mussoliniana «la libertà è un dovere», <i>liberty, a duty</i>. Nel 1945, nei primi interrogatori con il comando militare americano, ricostruirà ancora una volta l’incontro con Mussolini, sbagliando la data ma aggiungendo ulteriori particolari: «Intorno al 1929, ho avuto un’udienza con Benito Mussolini che era a conoscenza del mio libro “Guido Cavalcanti” che gli avevo presentato l’anno prima. Lui pensava di discutere di quello, ma io invece gli ho sottoposto una serie di domande di argomento economico molto incalzanti». Altre richieste di colloquio finirono invece nel vuoto, spesso bloccate sul nascere dalla segreteria del Duce, decisamente poco a suo agio di fronte alla prosa creativa dei testi che il poeta continuava a inviare a Mussolini. Eppure il nome di Pound ricorre più di una volta in un testo centrale per la comprensione del pensiero del capo del fascismo: i <i>Taccuini mussoliniani</i> di Yvon De Begnac. Come noto si tratta della mole sterminata di appunti che il giovane giornalista conservò in occasione dei suoi colloqui con Mussolini avvenuti fra il 1934 e il 1943. Da questi taccuini avrebbe dovuto infine nascere una biografia del Duce che non vide mai la luce per le contingenze storiche, mentre gli appunti vennero in seguito pubblicati così come erano, con lunghi monologhi privi di domande sugli argomenti più disparati. E in tutto questo, come detto, compare più volte il nome di Pound. La citazione più importante recita, fra l’altro:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
«Il mio amico Ezra Pound ha ragione. La rivoluzione è guerra all’usura. È guerra all’usura pubblica e all’usura privata. Demolisce le tattiche delle battaglie di borsa. Distrugge i parassitismi di base, sui quali i moderati costruiscono le loro fortezze. Insegna a consumare al modo giusto, secondo logica di tempo, quel che è possibile produrre. Reagisce alle altalene del tasso di sconto, che fanno la sventura di chi chiede per investire nell’industria, e aumenta il mondo del risparmio, riducendone il coraggio, contraendone la volontà di ascesa, incrementandone la sfiducia nell’oggi, che è più letale ancora della sfiducia nel domani. Allorché il mio amico Ezra Pound mi donò le sue “considerazioni” sull’usura, mi disse che il potere non è del danaro, o del danaro soltanto, ma dell’usura soltanto, del danaro che produce danaro, che produce soltanto danaro, che non salva nessuno di noi, che lancia noi deboli nel gorgo dalla cui corrente altro danaro verrà espresso, come supremo male del mondo. Aggiunse in quel suo italiano, gaelico e slanghistico, infarcito di arcaismi tratti da Dante e dai cronachisti del trecento, che il potere del danaro e tutti gli uomini di questo potere regnano su un mondo del quale hanno monetizzato il cervello e trasformato la coscienza in lenzuoli di banconote. Il danaro che produce danaro. La formula del mio amico Ezra Pound riassume la spaventosa condizione del nostro tempo. Il danaro non si consuma. Regge al contatto dell’umanità. Nulla cede delle proprie qualità deteriori. Contamina peggiorandoci in ragione della continua salita del suo corso tra i banchi e le grida della borsa nelle cui caverne l’umano viene, inesorabilmente, macinato. Il mio amico Pound ha le qualità del predicatore cui è nota la tempesta dell’anno mille, dell’anno “n volte mille” sempre alle porte della nostra casa di dannati all’autodistruzione. La lava del denaro, infuocata e onnivora, scende dalla montagna che il cielo ha lanciato contro di noi, mi ha detto il mio amico Pound; e nessuno, tra noi, si salverà. Il mio amico Pound ha continuato con voi, come mi avete detto, nella casa romana dello scrittore di cose navali Ubaldo degli Uberti, l’analisi di come il danaro produce soltanto danaro, e non beni che sollevino il nostro spirito dalla palude nella quale il suo potere ci ha immerso. Non è ossessione la sua. Nessun uomo saggio, se ancora ne esistono, ha elementi per dichiarare esito di pericolosa paranoia il suo vedere, tra i blocchi di palazzi di Wall Street e tra le stanze dei banchieri della City, le pareti indistruttibili dell’inferno di oggi. I Kahn, i Morgan, i Morgenthau, i Toeplitz di tutte le terre egli vede alla testa dell’armata dell’oro. Pound piange i morti che quell’esercito fece. E vorrebbe sottrarre a ogni pericolo tutti noi esposti alla furia del potere dell’oro. Con il vostro amico Pound ho parlato di quello che Peguy ha scritto contro il potere dell’oro. Conosce quasi a memoria quelle pagine. Ne recita brani interi, senza dimenticarne alcuna parola. Il suo francese risale agli anni parigini in cui la gente di New York, di Boston, emigrata a Parigi, pensava ancora che l’occidente fosse fra noi. Illusa, quella gente, che scegliendo Parigi, il potere dell’oro sarebbe andato per stracci, almeno per questi migranti della letteratura. È, quel francese di Pound, come un prodotto del passato, come una denuncia del troppo che stiamo dimenticando, tutti noi che corriamo il rischio, o che già lo abbiamo corso, di finire maciullati dal potere dell’oro».</div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-52312697609662193592013-01-22T16:08:00.000+01:002013-01-22T16:08:04.809+01:00Lo Hobbit: un’ambiguità di fondo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">L’articolo è stato pubblicato in «Occidentale», gennaio 2013.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3X9zecSV27IfDMEAFZ3QjjbOGTLZ-1Iit_8sts5mcWBthQZFVieAej_qsfoCluiywcg0ap0SVgkf2HaTWl7xRkxKBeQ3oowLFbwvqDxVYfEhDTMzZf-dtDCb0m7y39fxa5Jf5R-K5Hn4/s1600/Lo_Hobbit.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3X9zecSV27IfDMEAFZ3QjjbOGTLZ-1Iit_8sts5mcWBthQZFVieAej_qsfoCluiywcg0ap0SVgkf2HaTWl7xRkxKBeQ3oowLFbwvqDxVYfEhDTMzZf-dtDCb0m7y39fxa5Jf5R-K5Hn4/s320/Lo_Hobbit.jpg" width="224" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Il 13 dicembre scorso è arrivato nelle sale italiane <i>Lo Hobbit: un viaggio inaspettato</i> (Warner Bros), il primo atto della prevista trilogia dedicata all’omonima opera di <b>J. R. R. Tolkien</b>. Il regista è, anche questa volta, <b>Peter Jackson</b>, il quale aveva già in precedenza curato la trilogia de <i>Il signore degli anelli</i>, il più famoso romanzo tolkieniano di cui questo <i>Lo Hobbit</i> costituisce il prequel. </div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
Lo stile, sia nella sceneggiatura che nella scenografia, è lo stesso collaudato per <i>Il signore degli anelli</i>: ricostruzioni grandiose, ambientazioni spettacolari (le riprese sono state realizzate in Nuova Zelanda), atmosfere conturbanti. I ritmi talvolta rallentano, ma nel complesso lo svolgimento della trama è avvincente.</div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
La storia, per il resto, è sufficientemente nota e sarebbe un peccato rivelarne anche solo degli spezzoni. La fedeltà della sceneggiatura all’opera originale è poi pressoché integra, se si fa eccezione di alcune licenze artistiche finalizzate a una migliore resa cinematografica. E il cast, infine, si rivela all’altezza del compito, con il bravo <b>Martin Freeman</b> nei panni del protagonista Bilbo Baggins, la conferma di <b>Ian McKellen</b> nel ruolo di Gandalf e la convincente prova di <b>Richard Armitage</b> nelle vesti del fiero e audace Thorin Scudodiquercia.</div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
Insomma, il film è godibile e ben realizzato sotto tutti i punti di vista, riuscendo nell’impresa di restituire al meglio il capolavoro tolkieniano. Quel che invece non può esser taciuto ed evitato è un giudizio sul messaggio «politico» dell’opera, soprattutto a livello di immaginario. Non è infatti un mistero che la narrativa tolkieniana, dal dopoguerra fino ad oggi, ha esercitato un notevole influsso sugli ambienti della destra radicale, tanto che i raduni estivi della gioventù missina, più o meno dissidente nei confronti del partito, presero il significativo nome, appunto, di «campi hobbit». L’esperienza di questi campi, legati peraltro in parte alla «nuova destra» tarchiana, ha poi dato vita in alcuni suoi esponenti a un complesso fenomeno di auto-mitizzazione che non è possibile analizzare in questa sede, ma i cui effetti sono visibili ancora oggi, in particolar modo – come si diceva – a livello di immaginario.</div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPRp-ACm_hgooXUljn7xw2KDfvzfPWnoZzQ_phE0resDQn5qRF56AV_9K-eX-V8GcNMtSDnva5ymWj71XME9rmgkXZ1wHJ_0bfoXKGfghhncWX2b7hlEWapVIwOqimJaYMOpW2N40chyM/s1600/Tarchi_rivoluzione_impossibile.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPRp-ACm_hgooXUljn7xw2KDfvzfPWnoZzQ_phE0resDQn5qRF56AV_9K-eX-V8GcNMtSDnva5ymWj71XME9rmgkXZ1wHJ_0bfoXKGfghhncWX2b7hlEWapVIwOqimJaYMOpW2N40chyM/s1600/Tarchi_rivoluzione_impossibile.jpg" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
Se da una parte è senz’altro vero che il fascismo del terzo millennio ha completamente e irrevocabilmente rivoluzionato l’immaginario destro-radicale, grazie soprattutto alla riattivazione delle radici avanguardiste e futur-ardite del sansepolcrismo, è tuttavia evidente, all’interno di questo vasto e stratificato immaginario, il permanere a livello residuale di richiami al mondo fantastico evocato da Tolkien. La questione naturalmente, sia chiaro, non è affatto artistico-letteraria, ma squisitamente <i>politica</i>, proprio perché in passato l’immaginario tolkieniano è stato spesso interpretato dai giovani neofascisti come un rifugio e una scappatoia: il fantasioso universo della Terra di Mezzo, popolato da nani, elfi e impavidi guerrieri, infatti, finiva più per proteggere dal mondo esterno una gioventù sotto costante attacco invece di fungere da collettore attivo e mobilitante. Le cause di questo processo erano sicuramente oggettive ma, al contempo, non si può negare una specie di resa soggettiva di fronte al tragico contesto politico da parte di alcuni militanti, i quali, magari inconsciamente, trovarono a Gondor o nella Contea ciò che sembrava loro impossibile conquistare in piazza, nelle strade, nell’ufficialità culturale e, più in generale, nella cosiddetta «società civile». </div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
A questo punto una valutazione «politica» dell’opera tolkieniana si impone. L’autore, com’è noto, attinse a piene mani alle leggende e ai miti classici e germanici, ricreando un mondo fortemente intriso di etica eroica e princìpi aristocratici che si possono cogliere e apprezzare, ad esempio, nella figura di Aragorn, il ramingo del nord che, deciso ad essere fedele al suo destino di re, accetta stoicamente l’arduo compito di reclamare il suo trono; stesso discorso vale per Thorin Scudodiquercia, il tenace nano pronto a ogni sacrificio pur di riconquistare per sé e per il suo popolo il regno usurpato dal drago Smaug. </div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuvWodKht217fOCKKcLkjh9qT74ko7eIYpq65Q5SCgRW_sVthkR51hSuQTEEK-0QDwVqwfgY1R6K1Ug6yhNgaIVmj56f66mwOacF8Hg4p5iciM6oBW3Ookoov9Z0Uq8osGH3vsGM_anN0/s1600/Lo_Hobbit_Thorin.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: justify;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuvWodKht217fOCKKcLkjh9qT74ko7eIYpq65Q5SCgRW_sVthkR51hSuQTEEK-0QDwVqwfgY1R6K1Ug6yhNgaIVmj56f66mwOacF8Hg4p5iciM6oBW3Ookoov9Z0Uq8osGH3vsGM_anN0/s320/Lo_Hobbit_Thorin.jpg" width="224" /></a>Nonostante ciò, tuttavia, nelle opere di Tolkien sono purtroppo presenti anche elementi riconducibili a una visione anti-eroica della vita. Gli Hobbit infatti, che svolgono un ruolo centrale nei suoi libri, rappresentano nei loro vizi e nelle loro virtù la componente «borghese» della Terra di Mezzo. Essi sono descritti come crapuloni, leggeri, pacifici, mansueti, tranquilli e bontemponi, senza una direzione d’esistenza e un destino, presi e tirati per la giacca dagli eventi che non riescono a controllare ma di cui, anzi, subiscono passivamente la tirannia. In proposito si potrebbe obiettare che Bilbo alla fine si decide per unirsi all’avventura di Thorin e Gandalf, rompendo in tal modo la ripetitiva routine della sua vita frivola e rilassata, così come Frodo accetterà di portare, tra atroci sofferenze, il «pesante fardello» per il bene comune. Gli Hobbit però, anche quando si risolvono per la lotta, non accedono mai a un’autentica dimensione tragica (e perciò eroica) dell’esistenza. Il loro compito è sempre gravoso, una scomoda e ineluttabile necessità di cui farebbero volentieri a meno, oppure, come nel caso di Bilbo, un temerario diversivo per evadere dalla monotonia borghese.</div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
In altre parole gli Hobbit sono, nella migliore delle ipotesi, «eroi per caso», e quindi anti-eroi, proprio come tutti i borghesi, del resto. Una visione del mondo che, oltretutto, si attaglia benissimo alla concezione puritana e intrinsecamente anti-eroica dello spirito anglosassone in generale e statunitense in particolare, come hanno ben evidenziato <b>Giorgio Locchi</b> e <b>Alain de Benoist</b> ne <i>Il male americano</i> (LEdE, 1978), dove il guerriero è lodato solo quando difende la società dei pii e dei devoti, ma dove l’etica eroica, al contrario, è inevitabilmente condannata in quanto blasfema ed empia.</div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt;">
<div style="text-align: justify;">
L’ambiguità dell’epica tolkieniana, quindi, risiede proprio in questo sottinteso dualismo che si compone nel lieto fine ma che lascia nondimeno irrisolto il conflitto. L’eterno conflitto, cioè, tra l’anima borghese, tiepida, timorosa e inessenziale, e lo spirito eroico, ardente, tragico, epico. Tra il borghese, che si accontenta degli agi e della «qualità» della vita, e l’eroe che accetta il suo destino di lotta e vittoria. L’eterno conflitto, insomma, tra la tragedia e la farsa. </div>
</div>
<div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-76442685864978818862012-10-31T14:59:00.000+01:002012-10-31T14:59:17.759+01:00Giuseppe Mazzini: il profeta della «Nuova Italia»<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red; font-family: Georgia, Times, serif;"><span style="line-height: 20.766666412353516px;">L’articolo sarà pubblicato in «Occidentale», novembre 2012.</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1A0-1_SzyYqMWt7FAEJ0YbXH9-EnDqt-1qSZdcVRZVfZoemhYfPGMhNkX_J_-arPv7D-ralgQmdth4CenEStLcFt4tDB8IwHFzjeK7eaUlQGXhy0BzuAUlwAzT1Z3W1Fj4M0ekuM_ux4/s1600/Mazzini+(Belardelli).jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1A0-1_SzyYqMWt7FAEJ0YbXH9-EnDqt-1qSZdcVRZVfZoemhYfPGMhNkX_J_-arPv7D-ralgQmdth4CenEStLcFt4tDB8IwHFzjeK7eaUlQGXhy0BzuAUlwAzT1Z3W1Fj4M0ekuM_ux4/s400/Mazzini+(Belardelli).jpg" width="253" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Grazie agli sterminati contributi (certo per quantità ma non sempre per valore) prodotti in occasione del 150° anniversario dell’Unità, si era iniziato un più vasto processo di rilettura del Risorgimento e dei suoi protagonisti, presto cessato, però, a causa dell’evidente fastidio di parlare di un’Italia «una e indipendente» nel mentre si assisteva all’insediamento (illegittimo) di uno dei governi più antinazionali e servili che la storia del nostro disgraziato popolo ricordi. Tra oleografie istituzionali, rivendicazioni neoborboniche, rivalse padane e reazioni neoguelfe, tuttavia abbiamo anche assistito a una quanto mai opportuna riconciliazione di alcuni ambienti eredi del fascismo con il nostro moto risorgimentale, grazie principalmente a due opere di cui abbiamo già parlato qui sulle pagine di «Occidentale»: la raccolta di saggi <i><a href="http://augustomovimento.blogspot.it/2011/10/italia-come-volonta-di-potenza.html" target="_blank"><span style="color: red;">Una Patria, una Nazione, un Popolo</span></a></i> (Herald Editore), curata da <b>Pietro Cappellari</b>, e l’e-book <i><a href="http://augustomovimento.blogspot.it/2012/06/il-risorgimento-nel-mito-di-roma.html" target="_blank"><span style="color: red;">Dell’elmo di Scipio</span></a></i> di <b>Sandro Consolato</b> (Flower-ed). </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ad ogni modo, tra le opere pubblicate nel 2011 o poco prima, una in particolare è stata pressoché trascurata e lasciata sotto traccia, ossia l’ottimo <i><a href="http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=15076" target="_blank"><span style="color: red;">Mazzini</span></a></i> di <b>Giovanni Belardelli</b> (il Mulino, pp. 264, € 12). Docente di Storia del pensiero politico contemporaneo all’Università di Perugia, Belardelli si è anche distinto per il volume <i><a href="http://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=99&task=schedalibro&isbn=9788842076520" target="_blank"><span style="color: red;">Il Ventennio degli intellettuali</span></a></i> (Laterza, 2005) incentrato su aspetti notevoli della cultura fascista. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il suo Mazzini, più in particolare, risulta quanto mai utile per comprendere sino in fondo l’apporto decisivo che il patriota genovese fornì al nostro processo di unificazione nazionale. Un contributo più spirituale, morale e culturale che non squisitamente «politico-fattuale» (si pensi all’esempio glorioso ma purtroppo effimero della Repubblica romana), che si rivelò nondimeno fondamentale per mantenere ardente la fiamma delle nostre rivendicazioni d’indipendenza e di unità, svolgendo un ruolo tutt’altro che secondario nello spronare le varie correnti patriottiche del Risorgimento.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Non fosse solo per questo (e già basterebbe!), non si può inoltre trascurare l’influenza che il suo esempio esercitò sugli intrepidi giovani che daranno vita alla rivoluzione italiana del Novecento. Ci siamo del resto già altre volte soffermati sul debito contratto dal fascismo nei confronti dell’eredità politica e culturale mazziniana, in particolare per quanto riguarda il primato della nazione sulla classe, lo spiritualismo anti-materialistico, la rivoluzione sociale tramite l’associazionismo e la collaborazione interclassista, la visione della politica come missione e pedagogia collettiva, l’identificazione di pensiero e azione, l’etica del dovere e dell’eroismo, l’approccio volontaristico alla realtà, il ruolo centrale di <i>élites</i> volitive e d’avanguardia, il mito della «Terza Italia» e della nuova Roma. Senza contare le numerose venature romantiche che caratterizzavano la mentalità e l’azione di sindacalisti rivoluzionari, di interventisti e di molti esponenti dello squadrismo che provenivano dalla tradizione politica repubblicana. Tanto che <b>Emilio Gentile</b> ha inserito Mazzini nel vasto magma ideologico da cui prese forma il movimento mussoliniano, e addirittura si è potuto parlare di un «Mazzini in “camicia nera”» (<b>P. Benedetti</b>). </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0s2MuEUjRJQQ8VcGo2GEmqu7kydytFAf7mckO4-XOCn3XZ40lsP0_MvWRXiR5FadYHJwo1g6nMs9e_wrgdXKggz3WChG0rdFcsfJi1Q76F3q_044lxMJu5HcVTsiT3rhMXUG3WRBgez8/s1600/GaribaldiGianicolo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0s2MuEUjRJQQ8VcGo2GEmqu7kydytFAf7mckO4-XOCn3XZ40lsP0_MvWRXiR5FadYHJwo1g6nMs9e_wrgdXKggz3WChG0rdFcsfJi1Q76F3q_044lxMJu5HcVTsiT3rhMXUG3WRBgez8/s400/GaribaldiGianicolo.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
