mercoledì 17 dicembre 2008

La cultura greca tra Islam e Occidente

Secondo una tradizione scolastica ben consolidata, l’Occidente deve la riscoperta e la trasmissione della scienza e della filosofia greche, soprattutto di Aristotele (in foto), al mondo arabo e alla sua opera di mediazione culturale.

È noto che fin dall’inizio del medioevo tutti i percorsi filosofici elaborati furono caratterizzati dalla quasi totale mancanza di contatto con i testi classici, con una riduzione dei rapporti con questi a pochi riferimenti fondamentali; basti ricordare, a tal proposito, l’opera compiuta da Anicio Manlio Severino Boezio (480 – 524), il quale poté tradurre e commentare l’Organon di Aristotele, unito all’opuscolo introduttivo di Porfirio alla logica aristotelica, noto come Isagoge. Con l’eccezione di Giovanni Scoto Eriugena cui si deve, fra le altre, la traduzione del Corpus di Dionigi l’Areopagita, non si assiste fino alla «rinascita carolingia» ad arricchimenti nell’uso delle fonti. Un incontro più diretto con le fonti classiche sarebbe avvenuto realmente soltanto per mezzo di fonti arabe, e soltanto e non prima del XII secolo. La presenza degli Arabi nella penisola iberica e in tutto il nord Africa avrebbe, di fatto, messo a disposizione del mondo latino un gran numero di fonti provenienti dall’Oriente. La prima presenza di questo patrimonio è rinvenibile nelle traduzioni di opere scientifiche e mediche realizzate da Adelardo di Bath negli anni ’40 del XII secolo.

In questo contesto, caratterizzato da una sempre maggiore disponibilità di testi arabi, diviene sempre più importante la figura del traduttore, cui va ricondotta l’opera di Gerardo da Cremona. Giunto a Toledo intorno agli anni sessanta del 1100, compì una grande parafrasi dall’arabo in latino, tradusse la Fisica di Aristotele, ed anche il De causis, erroneamente attribuito allo Stagirita, ma risalente a Proco. Da questo complesso sviluppo, particolarmente rilevante è anche l’opera di Giacomo Veneto, traduttore degli Analitici e della prima parte della Metafisica (traslatio vetus), cui si aggiungerà fra il 1220 e 1230 la traduzione completa di quest’opera da parte di Michele Scoto, e l’ultimo intervento fatto sul testo da Guglielmo di Moerbeke intorno al 1250. A partire da questi processi, tutto il XIII secolo e buona parte del XIV sono caratterizzati dai dibattiti che emergono, attraverso diverse linee di lettura, dalle traduzioni arabe e dall’ermeneutica greco-araba.

Nonostante la solidità di quella che ormai si è consolidata come una vera e propria vulgata, è stata di recente formulata una nuova ipotesi interpretativa circa la scoperta e la trasmissione del pensiero greco in Occidente, secondo la quale questa riscoperta non si dovrebbe agli arabi musulmani, ma ai cristiani d’Oriente.

Questa tesi, formulata recentemente da un noto medievista francese, Sylvain Gouguenheim (in foto), professore all’École normale supérieure di Lione, autore di Aristote au Mont Saint-Michel, ha scatenato un vero e proprio vespaio di polemiche. Tanto per cambiare l’autore è stato attaccato dalla sinistra multiculturalista e politicamente corretta con l’accusa di sottovalutare il contributo dell’Islam circa la riscoperta della scienza e della filosofia greche da parte dell’Occidente. La questione è molto più complicata, anche per il fatto che il libro, subito oggetto delle già citate polemiche al suo primo apparire, l’hanno letto in pochi.

Gouguenheim, contrariamente a quanto insegnato nei manuali correnti, sostiene che la circolazione di manoscritti greci in Occidente, in particolare Aristotele e Galeno, sia continuata ben oltre la fine dell’Impero romano, eliminando la necessità della mediazione araba, come dimostrano i molti papi di origine greca o siriana, o episodi come l’invio da parte di papa Paolo I della Retorica di Aristotele al re francese Pipino il Breve nel 758. Per Gouguenheim, inoltre, non è vero che l’Islam accolse la cultura greca, in quanto il lavoro di traduzione dei testi non venne compiuto per la maggior parte da musulmani.

Gli stessi Al Farabi, Avicenna e Averroè (in foto) non leggevano il greco, ma attingevano alle traduzioni in arabo opera dei cristiani aramaici e siriaci come Hunayn ibn Ishaq, che creò la maggior parte del vocabolario medico arabo attraverso la trasposizione di più di duecento opere di Galeno, Ippocrate e Platone. L’ammirazione per la cultura greca e la sua ricezione fu selettiva e senza troppa influenza sulla realtà religiosa, giuridica e politica dell’Islam.

La polemica scatenatasi a seguito della pubblicazione del libro, come già detto, ne ha impedito una larga circolazione e poco è servito da parte di Gouguenheim ricordare di provenire da una famiglia che ha fatto la Resistenza e di non voler rivolgere alcuna critica alla civiltà arabo-musulmana.

La sua “colpa” è stata unicamente quella di riesumare la figura di Giacomo da Venezia che, monaco all’abbazia del monte Saint-Michel, iniziò a tradurre Aristotele cinquant’anni prima che la versione araba comparisse nella Spagna musulmana.

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2 commenti:

  1. Un piccolo particolare: l'autore del libro è ebreo, e poiché il risultato del libro è quello di sminuire un apporto islamico alla "civiltà europea" è lecito porsi il dubbio se egli non abbia inteso portare acqua al mulino delle cosiddette "radici giudaico-cristiane" dell'Europa.
    saluti
    E.

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  2. E' più che lecito porsi il dubbio, anche perché è impossibile, per quanto si cerchi di evitare, non essere influenzati dalla propria formazione o dalla propria appartenza ad una specifica matrice culturale. Tuttavia, l'ipotesi in se stessa meritava di essere discussa e non pregiudizialmente messa in disparte soltanto perché non conforme ad una tradizione interpretativa ormai consolidatasi. Ritengo che quanto affermato da Sylvain Gouguenheim sia comunque valido e che non rimanga altro che stabilire, con la maggiore obiettività possibile, l'apporto dell'una e dell'altra cultura nella formazione della cultura europea.

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