Esistono libri che hanno avuto un successo e una fama che vanno ben oltre la cerchia dei loro lettori, libri la cui lettura, per ardua o lunga che sia, ci influenza e ci cambia molto più di quanto non siamo disposti ad ammettere. Uno di questi è senz’altro “Il tramonto dell’Occidente: Lineamenti di una morfologia della storia mondiale” (Der Untergang des Abendlandes. Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte) di Oswald Spengler, uscito in due parti, in due momenti ben diversi: il primo volume, “Forma e realtà”, (Gestalt und Wirklichkeit) nel marzo 1918, quanto gli Imperi Centrali erano ancora all’offensiva, la Russia era stata appena messa fuori combattimento e le difese Alleate s’incrinavano sul Piave e sulla Somme; il secondo volume, “Prospettive della storia mondiale” (Welthistorische Perspektiven) usciva invece nel 1922, a guerra ormai terminata, e con la Germania in piena crisi (furono riveduti ed editi in un unico volume l’anno seguente).
Il libro nel suo insieme ebbe un esplosivo successo di vendite, a dispetto della crisi economica, presso il pubblico borghese (oltre 100.000 copie) e indusse un rilevante dibattito di critica (il cosiddetto “Spengler-Streit”), ed ebbe un’importante ricezione anche all’estero. È utopico voler qui in breve tracciare un’analisi completa dell’opera, anche per le dimensioni (circa 1500 pagine), ma voglio piuttosto spiegare perché valga la pena di leggerlo.
Oswald Spengler (1880 – 1936) non era un accademico né un filosofo, si era laureato in matematica e scienze naturali all’Università di Halle, frequentando corsi di varie materie, e aveva ottenuto la licenza d’insegnamento superiore con una tesi su Eraclito. Dopo aver insegnato al liceo, l’eredità materna gli consentì di dedicarsi allo studio e alla scrittura a tempo pieno. Fu la crisi di Agadir del 1911 a gettare in lui il dubbio sull’effettiva decadenza della civilizzazione europea, benché allora paresse dominare la Terra. In undici anni egli scrisse dunque quest’opera monumentale che ricevette però numerose critiche dal mondo accademico. Molti non tolleravano quest’approccio così poco ortodosso, questo stile più da presocratico che da professore; altri ritenevano che fosse eccessivamente pessimista nelle sue vedute. Tuttavia, non solo fu apprezzatissimo dal pubblico tedesco, ma il grandissimo interesse che ha destato in Europa e, soprattutto, nel resto del mondo lo contrassegnano oggi inequivocabilmente come un grande classico della politica, apprezzato dagli eurasiatisti come Kissinger, in America Latina come in Giappone.
L’opera di Spengler non si esaurisce con “Il tramonto dell’Occidente”, ma continua articolandosi in tre ambiti: politico, storico e filosofico, strettamente intrecciati tra loro. Il primo ambito è il più ricco, per cui segnalo l’opera breve ma pregnante “Prussianesimo e socialismo” (1919), i libri “Rigenerazione del Reich” (1924) e “Anni della decisione” (1933), oltre alla raccolta di saggi “Forme della Politica Mondiale” (1933), tutti editi in Italia dalle Edizioni Ar di Padova. La riflessione storico-filosofica procede con “L’uomo e la tecnica” (1931), “Scritti e Pensieri” (1933) e i due grandi volumi postumi “Urfragen”, dedicato a questioni di carattere metafisico, e “Albori della Storia Mondiale”, che ricostruisce la preistoria umana, editi rispettivamente da Guanda, SugarCo, Longanesi ed Edizioni Ar. Per chi invece preferisse iniziare da un’antologia, come un assaggio del pensiero spengleriano, consiglio l’antologia “Per un soldato” (1941), curata dalla sorella Hildegarde Kornhardt, e “Spengler. Ombre sull’Occidente” (1973), curata da Adriano Romualdi, entrambe edite dalle Edizioni Ar.