L’Italia postbellica, viceversa, si è richiamata a Mazzini solo nella misura in cui egli rientrava nell’interpretazione ufficiale e oramai oleografica e vuotamente retorica del nostro Risorgimento, formulata dall’<i>entourage</i> sabaudo, il quale aveva già in larga parte depoliticizzato e depotenziato il verbo mazziniano, espungendovi i suoi caratteri rivoluzionari e anti-monarchici. Il suo abbandono nel secondo dopoguerra era perciò naturale e scontato, visto che le ardenti parole d’ordine di Mazzini, così come i suoi richiami al primato dell’Italia sulle nazioni, ben poco si attagliavano a governi e intellettuali che si erano prostituiti alla Casa Bianca o al Cremlino. Imperativi di fuoco che, oltretutto, spesso si coloravano di nero.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Un discorso a parte, inoltre, merita l’opportunità e la legittimità (non dico filologica, ma perlomeno <i>ideale</i>) di un «recupero» di Mazzini all’interno dell’immaginario rivoluzionario e avanguardistico, fortemente intriso di vitalismo, che è alla base del «fascismo del terzo millennio». Se per <b>Garibaldi</b> e il garibaldinismo non si sono presentati problemi di sorta, grazie agli elementi nazionali e sociali (ma non marxisti) che caratterizzavano l’«eroe dei due mondi», nonché agli ideali di giovinezza e spirito di sacrificio che permearono sempre il volontarismo delle camicie rosse, potrebbe invece apparire una stonatura il richiamo ideale a quel Mazzini che <b>Carducci</b> immortalò come «grande, austero, immoto» e dal «volto che giammai non rise». Quello stesso Mazzini che, già durante gli anni universitari, decise di vestirsi a lutto per l’oppressione della sua patria (abitudine che conservò per tutta la vita).</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Eppure, accanto al Mazzini brumoso che volontariamente teneva a rappresentarsi come un profeta e un martire, quasi un «santone», è esistito e convissuto anche il Mazzini dall’intraprendenza romantica e ribelle, il quale – come ben illustra Belardelli – fu tra i primi del suo tempo a fare della giovinezza e del dato generazionale un «diretto valore politico». Uno spirito indomito, oltretutto, che si manifestò già nella sua prima esperienza politica, allorché partecipò, a neanche 17 anni, ai moti studenteschi di Genova nel marzo 1821. Armato di bastone, si recò assieme ai suoi compagni dal governatore del capoluogo ligure per reclamare, con fare minaccioso, la Costituzione. Ebbene sì, quando c’erano in gioco i destini della nazione, chi aveva 17 anni poteva anche brandire i bastoni con l’intenzione, peraltro, di usarli. Si capisce ora il perché chi non tollera fumogeni e passeggiate futuriste per i corridoi di scuola difficilmente potrebbe apprezzare uno dei più grandi padri della patria… </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh_UJfilaaNLnq1prRmgpTijD_yOs0cCZve6-Zaw2HU8UG7YjYeBDgRubBR58O2ZzWF_XopD_tCEc32_g4acNTNPKFChKv_GXBHBk6H2D91EUXkQeJ4UmlllYopzaLxZST7UxYXlbnx3DI/s1600/5giornatemilano.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh_UJfilaaNLnq1prRmgpTijD_yOs0cCZve6-Zaw2HU8UG7YjYeBDgRubBR58O2ZzWF_XopD_tCEc32_g4acNTNPKFChKv_GXBHBk6H2D91EUXkQeJ4UmlllYopzaLxZST7UxYXlbnx3DI/s400/5giornatemilano.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma, per tornare a noi, il culto tipicamente romantico della giovinezza e dei sani ardori giovanili contrapposti alla pusillanime prudenza dei vecchi (temi recepiti dalla lettura di <b>Foscolo</b>, <b>Goethe</b> e <b>Byron</b>) influenzò dunque fortemente il giovane Giuseppe e la prima associazione politica mazziniana (così come la sua pluridecennale esperienza cospirativa). La Giovine Italia infatti (e già il nome è significativo) fu indirizzata per espressa volontà di Mazzini a chi non superasse i 40 anni d’età. Si tratta dello stesso Mazzini che lasciò scritto, tra le altre cose, che «la gioventù è bollente per istinto, irrequieta per abbondanza di vita, costante ne’ propositi per vigore di sensazioni, sprezzatrice della morte per difetto di calcolo». Una giovinezza debordante di vita e di eroismo che – anche secondo <b>Fichte</b> – assumeva caratteri dirompenti e rivoluzionari: i giovani infatti, per il filosofo tedesco, «recano in petto un mondo tutto nuovo e diverso». Sembra di sentire Marinetti…</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Insomma, il libro di Belardelli è importante per almeno due motivi: da una parte restituisce al pensiero mazziniano i suoi reali contorni (strappandolo quindi alle riletture democratiche e liberali di comodo), dall’altra, invece, ci mostra un Mazzini nella duplice veste di rivoluzionario e ribelle oltreché di profeta e martire di un’idea di potenza e libertà. Non sarebbe male, pertanto, riappropriarci di uno dei più puri protagonisti del Risorgimento, il quale già con la Repubblica romana ci ha dimostrato come sia possibile conciliare quei due elementi che veramente nobilitano la politica, ossia <i>popolo</i> e <i>rivoluzione</i>. Un uomo che fece della sua missione e del suo «apostolato» un dato carnale, vissuto, offrendosi all’esilio e alle più grandi sofferenze. Un uomo che, di contro ai moderati e ai vili d’ogni risma, per l’Italia era stato capace di concepire un <i>destino</i>. Un destino che oggi, nell’epoca dei governi tecnici antinazionali, dovremmo avere il coraggio di riprenderci. </div>
<div>
<br /></div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-24744953544914642392012-06-05T10:21:00.002+02:002012-06-05T10:26:37.400+02:00Il Risorgimento nel mito di Roma<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">L’articolo sarà pubblicato in «Occidentale», giugno 2012.</span> </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-2I1JHOSuG0KyQ8VjoCUkeMjZ9KLvc9E6XusRuz9sGhcgBUW8Lguv020ZM_pMYcmtzisymPtWowGn2fhMYZBgtEFyfqRUOUJOjNazQGELPpDwiJGDTWC9TOL4qdlyRm2whZXzN_IyiVs/s1600/Dell%2527elmo+di+Scipio.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh-2I1JHOSuG0KyQ8VjoCUkeMjZ9KLvc9E6XusRuz9sGhcgBUW8Lguv020ZM_pMYcmtzisymPtWowGn2fhMYZBgtEFyfqRUOUJOjNazQGELPpDwiJGDTWC9TOL4qdlyRm2whZXzN_IyiVs/s320/Dell%2527elmo+di+Scipio.jpg" width="224" /></a>In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia – oltre ai festeggiamenti e ai «solenni» discorsi delle alte cariche dello Stato – è stata prodotta una mole imponente di saggi, monografie, miscellanee, conferenze e convegni che hanno trattato del nostro Risorgimento. Molto spesso a sproposito, lasciando oltretutto ampio spazio ai vari rigurgiti antinazionali (padani, neoborbonici, neoguelfi, internazionalisti, mondialisti, ecc. ecc.). E anche la «nebulosa» neofascista ha in molti casi snobbato la memoria del nostro processo unitario, secondo schemi e modalità assai complessi e stratificati di cui abbiamo ampiamente trattato qui sulle colonne di «Occidentale». <br />
<br />
Eppure, proprio in seno all’ambiente nazional-rivoluzionario, abbiamo potuto apprezzare una coraggiosa, doverosa e puntuale messa in discussione della tradizione antirisorgimentale neofascista. E questo, in particolare, grazie al volume miscellaneo curato da <b>Pietro Cappellari </b><a href="http://augustomovimento.blogspot.de/2011/10/italia-come-volonta-di-potenza.html" style="color: yellow;" target="_blank"><i>Una Patria, una Nazione, un Popolo</i></a> (Herald Editore), il quale segna un punto di rottura all’interno del proprio ambiente di riferimento, e che si propone anche come punto di non ritorno: come fine degli equivoci, come riappropriazione di una gloriosa tradizione che, invece di essere dimenticata o distorta o umiliata, deve essere al contrario proiettata, decantata e potenziata, nell’avvenire prossimo e remoto. <br />
<br />
È proprio in tal contesto che si inserisce l’ultima fatica di <b>Sandro Consolato</b>, ossia <a href="http://www.flower-ed.it/index.php?route=product/product&product_id=70" style="color: yellow;" target="_blank"><i>Dell’elmo di Scipio. Risorgimento, storia d’Italia e memoria di Roma</i></a> (Flower-ed, pp. 331, € 14). Consolato, cultore di «studi tradizionali» e direttore de <a href="http://www.lacittadella-web.com/" style="color: red;" target="_blank">«La Cittadella»</a>, per quest’operazione editoriale ha scelto un’opzione innovativa e coraggiosa, cioè la formula dell’e-book: gli amanti del cartaceo potrebbero scoraggiarsi nell’impresa, eppure – premetto subito – la lettura del documento telematico non risulta affatto scomoda o limitante. Tra l’altro l’opera merita un’attenta e meditata lettura poiché – sulla scorta di una vasta e valida bibliografia, oltreché grazie a una interessante chiave di interpretazione – l’autore confuta una per una tutte le distorsioni neofasciste del Risorgimento, mettendo altresì in luce la plurisecolare continuità, talvolta palese talaltra sotterranea, dell’ideale unitario italiano all’insegna di Roma e della romanità. <br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKCQYCLlYbb99xf1iM5YaWhrFJfoFYiWQDBjktcQZCPnEfFIc0SHbVSxpHL9tICxhWLLAIGIWRB5NwX950z7w9nM6RISI9R0UrDyz3r4U144BFcNjAolphJ2UqX-2tmQF5eT6H0zxrLG0/s1600/RisOrGiMeNtO_iTaLiaNo__by_rhmn.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhKCQYCLlYbb99xf1iM5YaWhrFJfoFYiWQDBjktcQZCPnEfFIc0SHbVSxpHL9tICxhWLLAIGIWRB5NwX950z7w9nM6RISI9R0UrDyz3r4U144BFcNjAolphJ2UqX-2tmQF5eT6H0zxrLG0/s400/RisOrGiMeNtO_iTaLiaNo__by_rhmn.jpg" width="300" /></a>La specificità tutta italiana di quest’idea di <i>ri-sorgenza</i> (pensiamo, oltre a «Risorgimento», a termini quali «Rinascimento» e «Riscossa»), ossia l’idea del <i>ripiego</i> – per usare una formula locchiana – su un’origine mitica e carica di gloria, era stata del resto già notata e posta in rilievo da un insospettabile come <b>Antonio Gramsci</b> (insospettabile solo per chi ragiona ancora con paraocchi ideologici), che Consolato opportunamente cita: «Nel linguaggio storico-politico italiano è da notare tutta una serie di espressioni legate strettamente al modo tradizionale di concepire la storia della nazione e della cultura italiana, che è difficile e talvolta impossibile di tradurre nelle lingue straniere. […] Nasce nell’Ottocento il termine “Risorgimento” in senso più strettamente nazionale e politico, accompagnato dalle altre espressioni di “Riscossa nazionale” e “riscatto nazionale”: tutti esprimono il concetto del ritorno a uno stato di cose già esistito nel passato o di “ripresa” offensiva (“riscossa”) delle energie nazionali disperse intorno a un nucleo militante e concentrato, o di emancipazione da uno stato di servitù per ritornare alla primitiva autonomia (“riscatto”). Sono difficili da tradurre appunto perché strettamente legate alla tradizione letteraria-nazionale di una continuità essenziale della storia svoltasi nella penisola italiana, da Roma all’unità dello Stato moderno, per cui si concepisce la nazione italiana “nata” o “sorta” con Roma, si pensa che la cultura greco-romana sia “rinata”, la nazione sia “risorta”, ecc. La parola “riscossa” è del linguaggio militare francese, ma poi si è legata alla nozione di un organismo vivo che cade in letargia e si riscuote, sebbene non si possa negare che le è rimasto un po’ del primitivo senso militare».<br />
<br />
L’acume di Gramsci, in effetti, lascia sbalorditi: in questa lucidissima notazione dell’intellettuale comunista, infatti, è contenuta l’idea fondamentale del <i>ritorno all’origine mitica</i> visto non come restaurazione anacronistica o reazionaria di un passato morto e sepolto, bensì come <i>risveglio</i> delle «energie nazionali», come <i>progetto d’avvenire</i>, come «ripresa offensiva», ossia come <i>avanzata</i>. È una concezione squisitamente <i>rivoluzionaria</i>, anche nel senso «tradizionale» indicato da Consolato, il quale intende la «<i>ri-voluzione</i> come <i>ri-torno</i>, quasi astronomicamente scandito, a una condizione originaria perduta in virtù di un perturbamento intervenuto nell’<i>ordo rerum</i>». Non fu d’altronde già D’Annunzio, non a caso cultore del mondo greco-romano nonché «Vate» della nuova Italia, a definire la nostra nazione, con un magnifico epiteto dall’eco omerica, la «Semprerinascente»?<br />
<br />
E Consolato, di fatti, tenta di rintracciare il filo rosso del nostro ideale nazionale dall’Antichità sino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, passando per i sovrani longobardi, <b>Federico II di Svevia</b>, <b>Dante</b>, <b>Petrarca</b>, <b>Cola Di Rienzo</b>, <b>Alfonso d’Aragona</b>, <b>Machiavelli</b>, <b>Campanella</b>, <b>Vico</b>, <b>Filangieri</b>, <b>Romagnosi</b>, <b>Vittorio Emanuele II</b>, <b>Mazzini</b>, <b>Garibaldi</b> e tanti altri, più o meno conosciuti dal grande pubblico, i quali desiderarono ardentemente e prepararono lungo i secoli la rinascita dell’Italia nel nome augusto di Roma.<br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiq5M_lXAGDJvinHfXnSWPE3r6cROtmTTzi4TTXjkqepFIn3_iPl7veEf6SXZK5vUu6g93EV_LEp3USBHUrQ38EgJY766aPEsk4e64vs299PrmCKMYEAVCbUW-NQreEv3aDsclJ6c2gln0/s1600/statuaromana.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiq5M_lXAGDJvinHfXnSWPE3r6cROtmTTzi4TTXjkqepFIn3_iPl7veEf6SXZK5vUu6g93EV_LEp3USBHUrQ38EgJY766aPEsk4e64vs299PrmCKMYEAVCbUW-NQreEv3aDsclJ6c2gln0/s400/statuaromana.jpg" width="298" /></a>Proprio in questo contesto, del resto, si inserisce la critica spietata, ma acuta e documentata, delle fallaci interpretazioni neofasciste del Risorgimento. A cominciare da quella – interna dunque al «movimento tradizionale» – di <b>Julius Evola</b>, la quale aveva d’altra parte già ricevuto le obiezioni puntuali di <b>Adriano Romualdi</b>, uno tra i migliori allievi del Barone. Evola, infatti, fece sua in buona parte la lettura demonizzante della corrente neoguelfa («a destra» rappresentata soprattutto da <b>Attilio Mordini</b>), la quale vedeva nel Risorgimento un complotto massonico ai danni della Chiesa e del «mondo tradizionale», rintracciando viceversa i paladini della Tradizione nella Santa Alleanza, nell’Austria asburgica, nelle potenze della Restaurazione e in quel <b>Metternich</b> (l’«ultimo grande europeo» secondo Evola) che reputava l’Italia una mera «espressione geografica». Tutto un mondo, cioè, che tra l’altro – argomenta l’autore – si presenta tutt’altro che cristallino e in regola anche da un punto di vista strettamente tradizionale, non mancando tra le sue fila persone equivoche, ambigue e poco nobili, le quali talvolta intrattenevano inquietanti rapporti con varie sette e massonerie ben poco rispettabili. <br />
<br />
E questo proprio mentre l’autore illustra, con dovizia di particolari e con valida documentazione, come presso molti gruppi insorgenti e unitaristi la Massoneria svolgesse la «funzione di “copertura” di realtà iniziatiche italiane ben più antiche della Libera Muratoria nata in Inghilterra nel 1717», con gli esempi di spicco della Carboneria, della Società dei Raggi e della Guelfia (ma il nome non tragga in inganno), le quali molto spesso si caratterizzavano in quanto depositarie dell’antica sapienza pitagorica. Così si può dire del resto di Garibaldi, spesso disprezzato dalla <i>vulgata</i> neoguelfa in quanto appartenente alla Massoneria, laddove Consolato mette ben in luce la poco nota ma radicatissima ispirazione romana dell’«eroe dei due mondi».<br />
<br />
Insomma, ce n’è abbastanza per mandare in soffitta settant’anni di neofascismo reazionario e antirisorgimentale, riattivando invece – sia secondo <i>tradizione</i> che secondo <i>rivoluzione</i> (che è la quintessenziale sintesi fascista) – il nostro mito più puro e originario. Un mito che è carico di <i>storia</i> e di <i>gloria</i>, ma anche – se noi ancora lo vorremo – del più splendido <i>destino</i>.<br />
