lunedì 2 agosto 2010

La Strage di Bologna e i paladini della Verità



«… e generazioni nuove in cui tu credevi tanto, poi quel botto alla stazione che cancella tutto quanto…»

(F. MANCINELLI, Generazione ’78)


2 agosto 1980. Stazione ferroviaria di Bologna. Cinquanta chili di tritolo fanno saltare l’intera sala d’aspetto della stazione, più buona parte delle strutture adiacenti. Il bilancio finale è di ottantacinque morti, e più di centotrenta feriti.

Se ci passate oggi, la stazione di Bologna è uno di quei non-luoghi tra i più rappresentativi di un mondo di flussi, un mondo dove c’è poco spazio per ricordare, ripensare. Puzzo di freni, rumore, annunci di ritardi, treni che ingurgitano binari. Ne passerà uno ogni minuto, o forse di più. Decine di migliaia di persone al giorno arrivano, partono, aspettano. Un paio di tossici ogni tanto tentano di racimolare due spicci. Parecchi piccioni. Oggi come trent’anni fa.

Se costeggi il primo binario, e ti giri verso sinistra, guardando la parete della sala d’aspetto, t’accorgi che è stata ricostruita montando una vetrata trasparente che segue le incrinature che la bomba ha impresso sul muro. Se entri nella sala e ti giri sulla destra, al suolo trovi il buco lasciato dalla bomba, più in alto una lapide. Nomi, cognomi ed età di chi dentro a quella sala d’aspetto finì i suoi giorni, quel 2 agosto di trent’anni fa.

Dentro la frase iscritta sulla lapide, due parole risaltano più delle altre. Perentorie nella condanna, ineluttabili nella fissità del biasimo che esprimono, rimasto inalterato, praticamente da subito dopo l’evento, sino ad oggi.

Due parole.

Strage fascista.

La prima suona come un compimento dell’altra, o meglio, le due parole non potrebbero quasi esistere da sole. Così scritte sembrano come due incastri del Lego, due pezzi di un puzzle. Strage + fascista: complementarietà semantica.

Quel 2 agosto 1980 rappresenta insieme l’acme della strategia della tensione e la sua fine ufficiale. La firma finale su quel periodo storico che si apre formalmente con il 1968 e si concluderà 12 anni dopo. Si concluderà con varie condanne, tante, troppe assoluzioni, e pagine d’ordinaria ingiustizia che adesso va tanto di moda raccontare nei libri. Raccontarle per rivisitarle, riguardarle sotto una nuova luce. Poiché è lecito riscrivere tutto, scrutare il passato sotto la lente di una nuova coscienza collettiva, magari più matura, che abbia fatto tesoro dell’esperienza accumulatasi negli anni, anche in questi anni dove la categoria dell’esperienza ha perso di senso.

Ma c’è un evento, quell’evento, che ha segnato così profondamente l’immaginario collettivo di questa travagliata penisola, che ha impresso un’immagine così indelebile da diventare non una strage delle tante, ma LA strage. C’è un evento che non va toccato. Difeso dai cani da guardia della Verità, di una verità militante, per ciò stesso ancora più vera.

C’è un evento che è diventato la fonte di delegittimazione per tutta un’area politica, più forte dei vent’anni ai quali quell’area si rifaceva, travisati e denigrati sui libri di storia, dal sussidiario al testo universitario. Più forte del fuoco di quella bomba, la stigmatizzazione, l’intoccabilità del nuovo dogma di fede.

Di lì a poco l’Italia sarebbe cambiata. E con lei tutto il mondo. Arriverà l’epoca del riflusso.

Se fossimo in una puntata di Blu Notte, Lucarelli disporrebbe di un fermo immagine, dal quale riprendere la trama, il filo d’Arianna che avrebbe messo da parte poco prima. Questo fermo immagine ritrarrebbe la stazione, le macerie, il fumo, il sangue, la paura. La più clamorosa strage che l’Italia avesse mai visto, l’eccidio più efferato. Se quell’immagine potesse parlare, se le emozioni sprigionate potessero essere cristallizzate in un qualcosa di tangibile, potremmo capire che sin dal primo secondo negli occhi della gente, nel cuore di Bologna, nell’aria, nel fumo delle macerie, l’unico carnefice, l’unico in grado di concepire una così grave barbarie non potrebbe che essere il fascista.

Poco importa il nome dei colpevoli, degli esecutori materiali, dei mandanti, di chi fornisce l’esplosivo, di chi lo assembla, di chi coordina. Poco importano movente e rivendicazione (entrambi assenti). L’importante è che quella strage è una strage fascista. Ed in quanto strage fascista, importa che sia trattata in una determinata maniera. Se le prove non ci sono bisogna inventarsele. Rovesciare l’onere della prova, nell’ideologia militante di certi organi dello Stato, è fondamentale che l’Idea inveri il fatto. E poco importa se i presunti colpevoli non fossero a Bologna quel giorno, potevano coordinare l’azione da tutt’altra parte. Poco importa se quella infinita lista di sospettati dovrà essere riformulata perché in un primo tempo ritenuti innocenti, o se uno dei condannati passati in giudicato avesse appena 17 anni quel 2 agosto del 1980.

Ancor meno importa sapere che quei legami che lo Stato italiano ha intessuto con certa parte del terrorismo internazionale, di cui Moro anni prima si fece paladino in nome della gestione della contingenza del pericolo terroristico, possono aver influito in quella strage. Così come poco credito va dato al fatto che alti funzionari dei servizi segreti tentarono inizialmente di falsificare le prove e sviare le indagini, guarda caso proprio facendole vertere sul terrorismo nero.

Poco importa tutto ciò perché quella strage deve essere fascista. Così da far quadrare il cerchio della storia contemporanea, così da fornire un alibi allo Stato democratico, un capro espiatorio, ed insieme un feticcio da odiare per tutti coloro che si sentono minacciati da qualcosa che ha un nome ed un colore.

Questo articolo potrebbe essere interamente incentrato sulla rassegna delle tesi alternative sulla responsabilità della strage, su un accurato riepilogo di tutte le prove, gli indizi, le fughe di notizie. Ma di questo materiale ne è pieno il web. Ne sono pieni i libri. E allora che senso può avere quest’articolo? Poco, forse nessuno. Poco come le sbraitanti accuse dei familiari delle vittime, poco come gli stupidi fischi a Bondi dell’anno scorso. Poco e nessuno, come le dichiarazioni dei paladini della verità, dei cani da guardia del dogma di fede, che contro ogni evidenza continuano a rigurgitare il loro odio contro lo stragista fascista (sentite come suona bene).

Poco, come tutte le bandiere rosse, gli stendardi della CGIL, nessuno come i militanti antifascisti che saranno presenti alla stazione di Bologna, tanti piccoli riflessi sbiaditi legittimati dall’odio imposto dai dogmi.


Tommaso

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