domenica 28 dicembre 2008

!!!AVGVSTO!!!PiùaltoPiùoltre!!!


L’AVGVSTO compie oggi 2 mesi!!! Ringraziamo chi ci ha letto, apprezzato, criticato... con un articolo che ci riporta alle origini.

Parallelismi: Augusto e Mussolini.

Numerosi autori antichi hanno parlato di Historia magistra vitae (“la Storia è maestra di vita”) – formula coniata da Cicerone –, e molti intellettuali posteriori ribadirono e riproposero il concetto. La Storia, intesa in senso gnoseologico (ossia la conoscenza che noi abbiamo dei fatti storici), sarebbe un ottimo “strumento” grazie al quale ci è possibile riconoscere eventi simili tra loro, e che ci permetterebbe quindi di comportarci di conseguenza. Lo stesso Machiavelli (1469 – 1527, in foto) basò su questo concetto il suo celeberrimo trattato Il Principe: colui che conosce la storia e quali furono gli esempi di virtù o d’errore che occorsero di fronte ad analoghe condizioni, egli saprà indirizzare gli eventi a suo favore e sarà il “vero” e ottimo Principe, ossia il reggitore dello Stato. Tuttavia Guicciardini (1483 – 1540) si mostrò scettico nei confronti di questa teoria, obiettando che gli avvenimenti storici non si ripetono mai nella stessa maniera, e che il buon statista deve essere in grado di interpretarli correttamente, escogitando volta a volta le soluzioni migliori.

Ma – per tornare a noi – è proprio vero che la storia è magistra vitae? Forse sì, ma esiste certamente anche l’altra faccia della medaglia: Vita magistra historiae (“la vita è maestra della Storia”), ossia ogni epoca ha riletto, interpretandole in maniere sempre diverse, alcune singole esperienze storiche, lasciandovi qualcosa di se stessa. Così è stato ad es. per Sparta, giacché i comunisti videro nella costituzione di Licurgo un fulgido esempio di uguaglianza tra i cittadini, mentre i nazionalsocialisti la esaltarono quale Stato “razziale” per eccellenza.

Anche la figura di Ottaviano Augusto, una delle più affascinanti che la Storia abbia conosciuto, subì lo stesso processo. Un caso interessante fu quello dell’identificazione, in epoca fascista, di Augusto con Mussolini. Nel 1937 cadeva infatti il bimillenario della nascita dell’imperatore, e fu allestita – non a caso – la Mostra Augustea della Romanità. Tale mostra, che ebbe sede nel Palazzo delle Esposizioni a Roma (in foto) sotto la direzione del grande archeologo G. Q. Giglioli, raccoglieva un’imponente mole di riproduzioni di materiali inerenti alla storia di Roma antica, volendone essere una grandiosa celebrazione. Una sala dell’esposizione, l’ultima, era dedicata – per l’appunto – ad Augusto e Mussolini.

Ma perché il Duce del Fascismo era accostato ad Augusto? I motivi sono molteplici.

Augusto (63 a.C. – 14 d.C., in foto), al contrario di quanto alcuni ancora credono, non fu il vero erede politico del padre adottivo Gaio Giulio Cesare (100 – 44 a.C.). Cesare aveva in mente Roma come una monarchia universale, ossia uno Stato in continua espansione territoriale e governato da un monarca assoluto. Questa concezione era invero stata raccolta da Marco Antonio, suo fedele luogotenente e – non a caso – futuro nemico di Ottaviano (poi Augusto). L’ideale di quest’ultimo fu infatti quello che poi strutturò in quasi un cinquantennio di governo, ossia il Principato, retto da un capo carismatico (princeps) e non necessariamente espansionista, più vicino al modello statuale di Pompeo.
Augusto fu quindi visto nei secoli come il virtuoso “architetto” e ordinatore dello Stato, contrapposto al Cesare conquistatore e al suo mito (Cesarismo) che ebbe anch’esso molta fortuna, ad es. presso colui che meglio lo personificò: Napoleone Bonaparte (1769 – 1821).

Tuttavia sia Augusto che Mussolini possono essere letti e accostati secondo due ruoli che rivestirono entrambi: il rivoluzionario e lo statista.

Ultimamente è tornata molto di moda l’espressione “la prima marcia su Roma” – formula coniata da Ronald Syme nella sua splendida The Roman Revolution (1939) –, ossia quella che iniziò il futuro Augusto nell’agosto del 43 a.C. attraversando il Rubicone (come già fece suo padre Cesare). Si era appena conclusa la cosiddetta “Guerra di Modena” tra Ottaviano, investito del potere dal senato, e Antonio; durante i combattimenti perirono – in maniera più che sospetta – i due consoli Irzio e Pansa: Roma ora non aveva più i sommi magistrati che reggevano la repubblica. Questo vuoto di potere – casuale o abilmente macchinato – offrì a Ottaviano la tanto agognata “occasione” (kairòs in greco): richiese al senato il consolato per sé e ricompense ai suoi soldati; al netto rifiuto non esitò a marciare sull’Urbe. Il giovanissimo Ottaviano (aveva solo diciannove anni!) era precoce, e mostrò tutta la sua abilità politica prima di entrare in senato: quest’ultimo gli aveva mandato a dire che era possibile indire regolari elezioni a cui gli era lecito partecipare (concessione già di per sé inaudita, giacché l’età minima per rivestire il consolato era di 43 anni). Ma a rifiuto Ottaviano oppose rifiuto, inviò un manipolo di uomini armati, capeggiati dal centurione Cornelio il quale, entrando nella curia e mostrando l’elsa della spada quasi del tutto sguainata, tuonò: «Questa lo farà console se non lo farete voi!». Allora Cicerone, prototipo del vecchio statista, si abbandonò a imbarazzanti blandizie nei confronti di Ottaviano, con il recondito, benché vano, intento di poter meglio controllare il «ragazzo» (così lo chiamava nelle sue lettere). Questo ricordò a Syme il vecchio Giolitti che, dapprima umiliandosi, tentò invano di “pilotare”, previa marcia su Roma, il giovane (aveva appena trentanove anni) e arrembante Mussolini.