</div>triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-87073422308141577192012-03-28T12:15:00.000+02:002012-03-28T12:15:11.534+02:00Le origini dell’ideologia fascista<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">L’articolo sarà pubblicato in «Occidentale», aprile 2012.</span> </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3NG_149H8jGg7rAf4jcqRu-VHvohmw10PWU-8ynd4TKAXTjDwaqrCetSAyfqZI0zj75qGoezyPitJ0WtoZtVREviMYSSojVFONyddKvM71SIaXKjlZ0TJc0lkhvAt6Ob7Ybd8z3NCqQI/s1600/Le+origini+dell%27ideologia+fascista.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg3NG_149H8jGg7rAf4jcqRu-VHvohmw10PWU-8ynd4TKAXTjDwaqrCetSAyfqZI0zj75qGoezyPitJ0WtoZtVREviMYSSojVFONyddKvM71SIaXKjlZ0TJc0lkhvAt6Ob7Ybd8z3NCqQI/s400/Le+origini+dell%27ideologia+fascista.jpg" width="258" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Oramai esaurita e introvabile in libreria, è stata recentemente ristampata la seconda edizione (1996) di <a href="http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=23338" style="color: yellow;" target="_blank"><i>Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925)</i></a>, opera tra le più importanti dell’insigne storico <b>Emilio Gentile</b> (Il Mulino, pp. 512, € 16). Si tratta di uno dei capisaldi della moderna storiografia sulla dottrina fascista, «catturata» nel momento della sua nascita e del suo evolversi sino alla svolta del 1925, allorché il governo di Mussolini si fece regime e il pensiero fascista entrò nella sua fase matura, ancorché tutt’altro che concluso e cristallizzato, come si addice, del resto, a ogni moto spirituale e culturale schiettamente rivoluzionario, il quale non è mai stasi, ma è movimento, avanzata. Che non è mai contemplazione del passato e appagamento nelle mete raggiunte, bensì sguardo audace e proiezione entusiastica verso l’avvenire. Un avvenire che, com’è noto, è sempre incerto e, quindi, sommamente e meravigliosamente intrigante. Un pensiero, insomma, che fu creato dall’ardente fuoco di innovatori e di avanguardisti, e non certo dalla mente fredda e calcolatrice del borghese in vestaglia e pantofole, sempre timoroso del domani e, pertanto, nemico di ogni vera e autentica rivoluzione.<br />
<br />
Il libro – arricchito rispetto alla prima edizione (1975) di un saggio introduttivo intitolato «La modernità totalitaria» – è fondamentale almeno per due motivi. Innanzitutto perché illustra con rigore ed efficacia non comuni il fiume impetuoso degli ideali fascisti in tutti i suoi rivoli e i suoi affluenti. In secondo luogo perché, al tempo della sua prima pubblicazione, fu una delle prime opere che, sulla scia della «rivoluzione storiografica» defeliciana, contribuirono a far giustizia di tutte le viete e artificiose teorie sul fascismo sorte nel dopoguerra, semplicistiche e ultra-ideologizzate: in particolare quella marxista, che vedeva nel fascismo una rozza e brutale reazione al soldo dell’alta borghesia industriale; e quella liberale, che interpretava il «fenomeno fascista» come «male del secolo», scaturito dall’esperienza disumanizzante della Grande Guerra, e di conseguenza come un imprevisto e ingombrante ostacolo alle «magnifiche sorti e progressive» dell’umanità borghese e neo/post-illuminista. <br />
<br />
Gentile al contrario, destrutturando queste vecchie a fallaci interpretazioni, ricostruisce il percorso aurorale dell’ideologia fascista grazie al ricorso sapiente e antipregiudiziale alle fonti primarie dell’epoca, analizzando le parole e gli scritti degli uomini e degli intellettuali che, direttamente o indirettamente, contribuirono all’edificazione della cultura fascista. A cominciare, ovviamente, da <b>Benito Mussolini</b>, ossia da quel Mussolini socialista che, venuto a contatto con l’opera di filosofi e pensatori quali <b>Nietzsche</b>, <b>Stirner</b>, <b>Sorel</b> e <b>Pareto</b>, operò una revisione «idealistica» e perciò volontaristica del socialismo, che rappresentò senz’altro il primo passo verso la sua futura «presa di coscienza» fascista. <br />
<br />
Tra le innumerevoli componenti culturali del fascismo, ritroviamo poi quelle correnti ardentemente e causticamente rivoluzionarie che, oggi, costituiscono la piattaforma esistenziale e mitica del fascismo del terzo millennio. Mi riferisco, in particolare, alle origini futur-ardite, fiumane, sindacaliste e squadriste del movimento mussoliniano, latrici di uno stile di vita sostanziato di «avventura, eroismo e spirito di sacrificio»: tutto ciò ben rappresenta, del resto, l’essenza di quel «romanticismo fascista» descritto già all’inizio degli anni Sessanta da <b>Paul Sérant</b>. Radici nobili e rivoluzionarie, quindi, che le tartarughe frecciate di CasaPound – attraverso una riappropriazione volontaristica dell’origine fascista, depurata dalle scorie passatiste e conservatrici – hanno posto a pietra angolare della loro azione politica avanguardistica. <br />
<br />
Ma non potremmo neanche tacere le correnti attualiste, relativiste e scettiche del fascismo, incarnate dai loro capiscuola <b>Giovanni Gentile</b>, <b>Adriano Tilgher</b> e <b>Giuseppe Rensi</b>. Maggiormente conosciuto il primo, è stato certamente un gran merito dell’Autore aver riscoperto gli ultimi due. Tilgher, ad esempio, immettendo il fascismo – con l’entusiastica adesione del Duce – nell’alveo delle grandi correnti filosofiche relativistiche, sanciva la distruzione, o quanto meno la messa al bando di ogni «metafisica» tirannica e limitante, riconducendo pertanto il movimento delle camicie nere al suo specifico volontarismo d’origine nietzscheana. Stesso discorso vale per Rensi, esponente di punta dello scetticismo moderno (ben diverso da quello «classico»), anche se talora il suo pensiero si carica di tonalità eccessivamente naturalistiche e pessimistiche, le quali però – a onor del vero – ben si sposavano con alcuni aspetti di derivazione machiavelliana propri della mentalità di Mussolini. <br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimTzt4agp2kOtUUrAapcrBIYjQsrG31VGIutXDzhUhAPwxkYGH2m8wi1eNUew2aA7Ove-InfdyCMDHCRprV52um0sxKMfa6WJohJZYqeRG9Qh4fG3MdYnqOkvTxid2ghTQEOph5GR1oeU/s1600/FORVM-palazzo-della-cultura-fascista3.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEimTzt4agp2kOtUUrAapcrBIYjQsrG31VGIutXDzhUhAPwxkYGH2m8wi1eNUew2aA7Ove-InfdyCMDHCRprV52um0sxKMfa6WJohJZYqeRG9Qh4fG3MdYnqOkvTxid2ghTQEOph5GR1oeU/s400/FORVM-palazzo-della-cultura-fascista3.jpg" width="281" /></a>Ciò che emerge, in sostanza, dalla ricognizione di Emilio Gentile nel sostrato ideologico del fascismo, è la sua natura eminentemente <i>rivoluzionaria</i> e <i>moderna</i>. Ideologia anti-ideologica, alla quale riconosceva un ruolo puramente <i>strumentale</i>, «il fascismo riassumeva nel mito dello Stato e nell’attivismo come ideale di vita i caratteri essenziali della sua ideologia, che lo distinsero dalle altre ideologie politiche del nostro tempo». Primato della politica e dell’azione, mito della nazione e dello Stato, culto della giovinezza e dell’eroismo, proiezione tragica e carica di destino nell’avvenire più remoto: questi i fondamenti del fascismo che, tra l’altro, sanciscono la sua <i>originalità</i> e <i>autonomia</i> rispetto a qualsiasi altra ideologia. A partire innanzitutto dal nazionalismo borghese e ottocentesco, in barba a tutte le superate speculazioni sulla «cattura ideologica» del fascismo da parte del nazionalismo. Come evidenzia Emilio Gentile, infatti, «il fascismo affermò l’idea della nazione come mito, mentre per i nazionalisti la nazione era una <i>realtà naturale</i>, per i reazionari un principio tradizionalista indipendente dalla volontà degli individui, un passato che condiziona il presente e determina il futuro secondo percorsi immutabili». Ovvero, per dirla con <b>Henri Lemaître</b>, la cultura fascista «concepisce la nazione non essenzialmente come eredità di valori, ma piuttosto come un divenire di potenza». <br />
<br />
Divenire di potenza, prospettiva millenaria, primavera di bellezza. Niente di più prossimo al trittico casapoundiano etica-epica-estetica, recentemente tradotto da <b>Scianca</b> in volontà di potenza, volontà di forma, volontà di destino. Come si può vedere, ripercorrere le origini dell’ideologia fascista significa anche fare chiarezza su sé stessi. Ma – e ciò è fondamentale – tale percorso non è assolutamente quello del gambero. L’origine, cioè, non è mai alle nostre spalle, è sempre <i>a venire</i>. La rivoluzione, in altri termini, riguarda sia il passato che il futuro. La rivoluzione è ovunque e in ogni momento, è sempre in atto.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-11130869603464165862012-03-05T12:01:00.002+01:002012-03-05T14:31:21.027+01:00La nuova politica e la nazionalizzazione delle masse<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">L’articolo sarà pubblicato in «Occidentale», marzo 2012.</span> <br />
<br />
«Pochi libri – forse nessuno tra quelli pubblicati in questi ultimi anni – hanno tanta potenza suggestiva e sono così ricchi di vera cultura e di stimoli intellettuali e di suggerimenti metodologici e tematici come questo di <b>George L. Mosse</b>. Fare in questo campo riferimenti, confronti, è sempre difficile. Eppure, se un riferimento, un confronto è possibile, i nomi, i titoli che vengono in mente sono due: quello di Johan Huizinga con il suo <i>Autunno del Medioevo</i> e quello di Marc Bloch con il suo <i>I re taumaturghi</i>». Così si esprimeva, con toni elogiativi, <b>Renzo De Felice</b> presentando al pubblico italiano nel 1975 l’opera di Mosse <a href="http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=13124" style="color: yellow;" target="_blank"><i>La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania (1815-1933)</i></a>, recentemente ristampata dalla casa editrice Il Mulino (pp. 312; € 12). <br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsmSsDeug-LwkrACjlSYzjLt4lfS0mKqRPBdb59olh8cirg3s4BQd2fNpHX8k8KiIRUN-i6Yr6_9t1FIEMLBmPuNC5mR-ztTUTCdvRjNBvEG66yCkNh_i_F1_WUCMSYXUBVFWEn65cbaU/s1600/Walhalla_bei_Regensburg.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="265" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsmSsDeug-LwkrACjlSYzjLt4lfS0mKqRPBdb59olh8cirg3s4BQd2fNpHX8k8KiIRUN-i6Yr6_9t1FIEMLBmPuNC5mR-ztTUTCdvRjNBvEG66yCkNh_i_F1_WUCMSYXUBVFWEn65cbaU/s400/Walhalla_bei_Regensburg.jpg" width="400" /></a>Il lavoro di Mosse, in effetti, è di una importanza fondamentale nella storia degli studi sulle rivoluzioni nazionali del primo Novecento. Intanto perché mostra, in tutta la sua chiarezza, l’intrinseca <i>modernità</i> del cosiddetto «fenomeno fascista» (a cui noi preferiamo dare, in accordo con <b>Giorgio Locchi</b>, la definizione di «tendenza sovrumanista»), il quale dunque si distingueva nettamente da ogni altro movimento conservatore o reazionario sin lì presente sulla scena politica. In secondo luogo perché esso illustra a dovere il vasto e trasversale consenso che il nuovo <i>stile politico</i> riuscì a catalizzare e poi a incanalare nel suo progetto d’ampio respiro, denunciando così la patente debolezza di ogni speculazione semplicistica e interessata su termini quali «terrore», «propaganda» e «demagogia» applicati alla prassi politica dei governi nazional-rivoluzionari tra le due guerre. Da tutto ciò, tra l’altro, consegue la rivalutazione dell’immaginario mitico e simbolico che permeò la <i>nuova politica</i> «fascista», il quale non è più visto, pertanto, come mero gusto per la teatralità o – peggio – come mezzo di assoggettamento delle masse, ma piuttosto come «linguaggio» privilegiato per rendere effettiva e tangibile l’unità morale e spirituale della nazione.<br />
<br />
Procediamo però con una premessa terminologica. Quando Mosse parla di «nuova politica», egli intende, sostanzialmente, quell’innovativo «stile politico» sorto con la Rivoluzione francese, il quale si sviluppò grazie alla prepotente irruzione delle masse nella storia, della quale esse si presentavano ora come protagoniste. Si tratta, più in particolare, della dirompente ascesa di quella che <b>Jean-Jacques Rousseau</b> definì la «volontà generale», che – in un mondo in cui «Dio è morto» – condusse a poco a poco alla creazione di una <i>religione laica</i> e <i>secolare</i>, e alla nascita di un «culto del popolo per se stesso». Mosse, dunque, analizza l’evoluzione della nuova politica nella Germania ottocentesca per giungere sino al nazionalsocialismo, tracciando determinatamente lo sviluppo di quella ch’egli definisce la «nazionalizzazione delle masse», ossia il progressivo sorgere della mistica nazionale e comunitaria attraverso cui il popolo tedesco creò quella <i>liturgia politica</i> che doveva cementare e inverare la sua unità spirituale.<br />
<br />
Di qui l’importanza decisiva del ruolo svolto dai comitati patriottici, dalle confraternite studentesche, dalle associazioni ginniche e corali, dagli architetti neoclassici che – a partire dalle guerre anti-napoleoniche che risvegliarono l’orgoglio germanico – parteciparono attivamente al sostegno di questa euforia nazionalistica e che decisamente concorsero – attraverso i monumenti nazionali, le feste, le cerimonie, ecc. – alla creazione di una tradizione in cui poi si inserì il nazionalsocialismo nel periodo postbellico, allorché la fierezza dei tedeschi era stata messa a dura prova dalla sconfitta nella Grande Guerra e poi sostanzialmente calpestata dalla classe dirigente di Weimar.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKEjbA5sT5tbsgrVR9WJvH5fWML3bTdcuqyX1OOcquw5GGIsu_znD5kJYSR78iNmr_cQl3AKLE2gksHCL5sA78EqtOcogbZRoaa837w5OiGf8q_crHjHN2CQudibzC0z9xFs0svph30L8/s1600/stadio+dei+marmi+foro+mussolini+-+arciere.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjKEjbA5sT5tbsgrVR9WJvH5fWML3bTdcuqyX1OOcquw5GGIsu_znD5kJYSR78iNmr_cQl3AKLE2gksHCL5sA78EqtOcogbZRoaa837w5OiGf8q_crHjHN2CQudibzC0z9xFs0svph30L8/s400/stadio+dei+marmi+foro+mussolini+-+arciere.jpg" width="273" /></a></div>
Con la pubblicazione del libro, un problema che subito venne posto riguardava la possibilità di applicare i concetti di «nuova politica» e di «nazionalizzazione delle masse» anche all’Italia fascista. De Felice, sia nell’introduzione all’opera mossiana che nella sua celebre <a href="http://www.ibs.it/code/9788842053712/de-felice-renzo/intervista-sul-fascismo.html" style="color: yellow;" target="_blank"><i>Intervista sul fascismo</i></a>, si affrettò a fornire una risposta negativa, rimarcando anzi eccessivamente la distanza tra fascismo e nazionalsocialismo (arrivando addirittura a parlare di «antitesi») e proponendo la non convincente distinzione tra «totalitarismo di destra» (nazionalsocialismo tedesco) e «totalitarismo di sinistra» (fascismo italiano). Nonostante ciò, fu un allievo dello stesso De Felice a dimostrare l’aderenza del movimento mussoliniano alle pratiche della nuova politica. Mi riferisco, ovviamente, a <b>Emilio Gentile</b> che, nel 1993 e dopo alcuni lavori preparatòri, licenziò la pubblicazione de <a href="http://www.ibs.it/code/9788842063230/gentile-emilio/culto-del-littorio.html" style="color: yellow;" target="_blank"><i>Il culto del littorio</i></a>, in cui venivano analizzati i simboli, i miti, la liturgia e i riti della religione laica fondata dal fascismo.<br />
<br />
Al di là dell’usuale condanna della nuova politica da parte dei gendarmi del pensiero egualitario, rimane tuttavia un assillante quesito a turbare il sonno degli epigoni di Locke e Montesquieu. Assistendo cioè al fallimento sostanziale (lasciamo perdere i circhi mediatici confezionati ad arte) delle democrazie occidentali nella mobilitazione delle masse e nella loro attiva partecipazione alla vita civile, e nel momento in cui torna in voga l’antipolitica, è possibile riconquistare le masse alla politica? Le rivoluzioni nazionali del Novecento hanno dimostrato che ciò è fattibile, in particolare grazie all’eliminazione di tutti i vari diaframmi che si frappongono tra il popolo e la classe dirigente (partiti, lobbies, parlamenti, ecc.) e stabilendo, pertanto, un più diretto contatto tra governanti e governati. E in ciò riuscirono, soprattutto, ricorrendo all’energia feconda e verace del <i>mito</i>, sfruttando tutta la potenza del linguaggio figurale e simbolico che faceva vibrare all’unisono le anime di tutto un popolo, e rifuggendo quindi dall’algida verbosità discorsiva e razionalistica dei politicanti e degli intellettuali «impegnati».<br />
<br />
È dunque possibile, in definitiva, realizzare l’unica vera e autentica «democrazia» nell’èra postmoderna? È oggi possibile realizzare, in altri termini, quella democrazia che <b>Moeller van den Bruck</b> definiva giustamente «la partecipazione di un popolo al proprio destino»? Come si può vedere, nonostante settant’anni di ubriacatura egualitaria e demo-liberale, il problema della partecipazione delle masse alla politica e dell’autocoscienza civile dei popoli è ancora aperto. È ancora, malgrado tutto, la grande sfida del nostro tempo.</div>triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-1447902797089718382012-02-02T15:47:00.001+01:002012-02-02T15:47:40.501+01:00Processo alla borghesia: causa ancora pendente...<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">L’articolo sarà pubblicato in «Occidentale», febbraio 2012.</span> </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
