L’AVGVSTO compie oggi 2 mesi!!! Ringraziamo chi ci ha letto, apprezzato, criticato... con un articolo che ci riporta alle origini.
Parallelismi: Augusto e Mussolini.
Numerosi autori antichi hanno parlato di Historia magistra vitae (“la Storia è maestra di vita”) – formula coniata da Cicerone –, e molti intellettuali posteriori ribadirono e riproposero il concetto. La Storia, intesa in senso gnoseologico (ossia la conoscenza che noi abbiamo dei fatti storici), sarebbe un ottimo “strumento” grazie al quale ci è possibile riconoscere eventi simili tra loro, e che ci permetterebbe quindi di comportarci di conseguenza. Lo stesso Machiavelli (1469 – 1527, in foto) basò su questo concetto il suo celeberrimo trattato Il Principe: colui che conosce la storia e quali furono gli esempi di virtù o d’errore che occorsero di fronte ad analoghe condizioni, egli saprà indirizzare gli eventi a suo favore e sarà il “vero” e ottimo Principe, ossia il reggitore dello Stato. Tuttavia Guicciardini (1483 – 1540) si mostrò scettico nei confronti di questa teoria, obiettando che gli avvenimenti storici non si ripetono mai nella stessa maniera, e che il buon statista deve essere in grado di interpretarli correttamente, escogitando volta a volta le soluzioni migliori.
Ma – per tornare a noi – è proprio vero che la storia è magistra vitae? Forse sì, ma esiste certamente anche l’altra faccia della medaglia: Vita magistra historiae (“la vita è maestra della Storia”), ossia ogni epoca ha riletto, interpretandole in maniere sempre diverse, alcune singole esperienze storiche, lasciandovi qualcosa di se stessa. Così è stato ad es. per Sparta, giacché i comunisti videro nella costituzione di Licurgo un fulgido esempio di uguaglianza tra i cittadini, mentre i nazionalsocialisti la esaltarono quale Stato “razziale” per eccellenza.
Anche la figura di Ottaviano Augusto, una delle più affascinanti che la Storia abbia conosciuto, subì lo stesso processo. Un caso interessante fu quello dell’identificazione, in epoca fascista, di Augusto con Mussolini. Nel 1937 cadeva infatti il bimillenario della nascita dell’imperatore, e fu allestita – non a caso – la Mostra Augustea della Romanità. Tale mostra, che ebbe sede nel Palazzo delle Esposizioni a Roma (in foto) sotto la direzione del grande archeologo G. Q. Giglioli, raccoglieva un’imponente mole di riproduzioni di materiali inerenti alla storia di Roma antica, volendone essere una grandiosa celebrazione. Una sala dell’esposizione, l’ultima, era dedicata – per l’appunto – ad Augusto e Mussolini.
Ma perché il Duce del Fascismo era accostato ad Augusto? I motivi sono molteplici.
Augusto (63 a.C. – 14 d.C., in foto), al contrario di quanto alcuni ancora credono, non fu il vero erede politico del padre adottivo Gaio Giulio Cesare (100 – 44 a.C.). Cesare aveva in mente Roma come una monarchia universale, ossia uno Stato in continua espansione territoriale e governato da un monarca assoluto. Questa concezione era invero stata raccolta da Marco Antonio, suo fedele luogotenente e – non a caso – futuro nemico di Ottaviano (poi Augusto). L’ideale di quest’ultimo fu infatti quello che poi strutturò in quasi un cinquantennio di governo, ossia il Principato, retto da un capo carismatico (princeps) e non necessariamente espansionista, più vicino al modello statuale di Pompeo.
Augusto fu quindi visto nei secoli come il virtuoso “architetto” e ordinatore dello Stato, contrapposto al Cesare conquistatore e al suo mito (Cesarismo) che ebbe anch’esso molta fortuna, ad es. presso colui che meglio lo personificò: Napoleone Bonaparte (1769 – 1821).
Tuttavia sia Augusto che Mussolini possono essere letti e accostati secondo due ruoli che rivestirono entrambi: il rivoluzionario e lo statista.