Ma il paragone tra Augusto e Mussolini per la Mostra Augustea della Romanità riguardava certamente le figure di Augusto e di Mussolini in quanto statisti.
Se durante la campagna etiopica, infatti, il Duce fu accostato, come si addiceva al fondatore del sorgente impero, a Cesare, negli anni successivi la propaganda del regime fascista pose l’accento sul Mussolini ordinatore dello Stato. La contrapposizione Cesare-Augusto aveva ispirato anni prima l’opera di Guglielmo Ferrero (1871 – 1942) Grandezza e decadenza di Roma (1906-7 in 5 volumi) che lodava il lavoro oscuro e paziente di Augusto (in antitesi con quello più appariscente e risonante di Cesare) identificandolo con Giolitti: paragone che certamente nobilitava oltremodo il vecchio statista italiano.

Al contrario la personalità politica di Benito Mussolini (1883 – 1945), grazie alla sua imponente e lungimirante opera di strutturazione del regime fascista, meglio si attagliava a quell’Augusto che, da vero “architetto” (così lo definì Rice Holmes), aveva dato forma al Principato con riforme che investirono quasi tutti gli aspetti dell’apparato statale romano. Altro tratto in comune tra i due “duci” fu il carattere restauratore delle due rivoluzioni a cui diedero vita: Augusto, nel fondare il nuovo Stato, si propose di restaurare – per l’appunto – la tanto amata Res Publica (ora, dunque, restituta), attraverso un oculato compromesso formale (come scrisse Tacito, i nomi delle magistrature erano gli stessi ma altri erano i concetti che essi esprimevano); anche Mussolini aveva donato alla rivoluzione fascista una connotazione non già sovversiva, bensì restauratrice. Ora che tale rivoluzione si stava esaurendo, e il Fascismo si andava affermando quindi come Regime, fu logica – e tutt’altro che peregrina – l’identificazione di Mussolini con Augusto.

Un ulteriore carattere lega, infine, i due statisti: l’auctoritas, la quale era la base del loro potere e che traeva la propria forza e legittimazione dal consenso pressoché unanime del popolo di cui essi godevano.

Tuttavia gli eventi che conclusero le loro esistenze non possono che differire in maniera più netta. Augusto morì alla veneranda età di quasi settantasei anni, con l’intima soddisfazione di aver edificato le fondamenta della Roma imperiale col plauso dei contemporanei e dei posteri; al contrario Mussolini soffrì il patibolo, al quale si avviò con l’animo sconsolato di chi è stato tradito da un popolo che tanto aveva amato, che, ingrato, avrebbe bestemmiato il suo nome nei decenni a venire.

A breve larticolo sulla “prima marcia su Roma”...

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mercoledì 24 dicembre 2008

Buon Natale!

Tanti auguri di Buone Feste a tutti i lettori dell'AVGVSTO!




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martedì 23 dicembre 2008

Spengler e la Russia



Tra le pagine più interessanti di Spengler (sopra in foto), vi sono proprio quelle dedicate alla Russia, in virtù della sue previsioni, inaspettatamente (all’epoca) confermate dai fatti attuali.

Egli ne parla diffusamente in Prussianesimo e socialismo (cap. 23), ne Il tramonto dell’Occidente (II.iii.2 e 16) e nel saggio Il doppio volto della Russia e i problemi della Germania a Est (in Forme della Politica Mondiale, Ar, 1994). Su Spengler in Russia è pesata l’opinione negativa di Lenin che l’ha cancellato dalla riflessione filosofica sovietica, ma già allora vi furono i primi attenti interpreti: dal sociologo Georges Gurvitch al mistico Nikolai Berdiaev, per non parlare delle opere dei filosofi ottocenteschi Nikolai Danilevsky e Konstantin Leontiev che ne anticipavano il modello ciclico di storia. Negli ultimi vent’anni la riflessione su Spengler è ripresa, anche grazie all’interesse riscosso presso i movimenti eurasiatico e nazionalbolscevico.

La Russia è considerata come una civiltà ancora in gestazione («La natura dei russi è la promessa di una Kultur a venire, mentre le ombre della sera si fanno sempre più lunghe sull’Occidente»), radicalmente diversa dall’Occidente, ed erede piuttosto, attraverso Bisanzio della civiltà araba, ‘magica’, per il suo innato misticismo che unisce a un certo senso dell’infinito, analogo a quello faustiano eppure più tellurico: un’anima da “uomo delle pianure” insomma, un’anima che un occidentale non può capire. Sempre per analogia, Spengler fa il paragone tra il rapporto fra Zivilisation classica e Kultur araba, e il rapporto tra Zivilisation occidentale e Kultur russa. In entrambi i casi, si verifica una “pseudomorfosi”: la Zivilisation decadente impone le proprie forme avanzate e senescenti alla giovane Kultur in fieri, soffocandone in parte lo sviluppo e imprimendole un aspetto non suo. Era stato il caso dell’Impero Romano d’Oriente apparentemente erede di Roma e della Grecia classica, ma in realtà strettamente affine ad arabi, ebrei, siriani, armeni, nestoriani, ecc.

Così è anche il caso della Russia odierna (intendendo con questa formula l’intero Impero Zarista, estendendosi fino ai Balcani e alla Turchia, con Bisanzio come nuova Gerusalemme), che ha subìto due tentativi di occidentalizzazione, dapprima con Pietro il Grande (petrinismo) e poi con Lenin (bolscevismo). Questi tentativi però toccano solo la superficie dell’anima russa, e, anzi, aumentano l’odio dei Russi nei confronti dell’Occidente, un odio simile a quello degli zeloti per Roma. Il suo destino sarebbe quello di collidere con l’Occidente, come era già successo con le guerre tra la Russia e la Francia (Guerre Napoleoniche), l’Austria-Ungheria (Prima Guerra Mondiale), e avverrà contro la Germania (Seconda Guerra Mondiale).