«Il credo del borghese è l’egoismo, il credo del fascista è l’eroismo». Parola di Mussolini. Parole che squarciano l’ipocrisia, che affondano nel burro della budinosa prudenza borghesuccia che la Rivoluzione fascista intendeva debellare dalla nuova Italia imperiale, risorta dal lavacro di sangue della Grande Guerra. L’Impero, d’altra parte, non è cosa per pantofolai e cacasotto. Il sangue contro l’oro: così cantava la gagliarda gioventù che entusiasticamente partiva volontaria per il fronte nel 1940. Si parte, si vince contro il nemico esterno, e poi si regolano i conti con gli «inglesi di casa nostra», cioè i borghesi, gli imboscati, i profittatori e i ruffiani della Rivoluzione. Così pensavano fiduciosi i nostri Ricci, Giani, Pallotta. Com’è arcinoto, le cose andarono diversamente. Ma il messaggio degli «eroi di Mussolini» non fu vano. Ce lo dimostra bene <i>Processo alla borghesia</i>, raccolta dei contributi della migliore <i>élite</i> intellettuale educata dal Regime. Un volume curato da <b>Edgardo Sulis</b> che, allorché fu pubblicato nel 1939, andò letteralmente a ruba, divorato dai giovani fascisti impegnati nella «bonifica integrale» voluta da Mussolini. Bonifica di ogni vigliaccheria, diserzione e profitto personale a danno della comunità. <br />
<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi47-ku4eskM239R9p2F_is83GMRiEXgMiTY6phg0AKhTPCFWLhZk0KG6DsPRv73t07b4K0P8sDnu1APM5CGk2raisVVQJVmnr-TXRJCqR9pLAMoYvfIP2p3Gi40h7gphoh11ivRAJnV7k/s1600/Processo+alla+borghesia_or.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi47-ku4eskM239R9p2F_is83GMRiEXgMiTY6phg0AKhTPCFWLhZk0KG6DsPRv73t07b4K0P8sDnu1APM5CGk2raisVVQJVmnr-TXRJCqR9pLAMoYvfIP2p3Gi40h7gphoh11ivRAJnV7k/s400/Processo+alla+borghesia_or.jpg" width="275" /></a>
È per questo che va tributata massima lode alla casa editrice Settimo Sigillo che ha recentemente ripubblicato il bestseller degli anni Trenta (pp. 117, € 15). Oltre alla preziosa introduzione di <b>Luca Leonello Rimbotti</b>, vengono riproposti inalterati i brevi saggi dei collaboratori dell’opera. Allora conosciamolo il fior fiore della giovane cultura fascista: Edgardo Sulis, <b>Berto Ricci</b>, <b>Icilio Petrone</b>, <b>Roberto Pavese</b>, <b>Diano Brocchi</b>, <b>Alberto Luchini</b>, <b>Gianni Calza</b>, <b>Omero Valle</b>, <b>Gino Barbero</b> e <b>Federico Forni</b>. Si tratta di un «processo» in piena regola, con tanto di «identificazione dell’imputato» (la borghesia, naturalmente), di presentazione delle prove e di «verdetto» finale (condanna, manco a dirlo).<br />
<br />
Profilo dell’imputata: «figlia di Lutero e della Rivoluzione francese che accolse e soddisfece i suoi 95 desideri di comodità ideale e di peccato legittimo; nata in casa dell’economia lo stesso giorno in cui fu proclamata l’indipendenza economica; battezzata nel 1789 col sangue di un privilegio scaduto dal quale nacque un privilegio ben più tenace, non responsabile, comodissimo; senza patria; sposata in tenerissima età al denaro, senza figli; abitante in casa della proprietà privatissima o in casa del desiderio di proprietà come fine; connotati indefinibili; segni particolari nessuno; professioni: 1) antiaristocrazia; 2) costituzionalismo; 3) economismo; 4) antipopolo; 5) classismo; 6) intellettualismo». Si divertivano i giovani fascisti, altro che! Si divertivano a provocare gli imboscati, gli egoisti, gli irresponsabili, i padreterni della diserzione eretta a indegno stile di vita.<br />
<br />
Ma <i>Processo alla borghesia</i> non è certo un progetto estemporaneo o una mera distrazione goliardica, come potrebbe insinuare il solito scureggione antifascista dalla lingua lunga e biforcuta. Nient’affatto. Il libro è invece una serissima disamina del «mal borghese» vivisezionato e analizzato in tutti i suoi inquietanti aspetti. È un progetto di fondamentale importanza che aveva, tra l’altro, l’appoggio di uno sponsor di grido. Leggiamo infatti in una piccola nota al contributo di Sulis che apre l’opera: «In omaggio a un lettore del manoscritto sono state stampate in corsivo le frasi da lui sottolineate». Il «lettore» è, ovviamente, <b>Benito Mussolini</b>. Il volume acquista così, com’è evidente, una notevole valenza dottrinaria e ufficiale. <br />
<br />
Le argomentazioni di Sulis e camerati, del resto, risultano ancora oggi di una sconcertante attualità. Proprio nel momento in cui la borghesia celebra il suo trionfo, non sarà quindi male ritornare alle cause che la fecero nascere. Cause da rintracciare, innanzitutto, nella sconfitta (meritata!) delle oligarchie feudali dell’<i>Ancien Régime</i>, oramai inadatte a ricoprire quel ruolo di comando che detenevano da tempi immemori. Ma – come nota Sulis avallato dal Duce – l’«<i>intento della rivoluzione borghese dell’89 è naturalmente di sostituirsi alla debole aristocrazia la quale per essere scesa nella trincea della classe si oppone oramai al popolo</i>. Il desiderio è di spartirsi gli enormi patrimoni <i>aristocratici veramente degni di conquista se da mezzi quali erano, si rivelavano i fini della classe dirigente</i>. Ma infine lo scopo, il vero scopo <i>era di rovesciare l’incomodo e pericoloso principio della responsabilità del comando</i>. Affermo che la grande invenzione della borghesia è il <i>comando senza responsabilità</i>, quella responsabilità ch’è l’anima della aristocrazia e gli costò la testa. Tale invenzione si chiama <i>costituzione</i>» (p. 10). Al contrario, la Rivoluzione fascista (rivoluzione eroica) intendeva formare una nuova «aristocrazia del comando» nuovamente responsabile «di fronte <i>al popolo, il quale non è mai classe</i>», quel popolo che – come scrive Berto Ricci – non è «né imitazione borghese né retrograda plebe, ma milizia e lavoro» (pp. 23-24). Borghesia, quindi, detentrice dei privilegi, ma anonima e assente nei suoi doveri, e nemica del popolo di cui illegittimamente si professa rappresentante. <br />
<br />
Ma la battaglia antiborghese dei giovani mussoliniani va ben oltre la polemica puramente verbale, e si trasforma invece in analisi economica e sociale. E, infatti, vengono attaccati frontalmente i baluardi della borghesia, ossia la proprietà privata (non «in sé» ma «per sé») e l’istituzione stessa del salario: «Il concetto medesimo del salario – scrive sempre Ricci – è borghese, perché riduce al minimo qualsiasi reale partecipare del lavoratore a una produzione che si traduce per l’economia di lui in un tanto fisso. Il salario è il lavoro-merce» (p. 25). Viceversa, il lavoro per i fascisti non doveva più essere <i>merce</i>, ossia <i>oggetto</i> dell’economia, ma – come ci ricorda Gino Barbero – «dovere sociale» e «<i>soggetto</i> dell’economia» (p. 97).<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjY_4NxEAMIPnCAWuBn9-ioNMy3SLWCaw79l9uDqqZBGiKz-HRZADpr0U8s-pY_TR1RccZ0zcd63RwU1CI1ixfoFwf6WYLpwYMiEpgnUgecaZmh6uCZcEzPchEsxgpiRHtAIVGjeWSU4_0/s1600/Berto+Ricci.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjY_4NxEAMIPnCAWuBn9-ioNMy3SLWCaw79l9uDqqZBGiKz-HRZADpr0U8s-pY_TR1RccZ0zcd63RwU1CI1ixfoFwf6WYLpwYMiEpgnUgecaZmh6uCZcEzPchEsxgpiRHtAIVGjeWSU4_0/s400/Berto+Ricci.jpg" width="285" /></a></div>
Attenzione, però! La borghesia vuol sì essere classe e casta, eppure non bisogna assolutamente scambiar lucciole per lanterne. C’è differenza tra la borghesia e il «ceto medio», come ben ci rammenta l’«universalista» Roberto Pavese: se il borghese, infatti, è «un evirato dello spirito, un bruto intelligente, anzi più furbo che intelligente», al contrario «il coraggio, il volontarismo, dall’epopea garibaldina alla grande guerra, sono del ceto medio, non della borghesia, che è la classe degli imboscati della guerra e della pace» (p. 42). Il borghese, in sostanza, non è in tanto borghese in quanto possiede una specifica posiziona sociale o un determinato conto in banca, ma in quanto vive di uno <i>spirito</i> che è egoistico, vile e reattivo. Può esser borghese, cioè, anche un operaio che non ha altro obiettivo nella vita che quello di diventar borghese, così come non è borghese il farmacista che, in camicia nera nella sua squadra d’azione, cade nell’agguato di una banda di socialisti. È una questione di spirito, dunque: come giustamente evidenzia Icilio Petrone, si tratta di quello «spirito carrieristico, agnostico, materialistico che caratterizza l’indifferenza, il comodo, l’elefantiasi della borghesia» (p. 35). Borghesia, quindi, come malattia mentale, come paralisi dell’anima. <br />
<br />
E, purtroppo, questa mentalità borghese finisce per infettare tutta la comunità nazionale. Una mentalità, innanzitutto, che si basa sul valore assoluto della <i>ricchezza</i>, la quale non è più l’<i>effetto</i> del potere (potere comunque «responsabile») bensì la <i>garanzia</i> del potere (stavolta, però, potere irresponsabile e anonimo). Si tratta, secondo le caustiche parole di Ricci, di quell’«idolo antieroico e antifascista della ricchezza vertice dei valori» (p. 26). Per Gianni Calza, più in particolare, «bisogna invece arrivare alla demolizione del concetto stesso di <i>ricchezza-potenza</i> e fondare sulla gerarchia del lavoro il nuovo ordine sociale» (p. 79). Non che i fascisti – beninteso! – lanciassero improbabili anatemi sul denaro in sé, vagheggiando bucolici e pauperistici paradisi terrestri. Ma la differenza tra il fascista e il borghese sta nel <i>valore</i>, appunto, che si dà alla ricchezza: per il fascista è un <i>mezzo</i> per ottenere qualcos’altro (per esempio la potenza della nazione), per il borghese invece è il <i>fine</i> supremo dell’esistenza. Per dirla con Omero Valle, «il borghese serve il denaro, il non borghese se ne serve» (p. 94). <br />
<br />
Come si può vedere, i temi sollevati dai fascisti rivoluzionari e antiborghesi sono ancora di scottante attualità. Il «processo» va indubbiamente ripreso, per evitare che i reati della rapace borghesia, la quale ha affamato popoli e nazioni per secoli, non cadano in prescrizione. Ma la battaglia deve cominciare alla radice stessa del problema: da noi. Scrive Berto: «L’antiborghesia fascista deve, soprattutto, non essere solo polemica. Dev’essere costruzione, educazione. Il borghese non esiste soltanto allo stato puro. Il borghese è in noi, in ciascuno di noi, con le sue rinunzie e le sue ambizioni, il suo sottilizzare e dubitare, il suo particolarismo d’individuo, di famiglia, di ceto, la sua brama di ricchezza, la sua – specialmente – paura della povertà; la sua paura del coraggio; il suo basto d’abitudini; la sua doccia tiepida d’accomodamenti; la sua estraneità dalla vita fisica e da quel tanto di natura che ci vuole all’uomo civile perché la civiltà non si deformi nella più gretta barbarie. La lotta antiborghese è dunque, nel suo significato più alto, tirocinio crudo di tutti noi, uno per uno, perché solo un’umanità fascista nella quale nessuno cerchi scuse e nessuno ne trovi, tutti accettino compiti e tutti ne ricevano, potrà riconoscere la supremazia dello spirito, detronizzare la ricchezza dalla vita» (pp. 28-29). Il primo nemico sei tu, siamo noi. È sempre e solo l’eterna battaglia tra l’egoismo più bieco e l’eroismo che crea e feconda la civiltà. Civiltà del lavoro, s’intende… </div>triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-66322967815284639602012-01-24T15:30:00.000+01:002012-01-24T15:30:06.784+01:00Riprendersi Giovanni Gentile<div style="text-align: justify;">
Segnaliamo questo minisaggio pubblicato per l’«<a href="http://www.ideodromocasapound.org/" style="color: red;" target="_blank">Ideodromo</a>» dove, in alto sulla destra, è possibile rintracciare l’immagine per scaricare il relativo pdf.</div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHNxgqU18F0jO0f6ewwdY7Vd32tIFyjcNxqaf6gxX15BQ4M5-jp333XMTNnIp3Lf5N6TbKlvr_euVq5zTmA7SXdksaSTbE6GoXk3r48U182OVDGgyxR7f6jO4415CPKdC60S5xGVGEL-s/s1600/Riprendersi_GG_Id.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjHNxgqU18F0jO0f6ewwdY7Vd32tIFyjcNxqaf6gxX15BQ4M5-jp333XMTNnIp3Lf5N6TbKlvr_euVq5zTmA7SXdksaSTbE6GoXk3r48U182OVDGgyxR7f6jO4415CPKdC60S5xGVGEL-s/s1600/Riprendersi_GG_Id.png" /></a></div>
<br />triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-9629804145505508592011-12-23T15:48:00.003+01:002011-12-24T02:00:47.034+01:00Dentro e fuori CasaPound<div style="text-align: justify;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglU2L46awVESe2k47T5DRKYKEU4HjHN_HJ9lYuqezPdmAKz9U_8g3LM_HsAB96eMzjVLD9jv0BYcM5Tcu1TH4kbxHs6pexy6dwhlAmLDTgsOThVSdSd5DD5_Eq2fKjS4Uvbml1Z7bCrFI/s1600/fuoridalcerchio.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEglU2L46awVESe2k47T5DRKYKEU4HjHN_HJ9lYuqezPdmAKz9U_8g3LM_HsAB96eMzjVLD9jv0BYcM5Tcu1TH4kbxHs6pexy6dwhlAmLDTgsOThVSdSd5DD5_Eq2fKjS4Uvbml1Z7bCrFI/s400/fuoridalcerchio.jpg" width="285" /></a></div>
L’interesse innegabile e crescente per il fenomeno di CasaPound, quando non si è tradotto in dossier e inchieste con intenti palesemente diffamatori e dal sapore paranoico, ha prodotto anche studi di un certo rilievo. Un tentativo di lettura «interna» è stato dato, per esempio, da <b>Domenico Di Tullio</b> con il suo ormai esaurito <i><a href="http://www.ibs.it/code/9788876151057/di-tullio-domenico/centri-sociali-destra.html" style="color: yellow;" target="_blank">Centri sociali di destra: occupazioni e culture non conformi</a></i> (Castelvecchi, 2006), che ripercorre la genesi politica e culturale dell’esperimento metapolitico e movimentistico della «tartaruga frecciata». Recentemente, inoltre, la strutturazione via via più complessa e stratificata della <i>Weltanschauung</i> casapoundiana – dinamicamente modellantesi, d’altra parte, in parallelo all’azione più propriamente politica del movimento – ha richiesto una sua messa-in-forma ad opera di <b>Adriano Scianca</b> che, con <i><a href="http://www.latestadiferro.org/os/product_info.php?manufacturers_id=17&products_id=1367" style="color: yellow;" target="_blank">Riprendersi tutto</a></i> (SEB, 2011), ha realizzato, tra le altre prospettive del volume, una vera e propria analisi politologica dell’«idea del mondo» di CasaPound. <br />
<br />
A parte lo sforzo di auto-comprensione affrontato dai protagonisti stessi di CasaPound, è però soprattutto «da sinistra» che l’attenzione si è fatta e si sta facendo sempre più viva e, per certi versi, necessaria. Se l’operazione <i>made in «Repubblica»</i> rappresentata da <i><a href="http://www.ibs.it/code/9788869651878/cosmelli-alessandro/oltrenero-nuovi-fascisti.html" style="color: yellow;" target="_blank">OltreNero: nuovi fascisti italiani</a></i> (Contrasto, 2009) di <b>Alessandro Cosmelli</b> e <b>Marco Mathieu</b> rimane tuttavia ancorata alle secche di certo giornalismo d’inchiesta scandalistico e furbescamente deformante, un esempio ben più edificante ci è fornito viceversa da <i><a href="http://www.ibs.it/code/9788861921405/antolini-nicola/fuori-dal-cerchio-viaggio.html" style="color: yellow;" target="_blank">Fuori dal cerchio: viaggio nella destra radicale italiana</a></i> (Elliot, 2010) del giovane ex militante del Pci <b>Nicola Antolini</b>, che dedica gran parte del suo volume all’esperienza di CasaPound. Il lavoro di Antolini, in particolare, risulta difficilmente incasellabile in un preciso genere letterario, data la sua specifica natura: si tratta infatti di approfondite interviste a numerosi esponenti dell’area destro-radicale (ma non solo), sicché potremmo definirla un’analisi politologica <i>informale</i>. Ad ogni modo, quest’opera rappresenta senz’altro un proficuo e serrato confronto tra diverse «anime» politiche su un terreno franco e anti-pregiudiziale, con l’esplicito intento di scandagliare «il problema dell’egemonia culturale del paese, che secondo molti starebbe cambiando radicalmente di segno, spostandosi progressivamente da sinistra verso il fronte opposto» (p. 5).<br />
<br />
Da considerazioni analoghe è nato il volume di recentissima pubblicazione <i><a href="http://www.ibs.it/code/9788860819260/di-nunzio-daniele-toscano/dentro-e-fuori-casapound.html" style="color: yellow;" target="_blank">Dentro e fuori CasaPound: capire il fascismo del terzo millennio</a></i> (Armando, pp. 160, € 15) di <b>Daniele Di Nunzio</b> ed <b>Emanuele Toscano</b>, due giovani sociologi anch’essi di formazione culturale «di sinistra». Per motivare la loro ricerca su CasaPound, infatti, gli autori dichiarano: <br />
<br />
<blockquote class="tr_bq">
La riflessione intorno all’avanzare della destra nei quartieri periferici e non della nostra città – Roma – aveva occupato già da un po’ le nostre discussioni. Da ricercatori, e prima ancora da cittadini impegnati da sempre in iniziative di quartiere, ci siamo chiesti dove e come la nostra generazione aveva sbagliato, non riuscendo a creare la cinghia di trasmissione con le nuove generazioni necessaria a dare continuità a quell’insieme di pratiche relazionali, creative e sociali che avevano caratterizzato gli spazi frequentati da adolescenti e universitari. Semplicemente, ci siamo accorti che i luoghi di aggregazione, di scambio, di incontro, stanno cambiando; e ai centri sociali, alle sezioni, si vanno sostituendo spazi in cui è più o meno chiara la matrice fascista, nelle scuole e nei quartieri della nostra città. Addebitavamo (e tuttora pensiamo sia così) questa «sconfitta» all’incapacità della sinistra – intesa in senso ampio e trasversale – di fornire risposte e soluzioni ai problemi e interpretazioni ai cambiamenti del mondo di oggi. Ma anche e soprattutto alla nostra – noi di sinistra – sicurezza nell’essere nel giusto, nel nostro porci in modo acritico nei confronti della realtà perché certi della forza delle nostre idee. Senza riuscire, e metterlo per iscritto non è certamente facile, a riattualizzare la nostra posizione di egemonia culturale, già fortemente provata dagli avvenimenti che avevano sconvolto la sinistra nell’ultimo decennio del secolo scorso. […] Questo libro ha come obiettivo quello di contribuire a conoscere il fenomeno CasaPound, il perché del suo avanzare soprattutto tra le giovani generazioni e il suo radicarsi in contesti spesso anche diversi e articolati, dalle periferie come nei quartieri più borghesi, nelle grandi città come nei piccoli centri (pp. 128-129). </blockquote>