Concludendo, non posso che raccomandare la lettura dell’opera principale di Spengler, proprio perché è come un colpo di spugna sulle preconcezioni hegeliane della storia come progresso e fortemente eurocentrica, e spalanca interi nuovi mondi di eventi ed interpretazioni storiche spesso negletti o sconosciuti; perché offre spiegazioni su molti fenomeni storici convincenti o quanto meno degne d’esame; perché le sue predizioni storiche, svalutate all’epoca in cui scriveva, si sono avverate o si stanno avverando; insomma: un autore oggi più che mai attuale e stimolante la riflessione.
Domani l'articolo sul Tramonto dell'Occidente
Il libro nel suo insieme ebbe un esplosivo successo di vendite, a dispetto della crisi economica, presso il pubblico borghese (oltre 100.000 copie) e indusse un rilevante dibattito di critica (il cosiddetto “Spengler-Streit”), ed ebbe un’importante ricezione anche all’estero. È utopico voler qui in breve tracciare un’analisi completa dell’opera, anche per le dimensioni (circa 1500 pagine), ma voglio piuttosto spiegare perché valga la pena di leggerlo.
Oswald Spengler (1880 – 1936) non era un accademico né un filosofo, si era laureato in matematica e scienze naturali all’Università di Halle, frequentando corsi di varie materie, e aveva ottenuto la licenza d’insegnamento superiore con una tesi su Eraclito. Dopo aver insegnato al liceo, l’eredità materna gli consentì di dedicarsi allo studio e alla scrittura a tempo pieno. Fu la crisi di Agadir del 1911 a gettare in lui il dubbio sull’effettiva decadenza della civilizzazione europea, benché allora paresse dominare la Terra. In undici anni egli scrisse dunque quest’opera monumentale che ricevette però numerose critiche dal mondo accademico. Molti non tolleravano quest’approccio così poco ortodosso, questo stile più da presocratico che da professore; altri ritenevano che fosse eccessivamente pessimista nelle sue vedute. Tuttavia, non solo fu apprezzatissimo dal pubblico tedesco, ma il grandissimo interesse che ha destato in Europa e, soprattutto, nel resto del mondo lo contrassegnano oggi inequivocabilmente come un grande classico della politica, apprezzato dagli eurasiatisti come Kissinger, in America Latina come in Giappone.
L’opera di Spengler non si esaurisce con “Il tramonto dell’Occidente”, ma continua articolandosi in tre ambiti: politico, storico e filosofico, strettamente intrecciati tra loro. Il primo ambito è il più ricco, per cui segnalo l’opera breve ma pregnante “Prussianesimo e socialismo” (1919), i libri “Rigenerazione del Reich” (1924) e “Anni della decisione” (1933), oltre alla raccolta di saggi “Forme della Politica Mondiale” (1933), tutti editi in Italia dalle Edizioni Ar di Padova. La riflessione storico-filosofica procede con “L’uomo e la tecnica” (1931), “Scritti e Pensieri” (1933) e i due grandi volumi postumi “Urfragen”, dedicato a questioni di carattere metafisico, e “Albori della Storia Mondiale”, che ricostruisce la preistoria umana, editi rispettivamente da Guanda, SugarCo, Longanesi ed Edizioni Ar. Per chi invece preferisse iniziare da un’antologia, come un assaggio del pensiero spengleriano, consiglio l’antologia “Per un soldato” (1941), curata dalla sorella Hildegarde Kornhardt, e “Spengler. Ombre sull’Occidente” (1973), curata da Adriano Romualdi, entrambe edite dalle Edizioni Ar.
Concludendo, non posso che raccomandare la lettura dell’opera principale di Spengler, proprio perché è come un colpo di spugna sulle preconcezioni hegeliane della storia come progresso e fortemente eurocentrica, e spalanca interi nuovi mondi di eventi ed interpretazioni storiche spesso negletti o sconosciuti; perché offre spiegazioni su molti fenomeni storici convincenti o quanto meno degne d’esame; perché le sue predizioni storiche, svalutate all’epoca in cui scriveva, si sono avverate o si stanno avverando; insomma: un autore oggi più che mai attuale e stimolante la riflessione.
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