Lo stesso bolscevismo avrebbe il ruolo di spazzare via il petrinismo e poi consumarsi da solo per lasciare spazio alla genuina anima russa. «Premuto dagli istinti della Russia sotterranea contro l’Occidente, il bolscevismo, che aveva assunto inizialmente i tratti del petrinismo, verrà a sua volta cancellato come ultimo prodotto di questo stesso petrinismo, per completare la liberazione interna dall’ “Europa”». Si annuncia così la nascita della Kultur russa, contraddistinta da un terzo cristianesimo (dopo il cristianesimo magico delle origini e il cattolicesimo-protestantesimo faustiano), da un dominio spirituale delle campagne sulla città e da un grande afflato religioso; di tutto questo, categorie occidentali come il panslavismo sono solo la punta di un iceberg.

Questo fu scritto 80 anni prima del crollo dell’Unione Sovietica (e del bolscevismo). Adesso le previsioni di Spengler si sono avverate: la Russia riemerge dal caos della caduta dell’URSS, con una sua nuova forza e un più forte carattere nazionale, autenticamente slavo, riscoprendo la fede ortodossa, riaffermandosi come potenza e muovendo i primi passi verso un impero eurasiatico, guarda a caso proprio nei Balcani (verso la Serbia e il Kosovo) e nel Caucaso (verso l’Abcasia e l’Ossezia), scontrandosi con la potenza occidentale egemone (gli Stati Uniti). Per questo motivo, non siano frettolosi gli esegeti di Spengler nel riconoscere Putin (in foto) come uno dei Cesari dell’Occidente al tramonto: potrebbe essere un Barbarossa o un Giustiniano della nuova Russia che avanza.

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lunedì 22 dicembre 2008

Le Verghe del Fascio: Il Corporativismo


«In realtà noi siamo in guerra dal 22, cioè dal giorno in cui alzammo contro il mondo massonico-democratico-capitalistico la bandiera della nostra rivoluzione, che allora era difesa da un pugno di uomini. Da quel giorno il mondo del liberalismo, della democrazia, della plutocrazia ci dichiarò e ci fece la guerra».

(Benito Mussolini, 1941)


25 Gennaio 1922: nasce a Bologna la Confederazione Nazionale delle Corporazioni Sindacali.

È il primo passo ufficiale del Sindacalismo Fascista, sorto dal travaglio del Sindacalismo Rivoluzionario, che si propone di unire tutti i lavoratori nel segno di una lotta interclassista e nazionale contro capitalismo e comunismo.

Al suo interno si dividono due correnti: quella di Michele Bianchi, che vuole un sindacato strettamente legato al Partito Fascista, e quella di Edmondo Rossoni (in foto), che si batte per l’autonomia. A risultare vincente è la posizione del primo, con il secondo che si vede comunque riconoscere come segretario e capo dell’organizzazione.

Rossoni intraprende subito un’aspra lotta al ceto padronale, restio ad accettare la crescente importanza dei lavoratori, che gli fa guadagnare successi inaspettati: interi settori dell’operaismo organizzato passano dal Socialismo al Fascismo, come puntualmente descritto da R. De Felice in Mussolini, Il Fascista.

L’obiettivo del segretario non è quello di “sconfiggere” Confindustria e Confagricoltura, ma di realizzare un «sindacalismo integrale», coinvolgendole pariteticamente alla sua organizzazione in un’unica Sintesi. È proprio questo il fulcro dellIdea Corporativa: il superamento del conflitto di classe per la realizzazione di una «Terza Via» tra stato liberale e stato comunista.

«Chi dice lavoro dice borghesia produttiva e classi lavoratrici delle città e dei campi. Non privilegi alla prima, non privilegi alle ultime, ma tutela di tutti gli interessi che si armonizzano con quelli della produzione e della Nazione» spiega Mussolini nel suo primo discorso alla Camera, un mese dopo la Marcia su Roma.

Sin dai primi anni di governo, infatti, il Regime vara leggi sociali d’importanza capitale, mentre il disegno rossoniano vede lo stipularsi di due accordi di collaborazione tra Sindacato e Confindustria (Patto di Palazzo Chigi, 1923 e Patto di Palazzo Vidoni, 1925) quale punto di partenza.

Con la legge n. 563 del 3 Aprile 1926 viene convenzionalmente indacato l’inizio fattuale del Corporativismo, con il riconoscimento del Sindacato Fascista quale unico rappresentante dei lavoratori per la stipula dei Contratti collettivi di lavoro. Ad essi viene conferita valenza di legge: i produttori, sotto l’impulso ed il controllo della Rivoluzione Fascista, entrano nella «cittadella dello Stato» e diventano protagonisti della vita economica del paese.

L’anno successivo esce La Carta del Lavoro (sarà anche la base dei 18 punti di Verona...) che sancisce ulteriori passi avanti:

- l’istituzione della Magistratura del Lavoro, per dirimere le controversie tra sindacato e datori nell’interesse della Nazione (che ha «fini, vita, mezzi di azione superiore a quelli degli individui divisi»). Con detto istituto gli scioperi sono considerati inutili e proibiti.

- diritto alle ferie annuali

- istituzione degli uffici di collocamento statali

- istituzione dell’indennità di fine rapporto

oltre al rafforzarsi di tutte le immense conquiste sul piano dell’assistenza e della previdenza compiute negli anni precedenti.

Questi successi richiedono sforzi continui dei «combattenti sociali» fascisti, osteggiati dalla Corona, dalle banche, dagli industriali, dalla massoneria, oltre che da consistenti ambienti conservatori dello stesso Regime (tradotto: le forze della reazione).

Nel 1924 vi furono addirittura numerosi scioperi indetti dal Sindacato Fascista (ad esempio nel Valdarno, nella Lunigiana, ad Orbetello) con protagonisti Renato Ricci, Domenico Bagnasco, Luigi Razza e Bramante Cucini, ad ulteriore conferma dell’essenza del movimento: «Il Fascismo supera il socialismo, ma raccoglie i buoni frutti dell’opera socialista secondo la sua propria legge, e tale opera continua» è l’acuta definizione di E. Corradini sulle colonne del «Popolo d’Italia».

