lunedì 15 dicembre 2008

"Fight Club" 150 anni prima: la Scapigliatura

Articolo di Francesco Polacchi, responsabile del Blocco Studentesco, apparso su L'Occidentale (ottobre 2008).


Irriverenti, anticonformisti, dissacranti.

Amano l’arte nelle sue più variegate espressioni, scrutano il mondo da lontano con un ghigno che trasmette amarezza e disillusione per i repentini cambiamenti sociali e non, avvenuti in un periodo così breve da non riuscire a starne al passo. È giunta l’unità d’Italia, è in atto quell’insieme di iniziative economiche private e statali che prende il nome di rivoluzione industriale con tutte le sue conseguenze. L’uomo vive un’alienazione profonda dalla vita e dal lavoro, è sempre più schiavo delle macchine, del denaro e del mercantilismo. Sono questi i nuovi padroni. Sono questi i nuovi princìpi cui guardare. La borghesia è ormai la classe sociale che più governa i ritmi sociali, l’organizzazione del nuovo stato e lo scheletro economico non solo italiano ma mondiale.

Il Risorgimento è un vecchio ricordo, un sogno non ancora terminato ma derubato da una monarchia impopolare e retrograda. L’artista è messo al bando, ghettizzato dal ruolo pedagogico e sociale che aveva avuto fino ad allora; è deriso, umiliato, è come un albatros che “esiliato sulla terra, fra scherni, camminare non può per le sue ali di gigante”. “Albatros” di Baudelaire è sicuramente una poesia-manifesto della frustrazione angosciosa che prova l’artista europeo della seconda metà dell’800. Sarà grande l’influenza dei poeti “maledetti” su un gruppo di amici milanesi che danno vita ad un movimento non codificato in scritti teorici ma coeso da un comune sentire di ripulsione e ribellione verso i princìpi del meccanicismo e del progresso che il mondo borghese sta trasformando in religione rivelata.

Nell’arte come nella vita, questi anomali personaggi fanno loro il mito di un’esistenza irregolare e dissipata come rifiuto radicale delle convenzioni correnti e delle norme morali. Sono gli Scapigliati. Alcolisti incalliti, musicisti, poeti, pittori, combattenti, giornalisti e politici: questo il volto rivoluzionario del nuovo genio artista. Cantano il bene e il male, il bello e l’orrendo, declamano virtù e vizi, raccontano sogni e realtà. È l’incertezza la protagonista della lacerazione interiore, l’angoscia pesa come un macigno sui loro indomiti spiriti. È palpabile un senso di smarrimento che porta al mistero o alla paura di non poter più raggiungere l’ideale, il mondo del fantastico. Allora si ergono a raccontare i fatti reali consunti di amarezza e di pietosa comprensione per chi non capisce, per esempio, cosa sia la ferrovia “… E tornando al miserrimo tetto,/ scorderan per quel dì la canzone,/ e nei sogni la strana visione/ tornerà nuovi enigmi a fischiar…”. Occhio attento, dunque, quello di Emilio Praga (in foto) che in “La strada ferrata” si pone da osservatore del mondo contadino, raccontando quali cambiamenti i treni abbiano portato, vagheggiando ironicamente alla celebrazione della fisica applicata anziché del canto della Bellezza! Questo è il trillo della delusione di un uomo in miseria distrutto dall’alcool suo compagno di viaggio; un antico Jack Kerouac, un anarchico integrale, insofferente alla morale, alla religione e alla retorica; sarà lui il primo a cantare la “morte di Dio” ossia di tutte quelle costruzioni razionali e formali che così come nella poesia anche nella storia del mondo hanno messo le catene all’uomo ormai incapace di travalicare i limiti dell’esistenza per assurgere alla vera conoscenza.
In “Preludio” tuona: “…Casto poeta che l’Italia adora,/ Vegliardo in sante visioni assorto,/ tu puoi morir!... degli antecristi è l’ora!/ Cristo è rimorto!/// O nemico lettor, canto la Noia, l’eredità del dubbio e dell’ignoto,/ il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia,/ il tuo cielo, e il tuo loto…” e ancora “… canto l’amore dei sette peccati…”. È dunque Praga l’anticipatore del pensiero di Nietzsche che in “Così parlò Zarathustra” annuncerà la morte di Dio per la nascita dello übermensch pronto a farsi carico del peso dell’umanità tutta. In questo pezzo si nota una profonda critica al “casto poeta”, Alessandro Manzoni, ritenuto vecchio, passatista, troppo religioso e incapace di saper leggere gli avvenimenti. La critica al Manzoni, padre letterario della rivincita nazionale contro l’oppressore straniero e che ebbe la grandezza di innalzarsi su un promontorio ideale ad osservare gli stravolgimenti e le innovazioni apportate da Napoleone in Europa, è una costante in tutti gli Scapigliati nonostante ci fosse quel comune sentire di attaccamento alla Patria.