<br />
Come si può vedere, da parte di certa sinistra esiste un’esigenza – scaturita dal graduale sgretolamento della sua egemonia culturale – di comprendere l’<i>altro da sé</i> rinunciando ai paraocchi ideologici e alle facili demonizzazioni ascientifiche e antiscientifiche. E – aggiungo – non è probabilmente un caso che tale esigenza sia maggiormente avvertita da alcuni dei più giovani, i quali non godono delle laute prebende derivanti da quella egemonia (a differenza di qualche vecchio <i>maître à penser</i>…) e che di essa hanno per lo più vissuto la fase decadente.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHC-p_1GvKDRyask5S6MPz_QUKTXYBhISnSBfUyM1N2SkOGD8LaWsxsAHcz94WyHIOcQhm9ZvEE6IIL6hn2AmQzxeOhKvMFTJnK2UIF3N9HMuQ6KSHeFYRqIj3lwcYqStJ2Sy3ghds0t0/s1600/dentro-e-fuori-casapound-copertina.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHC-p_1GvKDRyask5S6MPz_QUKTXYBhISnSBfUyM1N2SkOGD8LaWsxsAHcz94WyHIOcQhm9ZvEE6IIL6hn2AmQzxeOhKvMFTJnK2UIF3N9HMuQ6KSHeFYRqIj3lwcYqStJ2Sy3ghds0t0/s400/dentro-e-fuori-casapound-copertina.jpg" width="271" /></a></div>
Ad ogni buon conto, <i>Dentro e fuori CasaPound</i> rappresenta uno studio sociologico di alto livello, che intende analizzare le ragioni della progressiva ascesa del movimento delle tartarughe frecciate. Uno studio preparato, del resto, da una ricerca sulla musica «non conforme» (che ha fruttato un articolo su «Alias», supplemento del «Manifesto», nell’aprile del 2009) e da un <i>paper</i> presentato al XVII Congresso mondiale dell’International Sociological Association, svoltosi a Göteborg nel luglio del 2010, ossia <i><a href="http://isa2010.aimit.se/146470/Paper" style="color: yellow;" target="_blank">Can We Still Speak about Extreme Right Movements? CasaPound in Italy between Community and Subjectivation Drives</a></i> (alcune conclusioni del quale sono riprese da un articolo per l’edizione online dell’«Espresso» dell’ottobre dello stesso anno, significativamente intitolato <i><a href="http://espresso.repubblica.it/dettaglio/perch%C3%A3%C2%A9-piace-casa-pound/2136993" style="color: yellow;" target="_blank">Perché piace CasaPound</a></i>). <br />
<br />
E infatti, come si evince in particolare dal titolo stesso del <i>paper</i> or ora citato, una delle prospettive più interessanti del libro è rappresentata proprio dal carattere di forte problematicità dell’identificazione di CasaPound con quella che è comunemente definita «estrema destra», sia nella prassi che nei presupposti teorici: un’identificazione che è invece riproposta e recitata a mo’ di mantra dalla sedimentata vulgata antifascista che, molto spesso in maniera interessata, è perennemente occupata a ricondurre l’ignoto e il nuovo al già noto e, più in generale, al dogma fideistico e a-razionale. Dalla ricerca degli autori, infatti, «emerge una distanza di CasaPound rispetto a orientamenti culturali, assetti politici e sociali riferibili alla destra estrema» e alla «destra conservatrice e reazionaria» (pp. 94-96) sostanziata, del resto, dall’idea dell’«EstremoCentroAlto», ossia quella «“visione del mondo” capace di andare al di là delle interpretazioni ideologiche tradizionali del fascismo e del neofascismo, del consociativismo e della socialdemocrazia» (p. 95). Una distanza che si concretizza, ad esempio, nel rifiuto del razzismo estremo-destro, giacché risultano assolutamente estranee a CasaPound «rivendicazioni di una presunta superiorità razziale nei confronti dei soggetti migranti, segnando in questo una discontinuità con il neofascismo classico del dopoguerra» (p. 52), così come questa differenza si avverte in ambito musicale, cioè il fulcro della metapolitica casapoundiana, dal momento che «i codici espressivi e di stile propri della destra radicale sono stati rimessi in discussione oppure, in alcuni casi, direttamente abbandonati», tanto che l’«autoironia è utilizzata come forma di critica verso i dogmi della tradizione di estrema destra» (p. 71). Non è un caso, d’altra parte, che di recente lo stesso <b>Gianluca Iannone</b> abbia esplicitamente fatto uso del termine «casapoundismo», proprio per evidenziare la radicale originalità del movimento di cui è leader. <br />
<br />
Lo studio inoltre, più specificamente, si fonda sull’analisi del Soggetto – sociologicamente inteso – e dei suoi rapporti con la comunità di cui fa parte. Partendo quindi dalla contrapposizione – proposta dal sociologo <b>Alain Touraine</b> – di auto-determinazione ed etero-direzione, si rileva che «all’interno di CasaPound l’individuo cerca il proprio <i>spazio di vita</i> dove costruire delle forme di resistenza al dominio, per elaborare e perseguire delle alternative politiche, sociali e culturali, a livello individuale e collettivo» (p. 74). La comunità di CasaPound è pertanto vista come una potenzialità di affermazione individuale in un contesto «non conforme» (altrimenti impossibile nella società atomistica e globalizzata), in cui si instaura un equilibrio, seppur mai scontato, tra individuo e collettività, tra autorità e libertà e tra gerarchia e partecipazione. L’impegno dei militanti in CasaPound, inoltre, «trascende dall’essere semplicemente un impegno politico e facilmente diventa esistenziale». Di più: «questo intenso coinvolgimento è percepito dai membri di CasaPound non come una costrizione o un’imposizione, ma come un’espressione naturale del proprio essere, poiché essi vedono in CasaPound uno spazio ideale per esprimere al meglio la loro esistenza», tanto che non è raro che si crei una «continuità tra il vissuto personale e quello comune in CasaPound» (p. 75).<br />
<br />
Se il soggetto intravede quindi in CasaPound una «potenzialità per l’affermazione di sé», è altresì vero il contrario, e cioè che «l’affermazione dei singoli è considerata indispensabile a quella del movimento» (p. 76). Questo processo dialettico di socializzazione, che pone la forza della comunità come effetto della forza dei singoli, si osserva in particolare grazie alla partecipazione dei giovani (che in CasaPound è massiva) e al loro percorso formativo: «riguardo all’espressione autonoma della propria personalità», infatti, «i giovani di CasaPound sono invogliati a “osare” e a agire. È interessante sottolineare come è riconosciuto il diritto del giovane “di sbagliare” – entro certi limiti, soprattutto riguardanti il rispetto delle gerarchie – nell’idea che non bisogna frenare l’istinto rivoluzionario e creativo proprio delle giovani generazioni» (p. 81). In termini di partecipazione, poi, la stessa scelta dei capi, se da un lato segue le direttive gerarchiche, è però avvertita dai militanti come «naturale» e non imposta, giacché «i leader emergono da un confronto con la collettività sull’esperienza concreta che mettono in atto e sono valutati in base all’efficacia delle proprie interpretazioni e riflessioni così come dalla portata delle proprie azioni» (pp. 81-82). Insomma, ce n’è abbastanza per confutare tutti i deliri para-psicologici che si ritrovano spesso nei dossier antifascisti in stile «Repubblica».<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyuOBnCa3RHyxK1PEUZrmTrjmZ3wPFDxD12m_IWF22IYdEdnOnbVFd6MBe2Gda3GMEDNRDo_Os0KTXEHQ_4ZVoKT5MJXRi1Bq3yV6VhsjcZaIXHmW60C8pBM9oldzXRcj1zMSeXbUD6Fs/s1600/LaMuvra.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjyuOBnCa3RHyxK1PEUZrmTrjmZ3wPFDxD12m_IWF22IYdEdnOnbVFd6MBe2Gda3GMEDNRDo_Os0KTXEHQ_4ZVoKT5MJXRi1Bq3yV6VhsjcZaIXHmW60C8pBM9oldzXRcj1zMSeXbUD6Fs/s400/LaMuvra.JPG" width="400" /></a></div>
I temi affrontati dal libro, del resto, sono molti e trattati con obiettività, dal rapporto di CasaPound con la <i>violenza</i> all’utilizzo sapiente e innovativo della comunicazione a tutti i livelli, dal carattere spiccatamente metapolitico del movimento all’importanza fondamentale dell’<i>azione riflessiva</i>. Una menzione speciale merita tuttavia l’analisi del rapporto dei militanti con la <i>dimensione del corpo</i>, considerato dalla moderna critica sociologica come il «luogo del sé agente». Secondo il sociologo <b>Michel Wieviorka</b>, in particolare, «mettere in discussione il proprio sé nel processo di affermazione della propria soggettività individuale implica al contempo l’esporre il proprio sé corporeo a dei rischi» (p. 72). Ed è proprio in base a queste considerazioni – e sulla scorta degli studi di <b>Dick Hebdige</b> sul <i>pogo</i> dei punk inglesi – che gli autori stabiliscono un curioso primato: parlare della <i>cinghiamattanza</i> evitando le usuali demonizzazioni scandalistiche. Secondo Di Nunzio e Toscano, infatti, essa rappresenta per i militanti di CasaPound «aspetti fondamentali dell’esistenza: la vitalità, il gioco, la lotta, contrapposti a un modello culturale dominante che riduce il corpo ad oggetto-merce» (p. 71).<br />
<br />
Un ultimo accenno lo vorrei dedicare infine alla «tensione» che gli autori rilevano tra la visione del mondo di CasaPound e l’ambito valoriale della moderna concezione di «democrazia». Questo rapporto, in effetti, appare molto problematico, specialmente se si prende a modello di democrazia la definizione proposta da <b>Norberto Bobbio</b>. Senza contare i problemi d’ordine teorico che gli stessi intellettuali «democratici» (le virgolette sono d’obbligo…) incontrano nella conciliazione tra i tre postulati di libertà, uguaglianza e solidarietà, che si vorrebbero alla base della «democrazia moderna», la questione di maggior attrito mi sembra rappresentata dall’adesione fideistica alla dottrina dei «diritti dell’uomo», a cui gli autori paiono tenere in maniera particolare. Una dottrina – com’è noto – basata su un giusnaturalismo che, secondo lo stesso Bobbio, risulta sempre e comunque <i>arbitrario</i>. Un giusnaturalismo – aggiungo io – oltretutto <i>deterministico</i>, che, paradossalmente, nega all’uomo quella stessa libertà che gli vorrebbe conferire. Se infatti l’uomo <i>è</i>, a prescindere dalla sua volontà, esso risulta necessariamente privato della propria libertà di auto-determinazione, perché la sua <i>essenza</i> è pre-determinata da un assunto metafisico d’ascendenza divina, sebbene secolarizzata. Erano stati d’altronde già <b>Giovanni Gentile</b> (non a caso detestato da Bobbio) e la sua scuola a condurre una critica filosofica impietosa e radicale dell’uomo astratto e intellettualistico del liberalismo democratico, ossia un «fantoccio» totalmente avulso dalla <i>storia</i> e dal <i>divenire</i>, rivendicando invece al fascismo quel vero e autentico «liberalismo» che, sfociando nell’«umanesimo del lavoro», avrebbe edificato una «nuova civiltà». La tensione tra CasaPound e la democrazia bobbianamente intesa, pertanto, scaturisce a mio parere da irriducibili visioni dell’uomo (questa deterministica, limitante e statica, quella volontaristica, libera e dinamica), benché ad un livello <i>fenomenico</i> vi possano indubbiamente essere delle notevoli convergenze, come Di Nunzio e Toscano ben evidenziano (pp. 119-120). Su questo punto, però, il dibattito è aperto.<br />
<br />
Ad ogni buon conto, questo libro testimonia di un lavoro onesto e scientificamente valido, da consigliare sicuramente a quanti continuano a proporre una visione distorta e caricaturale di CasaPound, molto spesso viziata da palesi intenti politico-ideologici. Siamo ancora su un livello pionieristico e, al momento, manca un’opera squisitamente politologica in grado di sostenere una critica serrata, qualificata e anti-pregiudiziale del pensiero e dell’azione di CasaPound. Ma per questo – ne sono certo – ci sarà tempo. Ciò che invece ora conta, in un periodo cioè di massicci e vili attacchi mediatici (ma non solo mediatici) a CasaPound, è che questo volume può indubbiamente rappresentare un utile punto di riferimento per chiunque vorrà accostarsi alle tartarughe frecciate rinunciando all’odio politico e a valutazioni puramente acritiche e preconcette. Il che, si converrà, non è poco…<br />
<br />
<br />
<i>Per approfondimenti</i>:<br />
<div style="color: yellow;">
<i><a href="http://augustomovimento.blogspot.com/2011/06/riprendersi-tutto-la-voce-delle-idee.html" target="_blank">Recensione di </a></i><a href="http://augustomovimento.blogspot.com/2011/06/riprendersi-tutto-la-voce-delle-idee.html" target="_blank">Riprendersi tutto</a></div>
<div style="color: yellow;">
<i><a href="http://augustomovimento.blogspot.com/2010/09/un-blocco-allassalto-del-futuro.html" target="_blank">Un Blocco all’assalto del futuro</a></i> </div>
<br /></div>triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-2912947525273225862011-12-03T18:19:00.001+01:002011-12-03T18:34:22.054+01:00Giornata di solidarietà per le popolazioni serbe in Kosovo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJJG_a3JrH_A26xH4e7DOTqplLbpupA3yW1MaSsgJnJ0C3Ak6GaOrz4jiEDw717EOorcJmzkuGAtpXKoKafRuyJ8lQWMzaEBEhY3nS_EG0EiqE6walWqYabTyLYtESRypzsrjDe0ZwU7U/s1600/grimes_cfcb.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhJJG_a3JrH_A26xH4e7DOTqplLbpupA3yW1MaSsgJnJ0C3Ak6GaOrz4jiEDw717EOorcJmzkuGAtpXKoKafRuyJ8lQWMzaEBEhY3nS_EG0EiqE6walWqYabTyLYtESRypzsrjDe0ZwU7U/s640/grimes_cfcb.jpg" width="451" /></a></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
Iniziativa, supportata dal Grimes CasaPound e da Solidarité – Identités (ONLUS internazionale di CasaPound), riguardante la raccolta fondi per l’acquisto di un ecografo per l’ospedale di Silovo, enclave serba in Kosovo. <br />Nell’ambito di una campagna di sensibilizzazione e di una più concreta mobilitazione di raccolta fondi, il gruppo di medicina sociale di CasaPound, in collaborazione con l’associazione Love, organizza una “serata solidale” presso il Circolo Futurista (Roma – Casal Bertone – Via degli Orti di Malabarba, 15), che si terrà il 10 Dicembre 2011. <br />La serata prevede la presentazione del Grimes e del progetto di solidarietà per l’ospedale di Silovo. A seguire si terrà una cena solidale per la raccolta fondi. <br /><br />Per saperne di più:</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /><i><b>DESTINATARIO</b></i>: Ospedale di Gnjilane, sito nella frazione di Silovo nella provincia di K. Kamenica.<br />Il centro fu fondato nel 1950. Dopo il 1999 il Centro fu rilocato e trasferito nel villaggio di Silovo, nel Kosovo centrale. Oltre a rappresentare l’unica istituzione sanitaria nella regione, esso fornisce servizi generali, assistenza primaria e secondaria a serbi e altre minoranze non-albanesi, per una copertura totale che nel 2009 era pari a 279.896 fruitori. Gli impiegati sono 444, includendo specialisti, dottori, infermieri e staff amministrativo. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /><i><b>PROGETTO: ACCENDIAMO LA SPERANZA</b></i></div>
<div style="text-align: justify;">
Il progetto “ACCENDIAMO LA SPERANZA” nasce nel 2009 con l’obiettivo di portare sostegno e aiuto concreto alle minoranze della regione del Kosovo e Metochia, profondamente colpite e ancora oggi vittime innocenti della guerra e dei bombardamenti NATO del 1999.<br />Il progetto “ACCENDIAMO LA SPERANZA”, a cui aderiscono diverse associazioni, enti, coordinamenti e privati, è coordinato da LOVE e – con i limitati mezzi a disposizione ma con molta buona volontà e passione – cerca di migliorare le condizioni di vita di alcune enclavi (Osojane, Zac, Silovo e Zupce) per quanto concerne la fornitura di energia elettrica; beni di prima necessità (abbigliamento e alimentari); strumenti e attrezzi per l’agricoltura; materiale medico; veicoli adatti al trasporto di persone (scuolabus e degenti) nonché fornire le risorse per l’avvio di progetti di sviluppo economico a sfondo agricolo, indirizzati a creare l’autosufficienza alimentare ed economica delle famiglie delle enclavi.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<i><b>SOGGETTI COINVOLTI</b></i>:<br />I soggetti coinvolti nella realizzazione dell’iniziativa sono:<br />LOVE nasce nel 2011, su ispirazione di volontari con un’esperienza decennale nel campo della solidarietà internazionale, con il preciso intento di costituire un punto fermo nel sostegno delle molteplici realtà che ancora oggi scontano condizioni di vita al limite o misere a causa di fattori economici e/o politici che hanno fatto prevalere situazioni di lucro e interesse, personale, politico o materiale, sulla dignità umana. <br />GRIMES CASAPOUND: Gr.I.Me.S. è il gruppo di intervento di medicina sociale di CasaPound Italia. Il gruppo fornisce, tramite un circuito di professionisti appositamente approntato, assistenza e prestazioni sanitarie a prezzi equi e moderati, rispondendo alle reali esigenze, in ambito medico, degli utenti, con particolare considerazione per coloro che si trovano in condizioni di bisogno. Il Gruppo prevede la messa in atto di iniziative che favoriscano da un lato l’emersione, anche in termini di denuncia all’opinione pubblica, di realtà disagiate e dall’altro un supporto di fatto alle strutture mediche in decadenza. La particolare attenzione per le realtà al margine, si concretizza anche in azioni di collaborazione internazionale in paesi a popolazioni la cui sopravvivenza è soggetta a continui e gravi rischi, fornendo appoggio medico e sanitario in loco. <br />SOLIDARITÉ – IDENTITÉS: è una ONLUS internazionale, un’associazione a vocazione caritatevole ed umanitaria, il cui fine è l’assistenza ed il sostegno ai popoli in lotta per la propria sopravvivenza, la salvaguardia della propria cultura e la difesa della loro identità.</div>