Il processo rivoluzionario continua gradualmente, arricchito da contributi illustri (come il «comunismo gerarchico» teorizzato da Ugo Spirito), e vede come tappe fondamentali:

- 1934: creazione delle Corporazioni quali organi statali che assicurano la collaborazione tra classi: sono 22, e coprono ogni ramo produttivo (olearia, pesca, chimica ecc.). Ad esse e al loro Consiglio Nazionale erano inoltre attribuiti compiti di programmazione economica, con partecipazione organica e permanente dei produttori interessati.

«Quali sono gli scopi? Una organizzazione che raccorci con gradualità ed inflessibilità le distanze tra le possibilità massime e quelle minime della vita (...) l’economia disciplinata, armonizzata in vista di un’utilità collettiva» (Benito Mussolini alla prima Assemblea Generale delle Corporazioni).

- 1939: Creazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che sostituisce la Camera dei Deputati. Composta da membri del Consiglio Nazionale del P.N.F. e componenti del Consiglio delle Corporazioni, discute tutti i disegni di legge di carattere generale e di maggior interesse.

«Devono raccorciarsi, e si raccorceranno, le distanze tra le diverse categorie di produttori, i quali riconosceranno le gerarchie del più alto dovere e della più dura Responsabilità» sottolinea, a chi ancora non l’avesse chiaro, il Capo del Fascismo.

Proprio in questi anni egli preconizza la crisi del sistema economico occidentale (e non nel sistema), creando due capolavori come lIMI e l’IRI (tornato in voga in questi ultimi tempi di crisi...) e promulgando la legge bancaria (1936): lo Stato si erge a protezione del Popolo.

Viene intensificata la “lotta antiborghese ed anticapitalista, come si evince dai suoi discorsi, dalle parole d’ordine della propaganda e dalle pagine del «Popolo d’Italia» e di «Gerarchia», cenacoli culturali in cui scrivono i maggiori intellettuali del tempo.

Non mancano, ovviamente, gli errori e le contraddizioni, ma la strada intrapresa sembra essere quella giusta. Un giudizio definitivo forse non si potrà mai dare, visto che ad interrompere il sogno arriva la guerra... e la battaglia del «Sangue contro loro» non va come previsto.

All’acuirsi della crisi tutte le forze della reazione, che tanto entusiasticamente avevano sostenuto il Regime, cambiano barricata passando al fronte anglo-americano. Il Fascismo rinasce con la Repubblica Sociale Italiana, e non è un caso che, «quando tutti i nemici si fecero riconoscere, tornò immediatamente e con slancio alla propria essenza originaria e la linfa socialista, rivoluzionaria e sociale della vigilia riprese a scorrere liberamente» (come mirabilmente descritto da L. L. Rimbotti ne Il Fascismo di sinistra).

La Socializzazione fu possibile grazie alla «avanzata educazione corporativa dei produttori» (parole di R. Sermonti nel fondamentale Valori Corporativi) e fu lo sviluppo logico del cammino Fascista verso una più alta Civiltà.


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giovedì 18 dicembre 2008

Il Blocco Studentesco contro le menzogne di Beppe Grillo


BLOCCO STUDENTESCO – Le bugie di Beppe Grillo. Intervista agli “infiltrati”.

Questa è una storia inattesa e ingiusta. È la fine del credito del paladino della controinformazione e la scoperta di un altrimenti oscuro Palladino della lotta politica studentesca. È la dimostrazione delle tecniche di mendace propaganda mediatica catodica adattate e rinnovate dal web: e della difficoltà di credere anche a chi sostiene di battersi senza padrone, e senza sostegno diverso da quello dei suoi lettori. Del suo pubblico. È una storia che comincia a fine ottobre, e ancora non è terminata. Proprio no. In compenso, qualcuno voleva che restasse insoluta. Perché la protesta studentesca del 2008 non doveva essere un’onda anomala, ma un’onda rossa.

Due video, tanto per cominciare.

REPUBBLICA intervista l’arcano infiltrato: Alberto Palladino, Zippo.



CASA POUND racconta del misterioso infiltrato: Alberto Palladino, Zippo.



Avete sentito bene. “Quest’oggi vi ammazziamo tutti” – diceva la Polizia al libero cittadino Alberto Palladino, detto Zippo, studente universitario (Scienze Storiche) dell’Università degli Studi Roma III, militante di Casa Pound dal 2005. Alberto era in piazza assieme a tanti studenti di ogni colore politico a difesa della scuola pubblica e dello Stato Sociale. In piedi, dolorante a un piede e al ginocchio, fronteggiava, freddo e impassibile, le minacce d’un agente delle forze dell’ordine mentre i suoi amici, stesi in terra per disposizione della polizia, attendevano di essere identificati in commissariato.

Era il 29 ottobre. Il 30, Beppe Grillo, paladino della controinformazione, anima di un blog letto e apprezzato in tutto il mondo, dava credito a un filmato, prodotto da ignoti, diffuso in forma anonima su youtube (account dallo straordinario nome “poliziotto infiltrato”) che cerchiava in rosso Zippo come “infiltrato” e i suoi “fasci amici” come suoi protetti. Ci sono cascato anch’io: rispetto il lavoro di denuncia e di sensibilizzazione di Grillo da molti anni, e gli do atto di aver informato la cittadinanza con mesi o anni di anticipo di scandali e corruzioni altrimenti oscurati dai media: da tempo, do ampio credito alle sue critiche al sistema. Pensavo: se Grillo – e il suo staff – è così convinto, non potrebbe essere altrimenti. C’era un infiltrato tra i ragazzi del Blocco. Punto.

Troppo triste per essere vero. Qualcosa non quadrava. Lo stesso filmato, visibile in quei giorni sui siti ufficiali del Corriere della Sera e di Repubblica, veniva presto rimosso; una manciata di giorni dopo, Repubblica intervistava il misterioso “infiltrato”, svelandone l’identità e demistificando le menzogne propagandate il 30 ottobre.