Ecco dunque un'altra peculiarità della Scapigliatura, la lotta per la Patria.

Cletto Arrighi
(pseudonimo di Carlo Righetti), a cui si deve la paternità del termine “Scapigliatura”, partecipò alle Cinque Giornate di Milano nel 1848 e si arruolò come volontario alla II guerra d’indipendenza nel 1859. Vita disordinata la sua, sempre pronto a menar le mani per strada, in osteria o a seguir con entusiasmo le vicende nazionali. Acuto giornalista e attento analizzatore ci dà un grosso aiuto per capire il movimento: “Questa casta o classe – che sarà meglio detto – vero pandemonio del secolo; personificazione della follia che sta fuori dai manicomii; serbatoio del disordine, dell’imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti; - io l’ho chiamata appunto la Scapigliatura”, che però “…nell’ordine dell’universo attrae fra di loro le cose consimili.” A leggere la sua storia di poeta-combattente e romanziere impegnato ci sembra di vedere un eroe dei romanzi di D’annunzio in giovane età ancora combattuto tra una visione decadente completa e la rinascita di quello spirito latino dal quale si temprerà un nuovo ordine universale che sarà narrato nel suo capolavoro “Le vergini delle rocce”. Cletto Arrighi è dunque più simile a Giorgio Aurispa, protagonista de “Il trionfo della morte” che non a Claudio Cantelmo eroe de “Le vergini delle rocce”, in quanto nella tragicità comune della fine della vita di entrambi si nota la volontà di vivere autenticamente alla ricerca di valori profondi, non superficiali anche al costo di indagare nell’ombra.

Altri grandi esponenti furono scapigliati: i fratelli Boito, Giovanni Camerana e Igino Tarchetti tutti fantastici interpreti di quell’indagine nel macabro e ricerca del bello in una vita condotta sempre al limite avversa a qualsiasi moralismo. È questo atteggiamento disincantato che Arrigo Boito (in foto) immortala in “Dualismo” altra poesia manifesto affermando: “Son luce ed ombra; angelica/ farfalla o verme immondo,/ sono un caduto cherubo/ dannato a errar sul mondo,/ o un demone che sale,/ affaticando l’ale,/ verso un lontan ciel…”. Appare chiara la condizione spirituale di chiusura verso l’esterno e sconvolgimento personale.
Boito come Praga, Faccio e soprattutto Arrighi fu uomo comunque impegnato, non emarginato, bensì disprezzatore delle evoluzioni in atto, mai passatista e mai ricercatore di una vita tranquilla e bucolica; seguendo il vento della passione patriottica con Garibaldi nel 1866 nella III guerra d’indipendenza, viene eletto al senato italiano nel 1912 su posizioni anarchico-radicali.

La Scapigliatura rappresenta il fenomeno italico a un comune sentire europeo di crisi spirituale e di allontanamento dalla padronanza di se stessi di un uomo conquistato sempre più dal materialismo a cui contrapporgli un costante combattimento interiore che a volte sfocia nell’esoterismo. Sembrano tematiche alla “Fight Club” di Palanhiuk, solo che nascono quasi un secolo e mezzo prima rimanendo sconosciute ai più.

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