Ultimamente è tornata molto di moda l’espressione “la prima marcia su Roma” – formula coniata da Ronald Syme nella sua splendida The Roman Revolution (1939) –, ossia quella che iniziò il futuro Augusto nell’agosto del 43 a.C. attraversando il Rubicone (come già fece suo padre Cesare). Si era appena conclusa la cosiddetta “Guerra di Modena” tra Ottaviano, investito del potere dal senato, e Antonio; durante i combattimenti perirono – in maniera più che sospetta – i due consoli Irzio e Pansa: Roma ora non aveva più i sommi magistrati che reggevano la repubblica. Questo vuoto di potere – casuale o abilmente macchinato – offrì a Ottaviano la tanto agognata “occasione” (kairòs in greco): richiese al senato il consolato per sé e ricompense ai suoi soldati; al netto rifiuto non esitò a marciare sull’Urbe. Il giovanissimo Ottaviano (aveva solo diciannove anni!) era precoce, e mostrò tutta la sua abilità politica prima di entrare in senato: quest’ultimo gli aveva mandato a dire che era possibile indire regolari elezioni a cui gli era lecito partecipare (concessione già di per sé inaudita, giacché l’età minima per rivestire il consolato era di 43 anni). Ma a rifiuto Ottaviano oppose rifiuto, inviò un manipolo di uomini armati, capeggiati dal centurione Cornelio il quale, entrando nella curia e mostrando l’elsa della spada quasi del tutto sguainata, tuonò: «Questa lo farà console se non lo farete voi!». Allora Cicerone, prototipo del vecchio statista, si abbandonò a imbarazzanti blandizie nei confronti di Ottaviano, con il recondito, benché vano, intento di poter meglio controllare il «ragazzo» (così lo chiamava nelle sue lettere). Questo ricordò a Syme il vecchio Giolitti che, dapprima umiliandosi, tentò invano di “pilotare”, previa marcia su Roma, il giovane (aveva appena trentanove anni) e arrembante Mussolini.
Ma il paragone tra Augusto e Mussolini per la Mostra Augustea della Romanità riguardava certamente le figure di Augusto e di Mussolini in quanto statisti.
Se durante la campagna etiopica, infatti, il Duce fu accostato, come si addiceva al fondatore del sorgente impero, a Cesare, negli anni successivi la propaganda del regime fascista pose l’accento sul Mussolini ordinatore dello Stato. La contrapposizione Cesare-Augusto aveva ispirato anni prima l’opera di Guglielmo Ferrero (1871 – 1942) Grandezza e decadenza di Roma (1906-7 in 5 volumi) che lodava il lavoro oscuro e paziente di Augusto (in antitesi con quello più appariscente e risonante di Cesare) identificandolo con Giolitti: paragone che certamente nobilitava oltremodo il vecchio statista italiano.
Al contrario la personalità politica di Benito Mussolini (1883 – 1945), grazie alla sua imponente e lungimirante opera di strutturazione del regime fascista, meglio si attagliava a quell’Augusto che, da vero “architetto” (così lo definì Rice Holmes), aveva dato forma al Principato con riforme che investirono quasi tutti gli aspetti dell’apparato statale romano. Altro tratto in comune tra i due “duci” fu il carattere restauratore delle due rivoluzioni a cui diedero vita: Augusto, nel fondare il nuovo Stato, si propose di restaurare – per l’appunto – la tanto amata Res Publica (ora, dunque, restituta), attraverso un oculato compromesso formale (come scrisse Tacito, i nomi delle magistrature erano gli stessi ma altri erano i concetti che essi esprimevano); anche Mussolini aveva donato alla rivoluzione fascista una connotazione non già sovversiva, bensì restauratrice. Ora che tale rivoluzione si stava esaurendo, e il Fascismo si andava affermando quindi come Regime, fu logica – e tutt’altro che peregrina – l’identificazione di Mussolini con Augusto.
Un ulteriore carattere lega, infine, i due statisti: l’auctoritas, la quale era la base del loro potere e che traeva la propria forza e legittimazione dal consenso pressoché unanime del popolo di cui essi godevano.