Da Beppe Grillo non solo nessuna smentita e nessuna lettera di scuse; nemmeno un post di pari lunghezza e visibilità per restituire verità e giustizia al povero ragazzo; ma addirittura un rilancio. Con deviazione: su un altro ragazzo del Blocco. Era il 31 ottobre, e sul suo blog appariva un video che mostrava un agente della polizia chiamare per nome il giovane Francesco. Francesco Polacchi, portavoce del movimento:






S’aggiungeva, senza glosse:

Il governo: "Nessun infiltrato a piazza Navona"
Infiltrati in piazza Navona?
Francesco Nitto Palma, nel riferire alla Camera sugli scontri di mercoledì, lo esclude in maniera categorica. "Il sospetto è un giovane di ‘blocco studentesco’, e la sua posizione è tuttora al vaglio degli inquirenti". Il sottosegretario ha poi parlato del camion degli estremisti di destra arrivato (sic) piazza Navona: "È usuale che durante le manifestazioni i camion raggiungano la piazza".

Beppe Grillo non è più tornato sui fatti di Piazza Navona. La stampa mondiale, che va ad attingere alla meravigliosa fonte di controinformazione costituita dal suo sito, non ha avuto modo di apprezzare e accertare la verità. Grillo si è comportato – sino a oggi: 17 dicembre 2008 – come quei media che tanto ha saputo criticare e denigrare. Ha fatto propaganda, e pur di fronte all’evidenza non è tornato sulle sue posizioni. Da lettore storico e aficionado del suo blog sono deluso.

Da letterato puro – non un pubblicista, né un giornalista: sono un semplice consulente editoriale, libero professionista – mi impegno qui a ripristinare verità, giustizia e rispetto dei cittadini. Perché non esiste cerchiare in rosso un ragazzo e calunniarlo (“infiltrato!”) senza averne prova; più ancora, non esiste non domandare scusa, privatamente e pubblicamente, e lasciarlo inerme e solo di fronte alle rivalse o alle plausibili aggressioni di terzi. Non è da Grillo, lasciatemelo dire. Almeno: non da quel Grillo che manifestava assieme ai cittadini per le piazze di tutta Italia, domandando l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti. Come: denunci una piaga, denunci vezzi e malcostumi di una casta, e poi di quei vezzi ti macchi tu stesso? Etichetti un ragazzo come spia e traditore senza avere prova diversa da un video di provenienza almeno sospetta (chi l’ha verificata)?

Grillo, adesso scrivi a tutto il tuo pubblico che Alberto Palladino detto “Zippo” e Francesco Polacchi sono liberi cittadini, studenti universitari della facoltà di Scienze Storiche (Lettere e Filosofia) dell’Università degli Studi di Roma III, che esercitavano in piazza il loro diritto a manifestare. Che non si tratta di infiltrati delle forze dell’ordine, ma di militanti del Blocco Studentesco. E pubblica, se credi, queste risposte puntuali al tuo post del 30 e del 31 ottobre: ti farebbe onore. L’onore non è una parola che ha perso significato, a ben guardare. Ti farebbe onore, e restituirebbe dignità alle persone che hai contribuito a ferire e umiliare, pubblicamente, di fronte agli occhi di giornalisti e cittadini di tutto il mondo. Rendigli giustizia, Grillo.

Militanti, sì. Infiltrati, no. Manifestanti, sì. Guardie, no.

Armati, sì. Come la controparte. I ragazzi del Blocco Studentesco si sono difesi da una prevaricazione: quanto accaduto è avvenuto in replica alle aggressioni – non certo verbali – di militanti ultratrentenni dei Collettivi Universitari, dei Cobas, di Rifondazione Comunista. Ricordiamo – vale la pena – l’arresto dello studente 34enne Yassir Goretz, responsabile del servizio d’ordine di Rifondazione Comunista e della sicurezza della segreteria nazionale del partito. A riprova che in piazza l’infiltrato aveva un solo colore: rosso.

Segue il testo apparso nel blog di Beppe Grillo il giorno 30: risponderanno, punto per punto, alle sue argomentazioni Francesco Polacchi e il paladino “Zippo” Palladino, in presenza dell’avvocato e scrittore Domenico Di Tullio. Il testo in questione è stato rivisto e approvato dai giovani studenti.

  • 30 Ottobre 2008 Maroni e le istruzioni dettagliate

Video pubblicato da Grillo:



Video pubblicato da Repubblica, in risposta:



Video pubblicato da Casa Pound, in risposta:



GRILLO: Ieri in Piazza Navona c’era un camion lasciato passare dalla Polizia.

PALLADINO-POLACCHI: Primo: il camioncino c’è sempre stato. C’era anche nei giorni immediatamente precedenti. C’è sempre stato un camioncino in piazza: questo. Secondo: in piazza ce n’era un altro, oltre al nostro: quello dei COBAS. Terzo: il camioncino serviva per tenere l’amplificazione. Amplificazione per la musica e per i discorsi. Infine: il camioncino, come Grillo certamente saprà, in ogni manifestazione guida i cortei. Niente di strano quindi che fosse in piazza anche quel giorno.

GRILLO: Nel camion c’erano caschi, mazze, forse tirapugni e una ventina di provocatori. Provocatori, non studenti.

PALLADINO-POLACCHI: Glissando sulla parola “provocatori”, per il momento… Non venti, perché venti “provocatori” nemmeno c’entravano; il camioncino guidava un corteo di migliaia di studenti provenienti da Piazza Venezia, in rappresentanza degli istituti scolastici di Roma Centro.

Caschi? Solamente tre dei nostri avevano il casco. Perché? Perché a pochi metri di distanza li aspettava il loro scooter. Curioso: c’erano davvero moltissimi scooteristi, invece, nelle prime file del corteo antagonista dei Collettivi Universitari e dei Centri Sociali rifondaroli. Vedi foto.