<div style="text-align: justify;">
Solidartié-Identités ha già partecipato, al fianco di CasaPound Italia e dell’associazione Popoli, ad una missione per i Karens della Birmania, a una missione per sostenere le minoranze serbe in Kosovo ed a un viaggio in Kenia, per visitare gli orfanotrofi del posto, per proporre un aiuto concreto sotto forma di cibo, supporto educativo e medico, e soprattutto per analizzare le possibilità di una cooperazione finanziaria al fine di creare delle micro-imprese atte allo sviluppo economico locale.<br /><br />Per informazioni: <a href="mailto:grimescasapound@gmail.com">grimescasapound@gmail.com</a></div>triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-26445231875977248572011-10-28T12:36:00.000+02:002011-10-28T12:36:23.832+02:00Italia come volontà di potenza<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">L’articolo sarà pubblicato in «Occidentale», novembre 2011.</span> <br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCd8DZZG-IVOjZJaY7XuygZnEiB3Hlzw1pnik1rGuXMQW_d6DbS8WpOyEAnN_cEQEDDV9VptsE5CdS1DEe_NmH0EYcNMHUnQi8Q6VAo-6UMvtzj8Wg4VlTELRpQXbaiKv0kCzxN1awfzo/s1600/Giulio+Aristide+Sartorio+-+Italia.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="372" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCd8DZZG-IVOjZJaY7XuygZnEiB3Hlzw1pnik1rGuXMQW_d6DbS8WpOyEAnN_cEQEDDV9VptsE5CdS1DEe_NmH0EYcNMHUnQi8Q6VAo-6UMvtzj8Wg4VlTELRpQXbaiKv0kCzxN1awfzo/s400/Giulio+Aristide+Sartorio+-+Italia.jpg" width="400" /></a></div>
Ce n’era bisogno. Ce n’era bisogno davvero di questo libro e va detto forte e chiaro. C’era proprio bisogno di questa utilissima raccolta di saggi, diretta dall’ottimo <b>Pietro Cappellari</b>, a cui hanno partecipato, tra gli altri, lo stesso Cappellari, <b>Gabriele Adinolfi</b>, <b>Stelvio Dal Piaz</b>, <b>Francesco Mancinelli</b>, <b>Alberto B. Mariantoni</b> e <b>Massimiliano Soldani</b>, e che è stata recentemente presentata al nr. 8 di Via Napoleone III. <i>Una Patria, una Nazione, un Popolo</i> (Herald Editore, € 20), infatti, è un’opera fondamentale per un motivo molto semplice: fa a pezzi sessant’anni di certo <b>neofascismo</b> che negò e vilipese la memoria e il portato ideale del nostro moto risorgimentale, vuoi per <b>ispirazioni neoguelfe</b> che vedono nel Risorgimento un piano occulto della Massoneria per annientare, assieme al potere temporale dei Papi, lo stesso cattolicesimo, vuoi per certo <b>revanscismo borbonico e legittimista</b>, che identifica l’Unità d’Italia con le depredazioni e le repressioni del Piemonte savoiardo ai danni del Meridione, vuoi infine per certo <b>tradizionalismo</b> di matrice evoliana che nega la nazione (in quanto creazione giacobina e sovversiva) in favore dell’<i>Imperium</i>. <br />
<br />
Come si può vedere, pertanto, la questione dell’eredità del Risorgimento per i <i>neo</i>fascisti è molto complessa e sfaccettata. Eppure – e questo va evidenziato con la massima decisione – tale questione, per i fascisti, non si era semplicemente <b>mai</b> posta. Si poteva al limite discutere su quale fosse la vera anima del Risorgimento (monarchica, repubblicana, liberale, federalista, socialista, ecc.), ma il nostro moto di liberazione nazionale rimase per il Fascismo un punto fermo nella storia d’Italia, di cui la Rivoluzione delle Camicie nere si presentava anzi come il glorioso compimento. Di questo tema, del resto, mi sono già occupato sulle colonne di «Occidentale» (maggio 2010) con l’articolo <i>Risorgimento e Fascismo: il filo rosso della Liberazione nazionale</i> (vedi anche <a href="http://augustomovimento.blogspot.com/2010/07/risorgimento-e-fascismo-il-filo-rosso.html" target="_blank">qui</a>), e quindi a questo rimando. Ora, infatti, vorrei porre l’accento su altre questioni ben analizzate nel libro curato da Cappellari.<br />
<br />
L’intento di quest’opera, infatti, è chiaro sin dal suo sottotitolo. Innanzitutto, viene messa in discussione la stessa data del 17 marzo 1861, che altro non rappresenta se non la costituzione formale del Regno d’Italia, laddove, per poter parlare legittimamente di unità, ci si potrebbe viceversa riferire all’acquisizione del Veneto (1866), alla presa di Roma (1870), alla conquista di Trento e Trieste (1914) o anche all’annessione di Fiume (1924). Ma il problema, sollevato giustamente dal libro, non è o – meglio – <i>non è solo</i> territoriale: è anche e soprattutto <b>ideale</b>, <b>morale</b>, <b>politico</b>. Per questo motivo si fa risalire il <i>terminus post quem</i> del Risorgimento direttamente al 1831, all’anno cioè della creazione della <b>Giovine Italia</b> mazziniana e dei primi moti di rivolta nazionale. Perché, ci si potrà chiedere? Semplice: perché è allora che minoranze agguerrite e rivoluzionarie prendono coscienza della loro missione, ossia di rendere l’Italia, tramite l’<b>insurrezione</b> e il <b>combattimento</b>, finalmente libera, indipendente e sovrana.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgH2g_bHZ-vgcQPtHHzhepSyB7OgE682cihOc_UF4WUTSC_SqBM_Jjohs9JyEp6D2iIOht3SAa3Y-gFrv_7OXdhbDvLox-vbnhJKDSN1S3x455759cb8HL3l5JoDMlYNbSBmjVnTbqbu3A/s1600/Ezio+Garibaldi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="323" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgH2g_bHZ-vgcQPtHHzhepSyB7OgE682cihOc_UF4WUTSC_SqBM_Jjohs9JyEp6D2iIOht3SAa3Y-gFrv_7OXdhbDvLox-vbnhJKDSN1S3x455759cb8HL3l5JoDMlYNbSBmjVnTbqbu3A/s400/Ezio+Garibaldi.jpg" width="400" /></a></div>
Si tratta, in sostanza, di rintracciare quel filo rosso rivoluzionario che, al di là della diplomazia, del gretto parlamentarismo dell’Italia demo-liberale e del giolittismo, si dipana lungo la storia del nostro movimento di liberazione nazionale, impersonato in particolare da quelle avanguardie rivoluzionarie che da <b>Mazzini</b>, <b>Garibaldi</b> e <b>Pisacane</b> giungono sino al «crepuscolo degli dèi» della <b>Repubblica Sociale Italiana</b>. Si tratta cioè di individuare quei gruppi, quegli uomini, quei «profeti» (come li chiamò <b>Giovanni Gentile</b>) che, di contro alla mediocrità dell’italietta postrisorgimentale e alla «politica del piede di casa», mirarono a realizzare le genuine aspirazioni di grandezza dell’Italia, ossia a realizzare il mito mazziniano-giobertiano-orianesco della «<b>Terza Roma</b>», cioè della <i>missione</i> universale e del <i>primato</i> civile della nostra nazione nel mondo. <br />
<br />
Entriamo così in contatto con fulgide personalità come <b>Mameli</b>, il giovanissimo poeta caduto eroicamente nella difesa disperata della Repubblica romana (1849), come Mazzini, latore di uno spiritualismo antindividualistico e di un cooperativismo solidaristico-nazionale, come Garibaldi, il «Duce» delle camicie rosse che si fece dittatore e che portò la sua guerra di liberazione ai quattro angoli della penisola, come <b>Crispi</b>, che, garibaldino, rilanciò la politica mediterranea dell’Italia, e come lo stesso <b>Mussolini</b>, che coronò i sogni imperiali degli italiani ridestati. <br />
<br />
Come si può vedere dunque, a denunciare le politiche rapaci e sanguinarie del Piemonte sabaudo (che, depredando il Sud, creò la ancora irrisolta «questione meridionale») e ad avversare la borghesia rinunciataria e compromissoria (che si era accontentata dei privilegi ottenuti grazie all’Unità), si ergeva tutto un vasto e variegato movimento avanguardistico e rivoluzionario che, rifiutando l’arresto del processo risorgimentale, intendeva proseguire sul cammino tracciato dai suoi «profeti» per fare dell’Italia il faro di una <b>nuova civiltà</b>. <br />
<br />
Questo grande disegno, tuttavia, si arrestò proprio alla «Quinta Guerra d’Indipendenza», ossia quel secondo conflitto mondiale che doveva rappresentare l’emancipazione dell’Italia dal giogo francese e, soprattutto, britannico nel <b>Mediterraneo</b>, il <i>mare nostrum</i>, viatico naturale e necessario alla realizzazione delle nostre ambizioni di potenza. È così che lo spirito del Risorgimento finì per animare i combattenti della Repubblica Sociale che, non a caso, enfatizzarono sempre più i loro richiami ai «profeti» della «Terza Italia», riallacciandosi in particolare alla gloriosa <b>Repubblica romana</b> e alla strenua resistenza degli eroi del Gianicolo. Ed è proprio in questa frattura tragica che risiede il dramma di incompiutezza di quel sottile filo rosso della nostra liberazione nazionale: dalle cannonate francesi contro Garibaldi e <b>Manara</b> ai bombardamenti anglo-americani sui militi e sulle popolazioni dell’ultima Italia libera e sovrana. <br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTNAbI02evgWEctbnod6t2Y5G-e7YBA0WQyYwGRCF4GvbZdP7Nwm2MF9Xkl-IiKVOQaZBdEM7-6IINB90p1ousqTqPfPvnojKxO-CwyvUajOldjx-EveuNr8eWLEvV5DkhrCooGCQxTCk/s1600/Patrianazionepopolo.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjTNAbI02evgWEctbnod6t2Y5G-e7YBA0WQyYwGRCF4GvbZdP7Nwm2MF9Xkl-IiKVOQaZBdEM7-6IINB90p1ousqTqPfPvnojKxO-CwyvUajOldjx-EveuNr8eWLEvV5DkhrCooGCQxTCk/s400/Patrianazionepopolo.jpg" width="300" /></a></div>
Perché – non dimentichiamolo! – furono proprio i combattenti di Salò a incarnare lo spirito risorgimentale, e non – come ben argomentano Dal Piaz e Adinolfi – quei partigiani che, viceversa, si resero protagonisti di una vera e propria «guerra di dipendenza» (da Mosca e da Washington). Le bande antifasciste infatti, sostenute da un forte apparato propagandistico, e per tenere il confronto con i fascisti anche su un piano ideologico, intesero presentare la Resistenza come un «Secondo Risorgimento». Fa ridere, lo so, ma è proprio così. Fatto sta che l’infatuazione nazionalistica durò assai poco, dato che ben presto la Dc guardò al Vaticano, il Pci all’Unione Sovietica e Pli e Pri a Londra, cioè a organismi e istituzioni di evidente matrice internazionalistica. Ma già solo la sottomissione politica dell’attuale repubblica parlamentare (nata dalla Resistenza) dovrebbe bastare a mettere in guardia da questo spregevole mascheramento puramente strumentale.<br />
<br />
Constatando quindi l’odierno semi-servaggio italiota, non possiamo che rilevare il carattere incompiuto del nostro lungo processo risorgimentale, il cui spirito sembra momentaneamente sopito, o comunque vivente solo in poche minoranze, per quanto avanguardistiche e rivoluzionarie. E proprio in tal senso, questo libro rappresenta un preziosissimo strumento di riappropriazione ideale che, facendo giustizia delle troppe distorsioni interpretative e ideologiche del nostro moto di liberazione nazionale, ci richiama invece a incamminarci nuovamente su quel sentiero interrotto che conduce alla rivendicazione della missione e del primato dell’Italia nel mondo. Un libro quindi che, pur trattando del passato, ci sprona però verso il futuro. Un futuro da prendere d’assalto. Nel nome dei nostri «profeti» e dei nostri eroi.</div>
<br />
<br />
<i>Per approfondimenti</i>:<br />
<a href="http://augustomovimento.blogspot.com/2010/07/risorgimento-e-fascismo-il-filo-rosso.html" style="color: yellow;">Risorgimento e Fascismo: il filo rosso della Liberazione nazionale</a><br />
<a href="http://augustomovimento.blogspot.com/2009/05/risorgimento.html" style="color: yellow;">Risorgimento e Fascismo</a>triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-53511968646556438112011-10-13T16:49:00.000+02:002011-10-13T16:49:15.634+02:00Una Patria, una Nazione, un Popolo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhG0lTt4Z-HFadPwahgZ4n8gMD2hyphenhyphenRGR-kJwHlKRpzFvddsOvy2LQdVCCklYS89rdtTtH7fNmZb2mM6LdDiMdP332pOaDXHhmd4kikG9MJpkGmVmqAS6-JyRj-a7cciAIEgiQSG_PNrjfI/s1600/risorgimento_fascismo_cp.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhG0lTt4Z-HFadPwahgZ4n8gMD2hyphenhyphenRGR-kJwHlKRpzFvddsOvy2LQdVCCklYS89rdtTtH7fNmZb2mM6LdDiMdP332pOaDXHhmd4kikG9MJpkGmVmqAS6-JyRj-a7cciAIEgiQSG_PNrjfI/s640/risorgimento_fascismo_cp.jpg" width="456" /></a></div>
<br />triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-55462649539241720822011-10-06T13:27:00.000+02:002011-10-06T14:11:02.155+02:00«Caro Yvon, ...»: parla il Duce<div style="text-align: justify;">
<span style="color: red;">L’articolo sarà pubblicato in «Occidentale», ottobre 2011. </span><br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
</div>
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMM6LxPgQ8Kv4P_IW32PhRCIJG4Ra_xjYZpX5y-Um2JqbXBlGn2bUlLrHB_Q_xmGrchMnF5cGThLAJZR-WJHbLPqkPwU1WsXumtdxAPqcN5WVyLkN9FZY9JNq7Zzy4Hy39vKvSjkiNP6M/s1600/De+Begnac.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhMM6LxPgQ8Kv4P_IW32PhRCIJG4Ra_xjYZpX5y-Um2JqbXBlGn2bUlLrHB_Q_xmGrchMnF5cGThLAJZR-WJHbLPqkPwU1WsXumtdxAPqcN5WVyLkN9FZY9JNq7Zzy4Hy39vKvSjkiNP6M/s400/De+Begnac.jpg" width="280" /></a>«Pochissimi “documenti” mussoliniani – e nessuno di tanta ampiezza e ricchezza di particolari – hanno, per noi, l’importanza di questi <i>Taccuini</i> per cercare di penetrare la personalità di Mussolini»: parola di <b>Renzo De Felice</b>. Già partendo da qui possiamo afferrare, pertanto, l’importanza che riveste la recente impresa editoriale della casa editrice felsinea de Il Mulino (pp. 736, € 19), che ha voluto ristampare, pochi mesi or sono, la prima e unica edizione (1990) dei <i><a href="http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=14953" style="color: yellow;" target="_blank">Taccuini mussoliniani</a></i> di <b>Yvon De Begnac</b> (biografo ufficiale del <b>Duce</b>). Sono stati ovviamente mantenuti, inoltre, la prefazione dello stesso De Felice e il ponderoso saggio introduttivo di <b>Francesco Perfetti</b>, che dello storico reatino è uno dei migliori allievi.<br />
<br />
Questi <i>Taccuini</i>, in sostanza, rappresentano gli appunti che il giovane giornalista redasse durante i ripetuti incontri con Mussolini a Palazzo Venezia, i quali erano finalizzati alla pubblicazione della vasta biografia ufficiale che il Duce commissionò allo stesso De Begnac (ne uscirono i primi tre volumi, prima che la guerra interrompesse il progetto). Si tratta, in particolare, di lunghi monologhi ai quali il Capo del Fascismo volentieri si abbandonava, rievocando momenti cruciali della storia del movimento delle Camicie nere, tratteggiando ritratti delle massime personalità con cui veniva a contatto (sia fasciste che antifasciste), ma anche analizzando i caratteri principali della «cultura della Rivoluzione», senza tralasciare, infine, i suoi <i>desiderata</i> per l’avvenire. <br />
<br />
Quel che emerge dalla lettura dei <i>Taccuini</i>, e che maggiormente colpisce l’attenzione del lettore a tanti anni di distanza dai temi affrontati dal Duce, è la <b>profondità</b> e la <b>lucidità</b> del <b>Mussolini-politico</b>: se risultano certamente importanti – per avallare le considerazioni di De Felice – gli aspetti psicologici e caratteriali della personalità mussoliniana, è a mio parere fondamentale, infatti, rilevare altresì il valore più propriamente <b>politico</b>, <b>culturale</b>, <b>teorico</b>, <b>filosofico</b> addirittura, del pensiero di Mussolini ivi contenuto. Un pensiero la cui vastità e la cui esattezza essenziale sono illustrate in tutta la loro chiarezza dalle corpose sezioni «culturali» della raccolta (capp. VIII e IX).<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNXuwxuJQt_kNHrAXnxH5d5L4uvWYRqX6QdrcvpHXOKaTcl5CukuMtGSLSG7G1g9x9Z6-oSnnrF4xTrfwjv-5LGkHhWc8nKXilSJQwzlCnd2Q50IK0yFiccBzTqgwZ7e4uq606lVHtWfs/s1600/DVX.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiNXuwxuJQt_kNHrAXnxH5d5L4uvWYRqX6QdrcvpHXOKaTcl5CukuMtGSLSG7G1g9x9Z6-oSnnrF4xTrfwjv-5LGkHhWc8nKXilSJQwzlCnd2Q50IK0yFiccBzTqgwZ7e4uq606lVHtWfs/s400/DVX.jpg" width="285" /></a></div>
Entriamo così in contatto con i capisaldi dello <b>spirito rivoluzionario del Fascismo</b>, spirito promanante dalle parole del suo massimo esponente, che, nella colloquialità dell’occasione, quasi pare che si rivolga direttamente a noi, rendendo così la lettura più intima e avvolgente. E veniamo innanzitutto a conoscenza delle ampie ed eclettiche letture del Duce, che spaziano dai <b>teorici marxisti</b> ai <b>Bernstein</b> e ai <b>Sorel</b>, da <b>Stirner</b> a <b>Michelstaedter</b>, dai «<b>vociani</b>» a <b>Nietzsche</b> (quest’ultimo certamente il suo prediletto). E proprio dal filosofo tedesco Mussolini desume l’<i>animus</i> primigenio della cultura fascista, ossia il <b><i>volontarismo</i></b> («volontarismo, solo volontarismo nella nostra cultura? In gran parte, sì!»: p. 379), che nella nitida visione del Duce assume contorni «tragici», perché votato a creare e diffondere <b>grandezza</b>: esso, infatti, consiste «nella decisione – individuale, e collettiva – di rendere utile alla società ogni intervento, materiale e morale, autonomamente diretto a risvegliarne il sopito senso della vita e ad annullarne ogni tendenza indotta, volta a provocarne l’indebolimento e la fine. “Volontarismo” non significa compiere la quotidiana buona azione del boy-scout, ma è <b>coscienza del divenire di una nuova civiltà</b>, e <b>determinazione</b> a favorirne, al di fuori di ogni sollecitazione, la crescita. “Volontarismo” è sapere quel che si deve fare per impedire che la rivoluzione decada dall’esercizio del diritto a compiersi nel nome e per conto della collettività» (pp. 335-336). <br />
<br />