Tuttavia gli eventi che conclusero le loro esistenze non possono che differire in maniera più netta. Augusto morì alla veneranda età di quasi settantasei anni, con l’intima soddisfazione di aver edificato le fondamenta della Roma imperiale col plauso dei contemporanei e dei posteri; al contrario Mussolini soffrì il patibolo, al quale si avviò con l’animo sconsolato di chi è stato tradito da un popolo che tanto aveva amato, che, ingrato, avrebbe bestemmiato il suo nome nei decenni a venire.
A breve l’articolo sulla “prima marcia su Roma”...
Ma – per tornare a noi – è proprio vero che la storia è magistra vitae? Forse sì, ma esiste certamente anche l’altra faccia della medaglia: Vita magistra historiae (“la vita è maestra della Storia”), ossia ogni epoca ha riletto, interpretandole in maniere sempre diverse, alcune singole esperienze storiche, lasciandovi qualcosa di se stessa. Così è stato ad es. per Sparta, giacché i comunisti videro nella costituzione di Licurgo un fulgido esempio di uguaglianza tra i cittadini, mentre i nazionalsocialisti la esaltarono quale Stato “razziale” per eccellenza.
Anche la figura di Ottaviano Augusto, una delle più affascinanti che la Storia abbia conosciuto, subì lo stesso processo. Un caso interessante fu quello dell’identificazione, in epoca fascista, di Augusto con Mussolini. Nel 1937 cadeva infatti il bimillenario della nascita dell’imperatore, e fu allestita – non a caso – la Mostra Augustea della Romanità. Tale mostra, che ebbe sede nel Palazzo delle Esposizioni a Roma (in foto) sotto la direzione del grande archeologo G. Q. Giglioli, raccoglieva un’imponente mole di riproduzioni di materiali inerenti alla storia di Roma antica, volendone essere una grandiosa celebrazione. Una sala dell’esposizione, l’ultima, era dedicata – per l’appunto – ad Augusto e Mussolini.
Ma perché il Duce del Fascismo era accostato ad Augusto? I motivi sono molteplici.
Augusto (63 a.C. – 14 d.C., in foto), al contrario di quanto alcuni ancora credono, non fu il vero erede politico del padre adottivo Gaio Giulio Cesare (100 – 44 a.C.). Cesare aveva in mente Roma come una monarchia universale, ossia uno Stato in continua espansione territoriale e governato da un monarca assoluto. Questa concezione era invero stata raccolta da Marco Antonio, suo fedele luogotenente e – non a caso – futuro nemico di Ottaviano (poi Augusto). L’ideale di quest’ultimo fu infatti quello che poi strutturò in quasi un cinquantennio di governo, ossia il Principato, retto da un capo carismatico (princeps) e non necessariamente espansionista, più vicino al modello statuale di Pompeo.
Augusto fu quindi visto nei secoli come il virtuoso “architetto” e ordinatore dello Stato, contrapposto al Cesare conquistatore e al suo mito (Cesarismo) che ebbe anch’esso molta fortuna, ad es. presso colui che meglio lo personificò: Napoleone Bonaparte (1769 – 1821).
Tuttavia sia Augusto che Mussolini possono essere letti e accostati secondo due ruoli che rivestirono entrambi: il rivoluzionario e lo statista.