Tirapugni in piazza? Non rientrano nel nostro stile. Non ce n’è bisogno. Mazze? Noi le chiamiamo aste di bandiera. Robuste, certo. Sono servite ad altro? Purtroppo sì, e contro la nostra volontà. Immaginate tuttavia se non ci fossero state che fine avrebbe fatto un gruppo di liceali e matricole universitarie di fronte a un corteo di agguerriti militanti che la Digos ha valutato in numero non inferiore a 400 unità. Meno male, allora… per fortuna, queste bandiere c’erano. E sono servite come deterrente alla violenza che ci si scaricava addosso.

Infine. Provocatori? Noi siamo regolarmente iscritti all’Università. Lavoriamo, anche: in un pub (Polacchi) e dove capita, ma con dignità (Palladino). Facciamo sport. Amiamo i concerti. La lettura (narrativa statunitense; eretici e antagonisti) e le belle ragazze. Qual è la provocazione? Siamo “bravi ragazzi”.

GRILLO: I provocatori hanno picchiato gli studenti sotto gli occhi della Polizia.
Uno dei provocatori, come si può vedere dal video, è in rapporti affettuosi, di grande simpatia con la Polizia, come se fosse un collega.

PALLADINO-POLACCHI: Quali studenti? I Cobas? Quanto alla Polizia… “Adesso v’ammazzamo tutti”, dice il signor agente. Rispondo: “Perché, finora che avete fatto?” Punto.

GRILLO: La piazza era gremita. Un camion con mazze e teppisti poteva essere lì solo in due casi:

- perché la Polizia lo ha consentito su ordine di qualcuno
- perché la Polizia non governava la piazza.

PALLADINO-POLACCHI: La seconda che hai detto. È un dato incontrovertibile, considerando che non c’è stato nessun cordone che si è interposto tra gli aggressori c.d. “antifascisti” e i ragazzi del Blocco. Avviene in tutti i casi in cui due schieramenti opposti si incontrano in una pubblica manifestazione ed era quello che si aspettavano i leader del corteo antifascista.

GRILLO: Maroni, il ministro degli Interni, che prende istruzioni dettagliate, un portaordini dello psiconano, dovrebbe spiegarci cosa è successo e dopo dimettersi. La politica è fallita. Il cittadino può solo dialogare con il poliziotto in tenuta anti sommossa.

PALLADINO-POLACCHI: Oppure, rimanere ostaggio del corteo alternativo di turno che impone la verità unica. Tradizionalmente, di sinistra. La sinistra barricadera. Intollerante, e dogmatica. Quella che ci accusa di essere violenti, xenofobi e razzisti. E poi ci carica, magari in assetto g-ottino…

GRILLO: Se non basta la Polizia, allora arrivano gli infiltrati, così i giornali e le televisioni di regime possono gridare agli "scontri tra studenti".

PALLADINO-POLACCHI: Condividiamo… Cosa ci facevano Cobas brizzolati e attempati fuoricorso in mezzo agli studenti dei Licei romani?

GRILLO: Giornalisti, non vi vergognate? Le vostre parole sono peggio delle mazze tricolori degli squadristi di Piazza Navona.

PALLADINO-POLACCHI: Grillo, non ti vergogni? Dall’alto dei tuoi cinque o sei attici e del tuo rispettoso saluto a patron Murdoch, fai la morale agli studenti che sono riusciti a difendersi da chi voleva massacrarli in nome del più becero antifascismo?

GRILLO: Ps: Qualcuno riesce a identificare la persona nel cerchio rosso del video? Lasci un commento.

PALLADINO: La persona inquadrata nel cerchio rosso ha tentato di mettersi in contatto con te dal minuto successivo all’apparizione nel video sino al momento in cui non ha perso la fiducia nella tua onestà intellettuale. Conosco candidati della tua Lista Civica – avevano il tuo contatto diretto – che il tuo responsabile della comunicazione in Rete ha convinto a desistere, irridendo le mie giuste e legittime rivendicazioni di giustizia e rispetto.

GRILLO: Dall’articolo di Curzio Maltese da Repubblica.it:
…Seguo il drappello che si dirige davanti al Senato e incontra il funzionario capo. "Non potete stare fermi mentre picchiano i miei studenti!" protesta una signora coi capelli bianchi. Una studentessa alza la voce: "E ditelo che li proteggete, che volete gli scontri!". Il funzionario urla: "Impara l’educazione, bambina!". La professoressa incalza: "Fate il vostro mestiere, fermate i violenti". Risposta del funzionario: "Ma quelli che fanno violenza sono quelli di sinistra". C’è un’insurrezione del drappello: "Di sinistra? Con le svastiche?". La professoressa coi capelli bianchi esibisce un grande crocifisso che porta al collo: "Io sono cattolica. Insegno da 32 anni e non ho mai visto un’azione di violenza da parte dei miei studenti. C’è gente con le spranghe che picchia ragazzi indifesi. Che c’entra se sono di destra o di sinistra? È un reato e voi dovete intervenire".

PALLADINO-POLACCHI: Siamo imbarazzati: vorremmo aiutare il signor Curzio Maltese a ricostruire la verità sui fatti di Piazza Navona. E Cappuccetto Rosso disse: “Che bocca grande che hai, nonna…”. Col senno di poi, possiamo affermare con sicurezza che non era una nonna, bensì un Lupo. Rosso. Comprendiamo la necessità di non essere Curzio, ma Corto. Corto Maltese. Ma Corto è dei nostri…

Passiamo al 31 OTTOBRE. Beppe Grillo rincara la dose, e si concentra sul Polacchi. "Levati, Francesco!", è il video che appare, senza introduzione e senza commento, sul suo sito:



POLACCHI: In una situazione di emergenza, come quella, si sente che io dico… “Fermi tutti, sono i miei ragazzi!” – frase detta istintivamente, perché era la prima cosa che mi è venuta in mente. Detto ciò: io sono il Responsabile Nazionale del Blocco Studentesco. Mi sono sempre esposto personalmente in ogni iniziativa del Blocco. Alcuni funzionari della Digos, inevitabilmente, mi conoscono: anche perché mi reco da loro, in via Genova (Questura), per chiedere autorizzazioni per ogni tipo di manifestazione. Volevo mediare, da portavoce, a difesa dei ragazzi più giovani e dei liceali che, di fatto, non sono stati arrestati. Molto semplice.