Già grazie a questa bellissima citazione – nonché alla genialità di sintesi del suo autore – si staglia decisamente la grandezza dell’ideale fascista sostenuto dal suo Capo: l’ideale, cioè, di un «<b>umanesimo</b> antiutilitaristico, antindividualistico, svincolato da egoismi di classe e di casta» (p. 283), «umanesimo della scienza, della tecnica, del lavoro» (p. 304), «fondato sui diritti della giovinezza della vita» (p. 311). Quello che, insomma, un altro gigante come <b>Giovanni Gentile</b> chiamò, nel suo imprescindibile volume <i>Genesi e struttura della società</i>, «<b>umanesimo del lavoro</b>». <br />
<br />
Un ulteriore dato che emerge da queste pagine illuminanti, poi, è la conoscenza certosina, da parte del Duce, di tutta la <b>classe intellettuale</b> dell’epoca, della quale sapeva tanto l’affidabilità e la fedeltà quanto l’opportunismo e la meschinità; così come colpisce l’aggiornamento costante sugli sviluppi della cultura italiana, tanto nelle sue forme artistiche quanto in quelle letterarie, non mancando, tra l’altro, di monitorare le promesse della stampa universitaria e giovanile fascista, tra cui spiccano i nomi di <b>Berto Ricci</b>, <b>Edgardo Sulis</b>, <b>Roberto Pavese</b> e <b>Guido Pallotta</b>: «questi giovani sono la giovane cultura italiana che, un giorno, andrà alla guida morale del paese» (p. 396). Ma non sono esclusi dal novero delle letture mussoliniane neanche quegli intellettuali stranieri che, più di altri, si dimostravano in sintonia con la Rivoluzione fascista, come <b>Drieu</b>, <b>Brasillach</b>, <b>Céline</b>, <b>Shaw</b> e <b>Pound</b>.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_TSydHOtmIg3o0ZnFKoAI_2NwaMXWeNiTfznqsRsYqy_tjSNUexwI-srCtv-wiomgkD7Mgm7Hm7vhguKBKCpfWO6d-BrXKNyI5ucC0hrGhMzTnTNhiRnQ5GSoZbYhBDRiHYfL2YHmbTk/s1600/Taccuini.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_TSydHOtmIg3o0ZnFKoAI_2NwaMXWeNiTfznqsRsYqy_tjSNUexwI-srCtv-wiomgkD7Mgm7Hm7vhguKBKCpfWO6d-BrXKNyI5ucC0hrGhMzTnTNhiRnQ5GSoZbYhBDRiHYfL2YHmbTk/s400/Taccuini.jpg" width="257" /></a></div>
Una cultura viva, quindi, aderente alla vita della quale è integrazione, una <b>cultura dell’azione</b>: «in termini di cultura della rivoluzione, noi opponiamo la politica dell’azione alla lettera degli scribi che vendono futuro disanimato alle porte del tempio» (p. 399). Parole – come si vede – che si fanno marmo, che si fanno spada che squarcia il grigiore di certo intellettualismo podagroso e supponente, impersonato, in particolare, da <b>Benedetto Croce</b> e <b>Gaetano Salvemini</b>, profeti del deserto che nel deserto predicavano, rinchiusi nelle loro torri d’avorio e inascoltati da un popolo che viveva, invece, una nuova giovinezza, stanco oramai delle prediche e delle omelie dei santoni del liberalismo decadente e decaduto. <br />
<br />
Ma perché – ci si potrà chiedere – tanta attenzione alla <b>cultura</b>? Per un motivo molto semplice: perché Mussolini, come ogni costruttore di civiltà, aveva ben compreso che «la rivoluzione è, innanzi tutto, cultura, cultura sociale, arricchimento ideologico nel senso rivoluzionario della parola» (p. 350). <br />
<br />
Questi, naturalmente, sono solo assaggi di quella che è una vera e propria miniera di aforismi, sentenze, analisi e intuizioni geniali del Duce del Fascismo, il quale, purtroppo, è più spesso citato che letto. I <i>Taccuini</i>, infatti, rappresentano una fonte fondamentale e indispensabile per penetrare nelle maglie della visione rivoluzionaria di Mussolini, di un uomo, cioè, per cui «esistere, era sempre, sarebbe rimasto sempre, una sfida». Un uomo che visse ardendo, che fece della propria vita un’opera d’arte. Un uomo che ci insegna a scrivere la storia («non la storia fa l’uomo, ma l’uomo la storia»), a costruire con coraggio e determinazione il nostro avvenire («abbiamo creato, con le nostre mani, il nostro destino») e a non arrenderci ai tempi vili in cui ci è toccato vivere. Perché il suo stesso Fascismo rappresentò, tra le altre cose, proprio «la risposta a un’epoca di cui non abbiamo voluto subire la violenza». Come marmo che vince la palude… </div>
<br />triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-6949041529533311402011-10-06T01:46:00.002+02:002011-10-06T01:46:52.495+02:00I nemici dell’Italia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXuuUyHyWowB9SNzcmvGV49lnIpEmGlrPrhxhshYjQ1UqjdM0ghsgO94mAR2TKyDWumc_aNha_j_Y6_M4gnhfQudX7nMDxawWJdb_23JftKI1lD8iJWtn2mdvgKUKvG3bODz4317vNjgM/s1600/Britannia2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="451" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjXuuUyHyWowB9SNzcmvGV49lnIpEmGlrPrhxhshYjQ1UqjdM0ghsgO94mAR2TKyDWumc_aNha_j_Y6_M4gnhfQudX7nMDxawWJdb_23JftKI1lD8iJWtn2mdvgKUKvG3bODz4317vNjgM/s640/Britannia2.jpg" width="640" /></a></div>
<br />triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-77393966384387183682011-09-09T14:58:00.001+02:002011-09-09T14:59:02.063+02:00Direzione Rivoluzione<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWhrfybuPUtPpVdaU1_oZqnkXO95tk1U_ShSBhfiuyid482jPDnhWpsHsua2BrZFoKZVQZTbpx-8acDfHU_7s0Pz1gQcGlNqjj1Y_WHGmPUqjxnAwcSKAzi7tDi_NggHDr4k4MkYWLYW0/s1600/4giorniCpi2011.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWhrfybuPUtPpVdaU1_oZqnkXO95tk1U_ShSBhfiuyid482jPDnhWpsHsua2BrZFoKZVQZTbpx-8acDfHU_7s0Pz1gQcGlNqjj1Y_WHGmPUqjxnAwcSKAzi7tDi_NggHDr4k4MkYWLYW0/s640/4giorniCpi2011.jpg" width="462" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJt5vnkct-7OdCB2h47vTnop99GocHEDhF5xd4ByY8k13lWDVW1PPesff5m6IG2TbJsIj_QEhFWaYOZ_n6ZqFgrvf5gww2ohwiVitf-oZzf2XHyyAqUlzAyOF7y_j1UugDi9Eu1MzAdCA/s1600/Programma4giorniCpi2011.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiJt5vnkct-7OdCB2h47vTnop99GocHEDhF5xd4ByY8k13lWDVW1PPesff5m6IG2TbJsIj_QEhFWaYOZ_n6ZqFgrvf5gww2ohwiVitf-oZzf2XHyyAqUlzAyOF7y_j1UugDi9Eu1MzAdCA/s640/Programma4giorniCpi2011.jpg" width="462" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjSskNzLPO_aJK24E41cWgOWdpVgx2umXNhpWnMFEB8Py3YxRyZ9aVL5xXzCVjBbdR1awGQbS2mgNgA0Ye1GGj8Zmqzr4MkQRPH2CBdiqaksKoWvsgpwcKIPDMDbWajDGDVQc66q1IQUXw/s1600/Concerto4giorni.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="460" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjSskNzLPO_aJK24E41cWgOWdpVgx2umXNhpWnMFEB8Py3YxRyZ9aVL5xXzCVjBbdR1awGQbS2mgNgA0Ye1GGj8Zmqzr4MkQRPH2CBdiqaksKoWvsgpwcKIPDMDbWajDGDVQc66q1IQUXw/s640/Concerto4giorni.jpg" width="640" /></a></div>
<br />triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-62386146185148177432011-07-05T13:45:00.002+02:002011-07-05T13:58:04.615+02:00Storia della cultura fascista<div style="text-align: justify;"><div style="color: red;">L’articolo sarà pubblicato in «Occidentale», luglio 2011.</div><br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfTvZosWieVLJE3aZYPCUzO5y8IEeOai0Gy47Xv6BuhHD4oOrOtrwlsgPJGOcuve6g368etugg67W8GbBxbEoGurREbyXxcbWEfkkmVIyU1oISENDIgjY1boKdDdtwzRbmdyQ7yeH-8pE/s1600/INCF.JPG" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="285" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfTvZosWieVLJE3aZYPCUzO5y8IEeOai0Gy47Xv6BuhHD4oOrOtrwlsgPJGOcuve6g368etugg67W8GbBxbEoGurREbyXxcbWEfkkmVIyU1oISENDIgjY1boKdDdtwzRbmdyQ7yeH-8pE/s400/INCF.JPG" width="400" /></a></div>Il Fascismo ha una sua propria cultura. Il Fascismo, anzi, <b><i>è</i></b> cultura. Affermazione di per sé scontata, sottintesa, tautologica quasi, non appena si voglia scorrere, anche solo a passo di corsa, l’elenco degli intellettuali fascisti che quella cultura edificarono, traendola dallo spirito nuovo e rivoluzionario che informò il movimento mussoliniano: <b>Giovanni Gentile</b>, <b>Alfredo Rocco</b>, <b>Giuseppe Bottai</b>, <b>Sergio Panunzio</b>, <b>Carlo Costamagna</b>, <b>Carlo Curcio</b>, <b>Filippo Tommaso Marinetti</b>, <b>Luigi Pirandello</b>, <b>Angelo Oliviero Olivetti</b>, <b>Paolo Orano</b>, <b>Pietro De Francisci</b>, <b>Camillo Pellizzi</b>, <b>Armando Carlini</b>, <b>Francesco Orestano</b>, <b>Gioacchino Volpe</b>, <b>Francesco Ercole</b>, <b>Ugo Ojetti</b>. Ma la lista potrebbe e dovrebbe allungarsi a dismisura. Insomma, il Fascismo si fregiò del contributo dei migliori intellettuali, artisti e uomini di cultura dell’Italia dell’epoca. Di che cosa stiamo parlando, quindi?<br />
<br />
La questione, in effetti, è più complicata del previsto. Perché sino a non molto tempo fa (dalla fine della guerra sino agli anni Settanta, più o meno) l’ambiente intellettuale italiano e internazionale non solo – com’era prevedibile – tenne in dispregio quella cultura, ma addirittura la negò. Può sembrare incredibile, stupefacente, ma è proprio così. E risulta ancor più incredibile se valutiamo il fatto che questa enormità non fu propagandata solo dai commissari di partito dell’italietta serva e cialtrona nata dalla Resistenza e, soprattutto, dalle bombe «alleate», bensì da eminenti personalità dell’<i>intellighenzia</i> postbellica, che tra l’altro, in molti casi, della cultura fascista vissero e che talvolta quella cultura parteciparono a edificare. Note sono, per esempio, le teorie di <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/norberto-bobbio/" style="color: red;" target="_blank"><b>Norberto Bobbio</b></a>, <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/eugenio-garin/" style="color: red;" target="_blank"><b>Eugenio Garin</b></a>, <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/alberto-asor-rosa/" style="color: red;" target="_blank"><b>Alberto Asor Rosa</b></a>, <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/gyorgy-lukacs/" style="color: red;" target="_blank"><b>György Lukács</b></a> e tanti altri, i quali negarono ogni tipo di cultura fascista, o – nella migliore delle ipotesi – al Fascismo attribuirono una cultura spuria, rabberciata, improvvisata, colonizzata talvolta dal nazionalismo talaltra dal cattolicesimo, ma sempre e comunque interpretata come sovrastruttura, superfetazione di un potere coercitivo e reazionario, e finalizzata pertanto a nascondere e camuffare la desolante realtà attraverso la sua propaganda invadente e invasiva. Fascismo, insomma, come anti-cultura. <br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFeFr1Lnnz9OV4aEg8IWr2Z43ReLWH0EbpMURNhv0mCPb3hK4viURqPqs4zEU9iCtsh9NI7Ue_6PjNwbGMeAr_DPTyBX90dNwkeK2j8m8pm1vRbXGpSIxk-F2Ja15dCjhNi8rXD2Wc2DI/s1600/Storia+della+cultura+fascista.gif" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFeFr1Lnnz9OV4aEg8IWr2Z43ReLWH0EbpMURNhv0mCPb3hK4viURqPqs4zEU9iCtsh9NI7Ue_6PjNwbGMeAr_DPTyBX90dNwkeK2j8m8pm1vRbXGpSIxk-F2Ja15dCjhNi8rXD2Wc2DI/s1600/Storia+della+cultura+fascista.gif" /></a></div>Nonostante questa idea fallace sia purtroppo ancora radicata in alcuni ambienti semi-colti dell’Italia di oggi (scuola, stampa, televisione, ecc.), la storiografia più aggiornata ha nondimeno fatto passi da gigante (molto spesso volutamente trascurati dalla pubblicistica odierna), grazie agli studi, ad esempio, di <b><a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/augusto-del-noce/" style="color: red;" target="_blank">Augusto Del Noce</a></b>, <b>A. James Gregor</b>, <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/george-lachmann-mosse/" style="color: red;" target="_blank"><b>George L. Mosse</b></a>, <a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/renzo-de-felice/" style="color: red;" target="_blank"><b>Renzo De Felice</b></a>, <b>Zeev Sternhell</b>, <a href="http://ah.brookes.ac.uk/staff/details/griffin/" style="color: red;" target="_blank"><b>Roger Griffin</b></a> ed <b>Emilio Gentile</b>. E i risultati più interessanti di questo dibattito, oramai largamente accettati negli ambienti specialistici, sono ben riassunti nel recente e pregevole lavoro di <b>Alessandra Tarquini</b>, allieva dello stesso Gentile e già distintasi per un altro lodevole volume, ossia <a href="http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=12817" style="color: yellow;" target="_blank"><i>Il Gentile dei fascisti: gentiliani e antigentiliani nel regime fascista</i></a> (2009). <a href="http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=14958" style="color: yellow;" target="_blank"><i>Storia della cultura fascista</i></a> (Il Mulino, pp. 239, € 18), infatti, è un’opera sintetica ma efficace che ripercorre a volo d’uccello i temi, gli esponenti e le politiche principali della cultura fascista, premurandosi inoltre di demolire le mistificazioni interessate tanto di Bobbio e compagni quanto di Croce ed epigoni vari. <br />
<br />
I progressi della scienza storica – ben illustrati dalla Tarquini – hanno fatto giustizia, innanzitutto, della <b>concezione crociana</b> e <b>liberale</b> del Fascismo in quanto «<b>malattia morale</b>» alimentata dall’<b>irrazionalismo</b> di inizio Novecento. La potenza mobilitante del mito, così come i rituali e la liturgia del «<a href="http://www.ibs.it/code/9788842063230/gentile-emilio/culto-del-littorio.html" style="color: yellow;" target="_blank"><b>culto del Littorio</b></a>» (E. Gentile), scaturiti dal processo di progressiva «<b><a href="http://www.ibs.it/code/9788815131249/mosse-george-l-/nazionalizzazione-delle-masse.html" style="color: yellow;" target="_blank">nazionalizzazione delle masse</a></b>» (G. L. Mosse), infatti, non comportano minimamente l’abbandono o la svalutazione della ragione e della razionalità: come puntualizza l’autrice, in effetti, «celebrare i miti dell’ideologia del fascismo, sentendosi parte di un’esperienza collettiva religiosa, non significò essere dominati dalla furia cieca dell’irrazionalismo o costretti a comportarsi in un modo anziché in un altro perché privati della propria ragione» (p. 109). È semmai la supervalutazione e la deificazione della Ragione di matrice illuministica che i fascisti aborrivano; quella stessa cultura razionalistica, cioè, che intendeva negare la vittoria italiana con suadenti e «ragionati» richiami alla «pace perpetua» di kantiana memoria, e con la quale si voleva impedire a una generazione nata nelle trincee di costruire l’avvenire della nuova Italia.<br />
<br />
E ad essere confutata, inoltre, è anche la <b>teoria marxista</b> del Fascismo come «<b>reazione borghese e antiproletaria</b>», esprimente una cultura demoniaca che, grazie alla prepotente propaganda, impediva alla classe operaia di acquisire la tanto agognata coscienza di classe: «oggi – spiega la Tarquini – è molto difficile trovare studiosi che adottino un’idea della cultura come strumento per indottrinare e mobilitare le masse popolari e quindi rigidamente funzionale alla lotta di classe e sempre meno consenso riscuotono quelle interpretazioni che considerano le espressioni culturali del fascismo false rappresentazioni della realtà o semplici promesse demagogiche» (p. 40). <br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZcgN60kVjZ8tJmJtglQ9ApbnpuGaQ8Xfzir7hj0ORnOniKqI-EatljMA7vwi84t6BBuYxOAi4fGHcbThkj1ZmwJFbXChxr2ZcfMSOwunNV-jB5NRnodSEu8t-n06O29hf59_OIungbzM/s1600/Mussolini+Roma.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZcgN60kVjZ8tJmJtglQ9ApbnpuGaQ8Xfzir7hj0ORnOniKqI-EatljMA7vwi84t6BBuYxOAi4fGHcbThkj1ZmwJFbXChxr2ZcfMSOwunNV-jB5NRnodSEu8t-n06O29hf59_OIungbzM/s400/Mussolini+Roma.jpg" width="327" /></a></div>Quel che emerge dallo studio delle opere dei principali intellettuali fascisti e dalle politiche scolastiche, educative e sociali del Regime è, invece, la <b>natura eminentemente rivoluzionaria</b> del Fascismo, la quale informò la propria cultura che, certamente e – aggiungiamo – giustamente, fu variegata e polifonica, ma che nondimeno si presentava coerente, unitaria e solida nelle sue aspirazioni di fondo: edificare lo «<b>Stato nuovo</b>» fascista, grazie a una «<b>rivoluzione antropologica</b>» (alla formazione, cioè, di un «<b>uomo nuovo</b>»), in grado di compiere in una rivoluzione permanente la <b>missione universale</b> della «<b>terza Roma</b>», fondatrice di una «<b>nuova civiltà</b>». Una rivoluzione che stavolta, però, doveva essere realizzata e intimamente vissuta da tutto il popolo, rimarginando così l’antica ferita lasciata aperta dal Risorgimento (ossia il mancato inserimento delle masse nello Stato); una rivoluzione che, in un’epoca di «<b>politicità integrale</b>» (<a href="http://www.treccani.it/enciclopedia/carl-schmitt/" style="color: red;" target="_blank"><b>C. Schmitt</b></a>), doveva porre la <b>politica</b> al di sopra di tutto (in particolare dell’economia) e infondere di sé l’intera comunità nazionale mobilitandola in un <b>progetto organico</b> e <b>totalitario</b>. <br />
<br />
Di qui il genuino <b>carattere moderno</b> dell’esperimento politico-culturale fascista che, realizzando una spietata critica della Rivoluzione francese e degli «immortali princìpi» dell’89, non intendeva tuttavia negarne gli aspetti positivi, come l’eliminazione delle caste nobiliari e del retaggio feudale e l’affermazione delle masse popolari nella storia. Non si trattava, pertanto, di una reazione o di un ritorno a un passato arcadico e bucolico, bensì di una modernità cambiata di segno, una <b>modernità italiana e fascista</b>.<br />
<br />
Che il Fascismo non fosse una mera variante del nazionalismo, inoltre, lo si rileva in particolare dal concetto gentiliano di «<b>Stato etico</b>» che Mussolini volle indicare come perno centrale della dottrina fascista: rifiutando la concezione deterministica e naturalistica propria del nazionalismo, che vorrebbe la nazione un <i>a priori</i>, un «fatto bruto» che trascende la volontà del singolo e dello Stato, il Fascismo la intende invece come una creazione incessante, frutto di un <b>approccio volontaristico</b> e quindi <b>libero</b>: è lo Stato che, in quanto etico e dunque autodeterminantesi, crea la nazione, e non già viceversa. Fascismo, pertanto, come <b>movimento</b> <b>creatore</b>, <b>faustiano</b>, <b>attivo</b>, <b>interventista</b>, proiettato nel <b>futuro</b> che ha liberamente scelto di edificare (cap. IV).<br />
