
Riassumendone in breve l’opera,
Spengler esprime nella prima parte un approccio nuovo allo studio della
storia, che aveva già avuto vari ma poco ascoltati predecessori, dall’arabo
Ibn Khaldun, all’italiano
Giambattista Vico, ai russi
Nikolai Danilevsky e
Konstantin Leontiev, al tedesco
Wilhelm Dilthey: un approccio morfologico che vede lo studio delle
civiltà come organismi separati, ma simili nel seguire un
ciclo vitale ben determinato di
nascita,
fioritura e
decadenza, seguendo paradigmi analoghi. Ogni civiltà ha un’
anima, determinata dalle proprie condizioni etnogeografiche di origine (così alla
Grecia piccola e frammentata corrisponde l’atomismo dell’
anima Apollinea, agli spazi selvaggi del
Nord Europa corrisponde lo sforzo verso l’infinito dell’
anima Faustiana, e così via), che si esprime dando vita a peculiari forme storiche, politiche, artistiche, economiche, filosofiche, religiose, ma anche scientifiche e matematiche. Spengler grazie alla sua cultura ampia e “multiscientifica” riesce ad analizzare e trattare ciascun argomento con esemplare rigore.

Nella seconda parte egli applica quest’approccio tracciando una storia comparata e assolutamente relativistica delle
otto civiltà (egizia, mesopotamica, cinese, indiana, classica, mesoamericana, araba, occidentale), mettendo in luce sia come le loro
espressioni siano
frutto della propria anima (quasi rovesciando il concetto marxista di struttura e sovrastruttura dall’ambito economico a quello spirituale), sia come seguano tutte un medesimo paradigma di sviluppo, in cui i punti più importanti sono:
a) l’opposizione, centrale alla cultura tedesca moderna, tra la
Kultur (espressione della
vita, dell’
essere, della
fede e del
misticismo, della
campagna, della
nazione, della
razza) e la
Zivilisation (espressione dello
spirito, dell’
essere-desto, della
letteratura e dello
sterile e intellettualistico razionalismo, della
metropoli, del
cosmopolitismo e della
massa);
b) il concetto di
razza, come precisamente radicata a un
territorio e plasmata dagli eventi storici, ben diversamente dunque da una concezione razzialista che leghi il concetto di razza alla biologia (prima frenologica, ora genetica) o ponga questo alla base dell’agire storico.

Secondo Spengler, la nostra
Kultur si sarebbe esaurita con la
Rivoluzione Francese e
Napoleone analoghi di
Alessandro Magno e dell’
Ellenismo, dando inizio alla
Zivilisation. Noi ci troveremmo ora ad essere dominati dall’
economia e dal
denaro, mentre si diffonderebbe, come un
revival religioso (“
Seconda religiosità” la chiama Spengler), il
socialismo. Tuttavia è destino ed è necessità storica, che l’unica forza che può ribellarsi e vincere il denaro, il
sangue, si sollevi contro la situazione attuale, facendo appello al riemergere d’
istinti più
primitivi. L’epoca che si schiude a noi sarà quella del
Cesarismo, ovvero del dominio di
grandi figure che sottometteranno di nuovo l’economia alla politica, lottando tra di sé per il possesso del mondo intero. Queste figure però insieme all’esercizio di un potere illimitato sentiranno anche il dovere di prendersi cura del mondo e delle popolazioni («Il
popolo ha un
unico diritto: quello di
essere governato bene»). L’azione in questo senso è necessaria, proprio perché voluta dal destino.
In Italia, il giudizio di
Croce stronca subito Spengler come un «dilettante», mettendo fuori discussione la pubblicazione de
Il tramonto dell’Occidente. Tuttavia, alcuni scritti politici furono pubblicati lo stesso all’inizio degli anni ‘30, per via dell’
ammirazione di Spengler per
Benito Mussolini, il quale a sua volta
lesse,
apprezzò e fu
ispirato dal filosofo tedesco, il quale vedeva in lui un
Cesare (diversamente da
Adolf Hitler, che Spengler considerava invece un «fesso»).

Dopo la guerra Spengler era caduto in disuso, anche in Germania, per via del suo
pessimismo. In Italia fu rilanciato da un altro grande filosofo, a suo tempo definito da
Gottfried Benn lo “Spengler italiano”:
Julius Evola. Egli tradusse e pubblicò per Longanesi nel 1961
Il tramonto dell’Occidente, nonostante non condividesse
in toto le idee di Spengler, di cui anzi critica ampiamente l’impostazione e la
forma mentis, come spiega nell’introduzione all’opera e nella sua autobiografia
Il cammino del cinabro. Si rendeva conto, tuttavia, dell’
impatto rivoluzionario dell’opera e provvide a promuoverla in Italia, diffondendo la conoscenza di Spengler all’interno della cultura di Destra. Molto apprezzato dagli ambienti della
Nuova Destra italiana negli anni ’80, Spengler ha conosciuto a partire dal 1991 una sorta di
Renaissance culturale, grazie anche ad intellettuali quali
Marcello Veneziani e
Stefano Zecchi, che rilanciarono anche in campo accademico gli studi.
Un'opera capitale spiegata in un articolo eccellente, dotato di una chiarezza fuori dal comune.
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