Ultimamente è tornata molto di moda l’espressione “la prima marcia su Roma” – formula coniata da Ronald Syme nella sua splendida The Roman Revolution (1939) –, ossia quella che iniziò il futuro Augusto nell’agosto del 43 a.C. attraversando il Rubicone (come già fece suo padre Cesare). Si era appena conclusa la cosiddetta “Guerra di Modena” tra Ottaviano, investito del potere dal senato, e Antonio; durante i combattimenti perirono – in maniera più che sospetta – i due consoli Irzio e Pansa: Roma ora non aveva più i sommi magistrati che reggevano la repubblica. Questo vuoto di potere – casuale o abilmente macchinato – offrì a Ottaviano la tanto agognata “occasione” (kairòs in greco): richiese al senato il consolato per sé e ricompense ai suoi soldati; al netto rifiuto non esitò a marciare sull’Urbe. Il giovanissimo Ottaviano (aveva solo diciannove anni!) era precoce, e mostrò tutta la sua abilità politica prima di entrare in senato: quest’ultimo gli aveva mandato a dire che era possibile indire regolari elezioni a cui gli era lecito partecipare (concessione già di per sé inaudita, giacché l’età minima per rivestire il consolato era di 43 anni). Ma a rifiuto Ottaviano oppose rifiuto, inviò un manipolo di uomini armati, capeggiati dal centurione Cornelio il quale, entrando nella curia e mostrando l’elsa della spada quasi del tutto sguainata, tuonò: «Questa lo farà console se non lo farete voi!». Allora Cicerone, prototipo del vecchio statista, si abbandonò a imbarazzanti blandizie nei confronti di Ottaviano, con il recondito, benché vano, intento di poter meglio controllare il «ragazzo» (così lo chiamava nelle sue lettere). Questo ricordò a Syme il vecchio Giolitti che, dapprima umiliandosi, tentò invano di “pilotare”, previa marcia su Roma, il giovane (aveva appena trentanove anni) e arrembante Mussolini.
Ma il paragone tra Augusto e Mussolini per la Mostra Augustea della Romanità riguardava certamente le figure di Augusto e di Mussolini in quanto statisti.
Se durante la campagna etiopica, infatti, il Duce fu accostato, come si addiceva al fondatore del sorgente impero, a Cesare, negli anni successivi la propaganda del regime fascista pose l’accento sul Mussolini ordinatore dello Stato. La contrapposizione Cesare-Augusto aveva ispirato anni prima l’opera di Guglielmo Ferrero (1871 – 1942) Grandezza e decadenza di Roma (1906-7 in 5 volumi) che lodava il lavoro oscuro e paziente di Augusto (in antitesi con quello più appariscente e risonante di Cesare) identificandolo con Giolitti: paragone che certamente nobilitava oltremodo il vecchio statista italiano.
Al contrario la personalità politica di Benito Mussolini (1883 – 1945), grazie alla sua imponente e lungimirante opera di strutturazione del regime fascista, meglio si attagliava a quell’Augusto che, da vero “architetto” (così lo definì Rice Holmes), aveva dato forma al Principato con riforme che investirono quasi tutti gli aspetti dell’apparato statale romano. Altro tratto in comune tra i due “duci” fu il carattere restauratore delle due rivoluzioni a cui diedero vita: Augusto, nel fondare il nuovo Stato, si propose di restaurare – per l’appunto – la tanto amata Res Publica (ora, dunque, restituta), attraverso un oculato compromesso formale (come scrisse Tacito, i nomi delle magistrature erano gli stessi ma altri erano i concetti che essi esprimevano); anche Mussolini aveva donato alla rivoluzione fascista una connotazione non già sovversiva, bensì restauratrice. Ora che tale rivoluzione si stava esaurendo, e il Fascismo si andava affermando quindi come Regime, fu logica – e tutt’altro che peregrina – l’identificazione di Mussolini con Augusto.
Un ulteriore carattere lega, infine, i due statisti: l’auctoritas, la quale era la base del loro potere e che traeva la propria forza e legittimazione dal consenso pressoché unanime del popolo di cui essi godevano.
Tuttavia gli eventi che conclusero le loro esistenze non possono che differire in maniera più netta. Augusto morì alla veneranda età di quasi settantasei anni, con l’intima soddisfazione di aver edificato le fondamenta della Roma imperiale col plauso dei contemporanei e dei posteri; al contrario Mussolini soffrì il patibolo, al quale si avviò con l’animo sconsolato di chi è stato tradito da un popolo che tanto aveva amato, che, ingrato, avrebbe bestemmiato il suo nome nei decenni a venire.
A breve l’articolo sulla “prima marcia su Roma”...
Interessantissimo articolo...
RispondiEliminaNon vedo l'orda di leggere quello sulla "prima marcia su Roma"