In calce, Grillo riportava – sic et simpliciter – quanto segue:

GRILLO: Il governo: "Nessun infiltrato a piazza Navona"
Infiltrati in piazza Navona? Francesco Nitto Palma, nel riferire alla Camera sugli scontri di mercoledì, lo esclude in maniera categorica. "Il sospetto è un giovane di ‘blocco studentesco’, e la sua posizione è tuttora al vaglio degli inquirenti". Il sottosegretario ha poi parlato del camion degli estremisti di Destra arrivato in piazza Navona: "E’ usuale che durante le manifestazioni i camion raggiungano la piazza".

POLACCHI-PALLADINO: Cosa vuol far passare Grillo, con questo post composto da un video e dalle dichiarazioni di Nitto Palma? Che Nitto Palma sia il nostro portavoce, o che prenda le difese del Blocco, che voglia coprirlo? È un gioco sporco.

Hanno giocato con le nostre vite. Hanno giocato sporco. E hanno giocato male. Di fronte a tutto questo, non abbiamo altra possibilità che dare un segnale. Forte. Una risposta con i fatti, perché i fatti non mentono mai. Blocco Studentesco è ancora qui, e non arretra di un passo. In nome della nostra libertà d’espressione, aspettiamo la vostra carica. A pie’ fermo, come sempre. Le nostre risposte saranno politiche. Mille sono le iniziative già pronte: conferenze, concerti, manifestazioni; iniziative benefiche, difesa delle nostre radici culturali, dello Stato Sociale, della scuola pubblica libera da pregiudizi e garantita a tutti.

Queste sono le nostre battaglie. Abbiamo già cominciato a rispondervi. Con il solito sorriso sulle labbra.

PER APPROFONDIRE e INFORMARSI

http://www.bloccostudentesco.org/ BLOCCO STUDENTESCO

http://www.bloccostudentesco.org/universita/programma.html PROGRAMMA

In distribuzione cartacea proprio in questi giorni:

DOSSIER PIAZZA NAVONA – a cura del Blocco Studentesco. Per info: bloccostudentesco@yahoo.it (no @digos.it)

Oppure, presso LIBRERIA LA TESTA DI FERRO – Via San Martino ai Monti, 59.

http://www.casapound.org/la_nostra_lotta.html CASA POUND - programma

Gianfranco Franchi, “Lankelot”. 17 Dicembre 2008.

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mercoledì 17 dicembre 2008

La cultura greca tra Islam e Occidente

Secondo una tradizione scolastica ben consolidata, l’Occidente deve la riscoperta e la trasmissione della scienza e della filosofia greche, soprattutto di Aristotele (in foto), al mondo arabo e alla sua opera di mediazione culturale.

È noto che fin dall’inizio del medioevo tutti i percorsi filosofici elaborati furono caratterizzati dalla quasi totale mancanza di contatto con i testi classici, con una riduzione dei rapporti con questi a pochi riferimenti fondamentali; basti ricordare, a tal proposito, l’opera compiuta da Anicio Manlio Severino Boezio (480 – 524), il quale poté tradurre e commentare l’Organon di Aristotele, unito all’opuscolo introduttivo di Porfirio alla logica aristotelica, noto come Isagoge. Con l’eccezione di Giovanni Scoto Eriugena cui si deve, fra le altre, la traduzione del Corpus di Dionigi l’Areopagita, non si assiste fino alla «rinascita carolingia» ad arricchimenti nell’uso delle fonti. Un incontro più diretto con le fonti classiche sarebbe avvenuto realmente soltanto per mezzo di fonti arabe, e soltanto e non prima del XII secolo. La presenza degli Arabi nella penisola iberica e in tutto il nord Africa avrebbe, di fatto, messo a disposizione del mondo latino un gran numero di fonti provenienti dall’Oriente. La prima presenza di questo patrimonio è rinvenibile nelle traduzioni di opere scientifiche e mediche realizzate da Adelardo di Bath negli anni ’40 del XII secolo.

In questo contesto, caratterizzato da una sempre maggiore disponibilità di testi arabi, diviene sempre più importante la figura del traduttore, cui va ricondotta l’opera di Gerardo da Cremona. Giunto a Toledo intorno agli anni sessanta del 1100, compì una grande parafrasi dall’arabo in latino, tradusse la Fisica di Aristotele, ed anche il De causis, erroneamente attribuito allo Stagirita, ma risalente a Proco. Da questo complesso sviluppo, particolarmente rilevante è anche l’opera di Giacomo Veneto, traduttore degli Analitici e della prima parte della Metafisica (traslatio vetus), cui si aggiungerà fra il 1220 e 1230 la traduzione completa di quest’opera da parte di Michele Scoto, e l’ultimo intervento fatto sul testo da Guglielmo di Moerbeke intorno al 1250. A partire da questi processi, tutto il XIII secolo e buona parte del XIV sono caratterizzati dai dibattiti che emergono, attraverso diverse linee di lettura, dalle traduzioni arabe e dall’ermeneutica greco-araba.

Nonostante la solidità di quella che ormai si è consolidata come una vera e propria vulgata, è stata di recente formulata una nuova ipotesi interpretativa circa la scoperta e la trasmissione del pensiero greco in Occidente, secondo la quale questa riscoperta non si dovrebbe agli arabi musulmani, ma ai cristiani d’Oriente.

Questa tesi, formulata recentemente da un noto medievista francese, Sylvain Gouguenheim (in foto), professore all’École normale supérieure di Lione, autore di Aristote au Mont Saint-Michel, ha scatenato un vero e proprio vespaio di polemiche. Tanto per cambiare l’autore è stato attaccato dalla sinistra multiculturalista e politicamente corretta con l’accusa di sottovalutare il contributo dell’Islam circa la riscoperta della scienza e della filosofia greche da parte dell’Occidente. La questione è molto più complicata, anche per il fatto che il libro, subito oggetto delle già citate polemiche al suo primo apparire, l’hanno letto in pochi.