<br />
Un altro pregiudizio che la Tarquini demistifica, poi, è quello secondo cui molti intellettuali parteciparono all’elaborazione della cultura fascista perché incoscienti o perché costretti. Si tratta di una volgare «<b>defascistizzazione retroattiva</b>» di molte grandi personalità che il consesso democratico non riesce ad accettare in quanto intelligenti, colte e, al contempo, fasciste: vediamo così, ad esempio, un Gentile «tradito» e vittima di un «abbaglio» (E. Garin) o un Bottai che diventa fascista «critico» (G. B. Guerri). Al contrario – sostiene la studiosa – «in tutti i settori, fra le realtà culturali più diverse, dai percorsi biografici più disparati, gli artisti e gli intellettuali italiani contribuirono <b>nella loro maggioranza</b> all’espressione della cultura fascista e alla costruzione del regime totalitario: furono cioè pronti a offrire il loro sapere, il loro talento, la loro energia alla causa della politica» (p. 225).<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyx-neeh9Jhy4k63IrjiJ18xprGIQFAyBqsF62ElEnJtT7kzreYSshOolcPv4GeWvqMMOKj7WUBMrctgO2GYha7JRwYs5WU2MrxpqXvfzjII3_p6vlrNLhuLh0guig01621eyDD-G5yTc/s1600/Monolite+FM.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyx-neeh9Jhy4k63IrjiJ18xprGIQFAyBqsF62ElEnJtT7kzreYSshOolcPv4GeWvqMMOKj7WUBMrctgO2GYha7JRwYs5WU2MrxpqXvfzjII3_p6vlrNLhuLh0guig01621eyDD-G5yTc/s400/Monolite+FM.jpg" width="300" /></a></div>In questa stessa ottica, viene rigettata altresì la tesi tanto cara ai cosiddetti «<a href="http://www.ibs.it/code/9788879727143/serri-mirella/redenti-gli-intellettuali.html" style="color: yellow;" target="_blank"><b>redenti</b></a>» (espressione coniata da <b>Mirella Serri</b> per indicare quegli intellettuali che nel dopoguerra tentarono di rifarsi una verginità politica) secondo la quale i Guf e i Littoriali della cultura rappresentarono per i fascisti della nuova generazione una «palestra di antifascismo». Ad onta dei «lunghi viaggi» alla <b>Ruggero Zangrandi</b>, quindi, è stato provato che i giovani, nati ed educati dal Regime, «non solo non furono fascisti critici, ma semmai furono <b>più fascisti degli altri</b>: in nome del fascismo, infatti, attaccarono gli indirizzi moderati che rintracciavano nella politica degli anni Trenta chiedendo di proseguire lungo la strada della fascistizzazione della società e dello Stato e combattendo contro chi, secondo loro, ostacolava la realizzazione del progetto originale e rivoluzionario» (p. 159). Di più: essi furono «i testimoni più autorevoli della riuscita di quell’esperimento totalitario che fu il fascismo» (p. 230).<br />
<br />
Insomma, sono tante le tematiche che affronta la Tarquini in questo saggio che, certamente, costituisce un’ottima opera propedeutica allo studio e alla conoscenza della cultura fascista. Una cultura che, ancora oggi, viene cialtronescamente e furbescamente negata da alcuni gazzettieri d’accatto, così come essa – mancanza imperdonabile! – è poco o mal conosciuta da coloro stessi che del Fascismo si dichiarano – a torto o a ragione – eredi. E invece, studiando i massimi esponenti culturali del Regime, non si può che rimanere stupefatti dalla ricchezza e dalla profondità della cultura fascista, la quale si occupò, tra l’altro, delle più gravi sfide storiche che l’epoca presentava e che in molti casi, <i>mutatis mutandis</i>, risultano tutt’oggi quanto mai attuali. Si tratta, quindi, di un patrimonio che non deve assolutamente andar disperso o anche semplicemente relegato alle sole e anguste aule accademiche, ma che deve essere al contrario lasciato libero di respirare nel e con il mondo. Con buona pace di vestali dell’antifascismo e di «democratici sinceri». Sinceramente inutili…</div>triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-17774385639274593502011-06-21T11:02:00.000+02:002011-10-09T20:37:15.565+02:00«Riprendersi tutto»: la voce delle «idee senza parole»<div style="color: red;">
L’articolo sarà pubblicato in «Occidentale», giugno 2011.</div>
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiV3lRuPcyI7BnXZj2dBOOilNTn1IDizUfrMARIM74NnS82GCGOBgRulqBQHZ73M2cIXdZToepneU-ed5o5Z5zjp1NgP6jGjEhAwg5aBVntI-Z8YDolDAlSRoE7X9zvoeBvcyVQ4ok_xxE/s1600/Riprendersi+tutto.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiV3lRuPcyI7BnXZj2dBOOilNTn1IDizUfrMARIM74NnS82GCGOBgRulqBQHZ73M2cIXdZToepneU-ed5o5Z5zjp1NgP6jGjEhAwg5aBVntI-Z8YDolDAlSRoE7X9zvoeBvcyVQ4ok_xxE/s400/Riprendersi+tutto.jpg" width="285" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
In principio era la <b>Carne</b>. Poi, solo poi, venne il Verbo. Non si è partiti dalla <i>Repubblica</i> platonica, dalla <i>Bibbia</i> o dal <i>Capitale</i> di Marx. Non si è partiti, cioè, da un’astratta teoria da rendere prassi. Niente di tutto ciò: prima nasce <b>CasaPound</b>, la sua <b>azione metapolitica</b>, <b>mitopoietica</b> e <b>politica</b>, e dopo, allorché se ne è avvertito il bisogno, è uscito <i>Riprendersi tutto</i> di <b>Adriano Scianca</b> (SEB, pp. 381, € 20), che rappresenta sostanzialmente una «messa a punto», un’istantanea del percorso ideale del movimento casapoundiano. Questo libro infatti – ci tengo a precisarlo per i malevoli – non è assolutamente il prodotto dell’intellettuale illuminato e dell’ideologo prezzolato che tenta di dare una patina civile e rivoluzionaria ai barbari rozzi e reazionari, così come quest’opera non è – e questo lo dico ai pigri della mente e dello spirito – la cristallizzazione in Sacra Scrittura di un pensiero che, in quanto rivoluzionario, è invece dinamico e in costante divenire, che non è pertanto un <i>fatto</i> ma un incessante <i>farsi</i>. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Il grande merito dell’autore, in effetti, è stato quello di non rinunciare alla propria individualità e al proprio estro – come si evince dai tanti riferimenti dotti e puntuali (ma mai invadenti o supponenti) – e, al contempo, di rendere questo libro un’<b>opera</b> «<b>corale</b>», descrivendo cioè la <i>Weltanschauung</i> dei casapoundiani soprattutto con il ricorso alle interviste ai militanti, alle canzoni della musica non conforme e, talvolta, addirittura ad allegre chiacchierate al Cutty Sark dalla saggezza e dal sapore «etilico». </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Una scelta felice, inoltre, si è rivelata la struttura del libro stesso, ossia la successione e la declinazione delle parole-chiave che illustrano questa singolare «<b>rivoluzione in atto</b>»: rivoluzione dello <b>spirito</b>, del <b>linguaggio</b> e dell’<b>azione</b>. Si tratta di significanti abusati e distorti che, grazie all’afflato creatore dei suoi parlanti, assumono ora significati dall’eco così arcaica e al contempo così nuova, moderna, rivoluzionaria: è, in definitiva, un riappropriarsi dell’<b>Origine</b> (dell’<i>archè</i>, appunto) al fine di proiettarla, potenziata, nell’avvenire come <b>progetto</b> e <b>missione</b>, giacché «porsi in cammino verso l’origine significa andare avanti, non indietro; significa decidersi per un progetto che investe integralmente il nostro destino» (p. 196).<br />
<br />
Il percorso di CasaPound infatti, ben descritto nel libro, è caratterizzato dall’uscita definitiva e senza troppi rimpianti dal ghetto del neofascismo sclerotizzato e sepolcrale; rappresenta la ricerca, in mare aperto su nave corsara, della propria origine: una ricerca che, però, è un continuo progredire verso il futuro, verso una nuova aurora. Se la destinazione è ignota, la rotta è nondimeno guidata da salde coordinate, lo sguardo è sempre fisso alla stella polare: non si naviga a vista, non si fa cabotaggio; la bussola non ha perso il suo magnete. La voce «<b>fascismo</b>», infatti, è un piccolo gioiello in cui l’autore ben illustra lo spirito ardente che fa pulsare il cuore delle tartarughe frecciate: uno spirito che ha una «dimensione estetica, simbolica, esistenziale, prima che politica», che è stile prima ancora di essere dottrina, che è fondazione e volontà storificante prima d’essere architettura statuale, che è «volontà di grandezza, di potenza, di bellezza, di eternità, di universalità» (p. 162). È, in definitiva, sogno vissuto e incarnato, <b>mito mobilitante</b> e <b>in-formatore</b>, giammai amministrazione meccanica. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijn1xLwJ3fzCHKaZDRaCWINYFLZYRZU_bq96dzwXf7zZBuleOhWcfFaJbBaOPftspu6q-6I5OeA1C9t0Rn7V1-wA2NOQFlvHf4rOfcYaC1Tovlrio2kdt0cMROIXXNsPFnbt1Mwy38rzo/s1600/CasaPound.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="72" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEijn1xLwJ3fzCHKaZDRaCWINYFLZYRZU_bq96dzwXf7zZBuleOhWcfFaJbBaOPftspu6q-6I5OeA1C9t0Rn7V1-wA2NOQFlvHf4rOfcYaC1Tovlrio2kdt0cMROIXXNsPFnbt1Mwy38rzo/s400/CasaPound.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Che in CasaPound convivano l’antico e il moderno, l’<i>hic et nunc</i> e l’eterno, d’altronde, lo si rileva già da un epiteto, attribuito loro da un giornalista, che ai casapoundiani non è mai dispiaciuto («fascisti del Terzo millennio»), così come dalla monumentale epigrafe marmorea in basso rilievo che si staglia imponente sopra il portone del nr. 8 di Via Napoleone III. Ed è proprio qui, nel marmo baciato dal sole, che si sconfigge la palude, è qui che l’aratro traccia il solco del destino e della storia, è qui che si fonda una civiltà, si crea un mito. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ma sono veramente tante altre le voci che sorprenderanno coloro che poco o mal conoscono Cpi, quali ad esempio «cultura», «destra», «donna», «identità», «immaginario», «valori», ecc. Illustrando la visione del mondo della tartaruga frecciata, infatti, Scianca, con notevole acume, demolisce ad uno ad uno tanto i «viaggi mentali» del neofascismo terminale quanto gli stereotipi deformati e deformanti della vulgata antifascista. E soprattutto, oltre a bonificare questa venefica melma palustre, l’autore riesce nell’arduo compito di dar voce a queste spengleriane «<b>idee senza parole</b>». Idee che, prima di tutto, sono <b>attive</b>, <b>affermative</b>, <b>positive</b>, <b>creatrici</b> (e quindi <b>poetiche</b>), sono idee lanciate all’assalto. Sono idee fatte di carne.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
In principio era la Carne. «<b>Incarnare</b>»: questa è la parola d’ordine dell’etica casapoundiana. È incarnando il proprio mito e il proprio destino che si fa la storia, che si diventa – per dirla con Marinetti – «<b>costruttori d’avvenire</b>». È così che si <b><i>è</i></b> esempio, che si <b><i>è</i></b> rivoluzione. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjptIoZjgjdIc11MHCsfN_SVB8y4oLdNL0A0R-Rx299mZzwFpuz6XpP9K49sPL1vLj_4_TW7M_p6KMqcIIb62gVBIr2xNybwJ6I3VgBLDWJDbbNy9Upj3lXPG7usIKKZRaCnh9FAd2OyBc/s1600/ECA2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjptIoZjgjdIc11MHCsfN_SVB8y4oLdNL0A0R-Rx299mZzwFpuz6XpP9K49sPL1vLj_4_TW7M_p6KMqcIIb62gVBIr2xNybwJ6I3VgBLDWJDbbNy9Upj3lXPG7usIKKZRaCnh9FAd2OyBc/s400/ECA2.jpg" width="281" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
Un esempio sui tanti? Parlando giusto poco tempo fa con una persona di grande cultura, ma purtroppo intrisa di radicalismo chic e salottiero, il discorso si era incentrato sull’italianità e sul sentimento d’unità nazionale (uno dei pilastri, cioè, del casapoundismo), e mi si diceva che gli italiani hanno una storia troppo diversificata che impedisce loro qualsiasi sintesi unitaria. In questo senso, mi si chiede che cosa fa CasaPound per realizzare l’unità morale della nazione, che cosa fa nell’<i>hic et nunc</i>. Al che espongo l’esperienza – tra l’altro abbastanza mediatizzata – di <b>Poggio Picenze</b>, ossia del progetto che assunse il significativo nome di «fratelli d’Italia»: Cpi in quell’occasione, infatti, non aiutò la popolazione terremotata in nome di un vago filantropismo, così come non si presentò ad essa per elargirle mortificanti elemosine. Le tartarughe frecciate erano lì, invece, per far sentire il proprio calore a un popolo che sentivano fratello, perché italiano, perché fatto della stessa carne e dello stesso sangue: l’Italia, in quel momento, si faceva lì, <b><i>era</i></b> lì. È qui, allora, che cadono gli alibi, che la supponente retorica fa posto al silenzio più eloquente, che lo sguardo, pocanzi altero e sicuro, si abbassa. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Ad ogni buon conto, <i>Riprendersi tutto</i> – oltre all’esposizione organica e allo stile piano e incalzante, che già di per sé lo rendono quanto mai prezioso e godibile – rappresenta a mio parere molto più di un libro, specialmente per i tanti militanti della tartaruga frecciata, perché in alcuni casi può disvelar loro in tutta chiarezza ciò che prima avevano capito e vissuto attraverso l’intuizione, la fascinazione e l’esperienza: più che di un semplice libro, infatti, si tratta di un’altra coordinata da aggiungere sulla bussola, di un punto di riferimento ulteriore per una consapevolezza a 360°, che – si badi bene – non deve trasformarsi né in un manuale d’istruzioni né in un Verbo rivelato, causando così tic e ricorsi autistici all’<i>ipse dixit</i>. Perché <i>Riprendersi tutto</i> – ripeto – non è il punto di arrivo di una percorso, bensì solamente una tappa, un atollo a cui si è fatto scalo prima di salpare nuovamente verso altre acque e altri arrembaggi. Perché la rivoluzione è <b>continua</b>, è <b>permanente</b>: è, come recita il sottotitolo dell’opera stessa, una «rivoluzione in atto».</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-2084220197302669813.post-37051967585989552952011-03-17T14:02:00.000+01:002011-03-17T14:02:55.090+01:00Viva l’Italia, la Semprerinascente!<div style="color: red; text-align: center;"><b>CANTO AUGURALE ALLA NAZIONE ELETTA</b></div><br />
(dall’<i>Elettra</i>, secondo libro delle <i>Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi</i>)<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEigguSK7Vdw01xSuw2hXdRYwUuo47rc0gtDhzIQOIrzhq76Is9ZPwoZyS4mejKaDF19wJNPKpADuBYQi8sNFBXKsO_rtYpFYVW_S-C8Mkv_fh6hU8OKVRG2k0dnXhXHGPjApziJMuDCG8o/s1600/Gabriele+d%2527Annunzio.gif" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEigguSK7Vdw01xSuw2hXdRYwUuo47rc0gtDhzIQOIrzhq76Is9ZPwoZyS4mejKaDF19wJNPKpADuBYQi8sNFBXKsO_rtYpFYVW_S-C8Mkv_fh6hU8OKVRG2k0dnXhXHGPjApziJMuDCG8o/s400/Gabriele+d%2527Annunzio.gif" width="311" /></a></div><br />
<br />
Italia, Italia,<br />
sacra alla nuova Aurora<br />
con l’aratro e la prora!<br />
<br />
Il mattino balzò, come la gioia di mille titani,<br />
agli astri moribondi.<br />
Come una moltitudine dalle innumerevoli mani,<br />
con un fremito solo, nei monti nei colli nei piani<br />
si volsero tutte le frondi.<br />
Italia! Italia!<br />
<br />
Un’aquila sublime apparì nella luce, d’ignota<br />
stirpe titania, bianca<br />
le penne. Ed ecco splendere un peplo, ondeggiare una chioma...<br />
Non era la Vittoria, l’amore d’Atene e di Roma,<br />
la Nike, la vergine santa?<br />
Italia! Italia!<br />
<br />
La volante passò. Non le spade, non gli archi, non l’aste,<br />
ma le glebe infinite.<br />
Spandeasi nella luce il rombo dell’ali sue vaste<br />
e bianche, come quando l’udìa trascorrendo il peltàste<br />
su ’l sangue ed immoto l’oplite.<br />
Italia! Italia!<br />
<br />
Lungo il paterno fiume arava un uom libero i suoi<br />
pingui iugeri, in pace.<br />
Sotto il pungolo dura anelava la forza dei buoi.<br />
Grande era l’uomo all’opra, fratello degli incliti eroi,<br />
col piede nel solco ferace.<br />
Italia! Italia!<br />
<br />
La Vittoria piegò verso le glebe fendute il suo volo,<br />
sfiorò con le sue palme<br />
la nuda fronte umana, la stiva inflessibile, il giogo<br />
ondante. E risalìa. Il vomere attrito nel suolo<br />
balenò come un’arme.<br />
Italia! Italia!<br />
<br />
Parvero l’uomo, il rude stromento, i giovenchi indefessi<br />
nel bronzo trionfale<br />
eternati dal cenno divino. Dei beni inespressi<br />
gonfia esultò la terra saturnia nutrice di messi.<br />
O madre di tutte le biade,<br />
Italia! Italia!<br />
<br />
La Vittoria disparve tra nuvole meravigliose<br />
aquila nell’altezza<br />
dei cieli. Vide i borghi selvaggi, le bianche certose,<br />
presso l’ampie fiumane le antiche città, gloriose<br />
ancóra di antica bellezza.<br />
Italia! Italia!<br />
<br />
E giunse al Mare, a un porto munito. Era il vespro.<br />
Tra la fumèa rossastra<br />
alberi antenne sàrtie negreggiavano in un gigantesco<br />
intrico, e s’udìa cupo nel chiuso il martello guerresco<br />
rintronar su la piastra.<br />
Italia! Italia!<br />
<br />
Una nave construtta ingombrava il bacino profondo,<br />
irta de l’ultime opere.<br />
Tutta la gran carena sfavillava al rossor del tramonto;<br />
e la prora terribile, rivolta al dominio del mondo,<br />
aveva la forma del vomere.<br />
Italia! Italia!<br />
<br />
Sopra quella discese precìpite l’aquila ardente,<br />
la segnò con la palma.<br />
Una speranza eroica vibrò nella mole possente.<br />
Gli uomini dell’acciaio sentirono subitamente<br />
levarsi nei cuori una fiamma.<br />
Italia! Italia!<br />
<br />
Così veda tu un giorno il mare latino coprirsi<br />
di strage alla tua guerra<br />
e per le tue corone piegarsi i tuoi lauri e i tuoi mirti,<br />
o Semprerinascente, o fiore di tutte le stirpi,<br />
aroma di tutta la terra<br />
Italia! Italia,<br />
sacra alla nuova Aurora<br />
con l’aratro e la prora!triFVLMINEhttp://www.blogger.com/profile/06772227599795698766noreply@blogger.com0