Gouguenheim, contrariamente a quanto insegnato nei manuali correnti, sostiene che la circolazione di manoscritti greci in Occidente, in particolare Aristotele e Galeno, sia continuata ben oltre la fine dell’Impero romano, eliminando la necessità della mediazione araba, come dimostrano i molti papi di origine greca o siriana, o episodi come l’invio da parte di papa Paolo I della Retorica di Aristotele al re francese Pipino il Breve nel 758. Per Gouguenheim, inoltre, non è vero che l’Islam accolse la cultura greca, in quanto il lavoro di traduzione dei testi non venne compiuto per la maggior parte da musulmani.

Gli stessi Al Farabi, Avicenna e Averroè (in foto) non leggevano il greco, ma attingevano alle traduzioni in arabo opera dei cristiani aramaici e siriaci come Hunayn ibn Ishaq, che creò la maggior parte del vocabolario medico arabo attraverso la trasposizione di più di duecento opere di Galeno, Ippocrate e Platone. L’ammirazione per la cultura greca e la sua ricezione fu selettiva e senza troppa influenza sulla realtà religiosa, giuridica e politica dell’Islam.

La polemica scatenatasi a seguito della pubblicazione del libro, come già detto, ne ha impedito una larga circolazione e poco è servito da parte di Gouguenheim ricordare di provenire da una famiglia che ha fatto la Resistenza e di non voler rivolgere alcuna critica alla civiltà arabo-musulmana.

La sua “colpa” è stata unicamente quella di riesumare la figura di Giacomo da Venezia che, monaco all’abbazia del monte Saint-Michel, iniziò a tradurre Aristotele cinquant’anni prima che la versione araba comparisse nella Spagna musulmana.

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martedì 16 dicembre 2008

La Scapigliatura 150 anni dopo: Fight club


L'apatico e insonne protagonista della pellicola (E. Norton), il cui nome non viene mai pronunciato, vive una vita piatta, una non-vita fatta di lavoro, cliché e relazioni umane inesistenti.
In cerca di qualcosa che lo "elettrizzi" inizia a frequentare gruppi di sostegno per malati terminali di cancro e qui, tra donne scheletro in cerca di un ultimo amplesso prima di morire, animali guida ed ex culturisti cui gli steroidi, oltre che a provocare il cancro, hanno fatto crescere tette da 5^ misura, al nostro finto moribondo qualcosa si scuote. Avendo la sensazione che "quando stai per morire le persone ti ascoltano davvero" riuscirà ad aprirsi, si sentirà meno solo e in un susseguirsi di pianti liberatori collettivi riacquisterà sonno e stabilità interiore.

L'incantesimo si spezza quando un altro "imbroglione" inizia a frequentare i gruppi: Marla Singer (H. Bonam Carter). Infatti sapendo che nei gruppi c'è un altro finto malato il protagonista non riesce più a "liberarsi", non riesce più a piangere. Divisosi con Marla i giorni di frequenza in modo da non incontrarla più, il Nostro farà, su un aereo, una conoscenza che gli rivoluzionerà la vita; quella con un singolare ed interessante rappresentante di sapone: Tyler Durden (B. Pitt) che, a seguito dell'incendio della casa del protagonista, ospiterà questo nella sua diroccatissima abitazione (la location del film "La casa" di S. Raimi a confronto è una suite imperiale...).
E' proprio con Tyler che il personaggio interpretato da Norton darà vita al "Fight club".

Nato da una volontaria scazzottata tra i due per rispondere al quesito "quanto sai di te se non ti sei mai battuto?", il progetto Fight club prenderà piede e lo scantinato del bar in cui i nostri amici hanno bevuto le prime caraffe di birra insieme diverrà palestra di un sempre maggior numero di persone annoiate, di zombies contemporanei che trovano nel "circolo delle botte" un luogo in cui sentirsi vivi e parte di qualcosa.

Di settimana in settimana il Fight club diventa un progetto sempre più organizzato: da posto in cui spaccarsi nasi e nocche per prendere, pugno dopo pugno, sempre più coscienza di sé e dei propri mezzi, diventa un'organizzazione sempre più organica e gerarchica, che coinvolge via via più città e si prefigge lo scopo finale di far saltare in aria le Torri gemelle, simbolo degli istituti di credito e del denaro che organizza la società secondo le leggi di mercato. Già, perchè distrutte queste si "torna tutti a zero". Ha inizio un "nuovo corso", un nuovo processo storico, una nuova umanità...
Così, in un susseguirsi di azioni a sfondo comico-terroristico sempre più rischiose, si arriverà a questo punto-0 che sarà concomitante con l'ultima e più sorprendente presa di coscienza del protagonista: lui e Tyler sono la stessa persona, sono 2 anime in uno stesso corpo.

Il senso di apatia e di vuoto della vita di tutti i giorni, nonostante il protagonista del film sia apparentemente realizzato, perlomeno lo è secondo i canoni di realizzazione che la società occidentale moderna offre/impone, lo porta a spingersi talmente oltre da proiettare verso l'esterno un'altra immagine del suo io. Tyler Durden incarna proprio il caotico senso di ribellione del personaggio che Norton interpreta; è il suo dire NO alla società e ai suoi falsi stereotipi, è il suo dire NO alla perfezione imposta, è il suo dire NO a logiche del tipo lavora-consuma-crepa e il tentativo di trovare un senso alla vita attraverso ideali anarco-nichilistici attivi.
Cercare di fare sempre un ulteriore passo verso il fondo è il sentimento che muove il Fight club; liberare da ogni speranza di redenzione, far perdere valore all'idea secondo la quale un uomo è quel che compra e spingere a vivere in una realtà dove ogni istante potrebbe essere l'ultimo, il suo compito.
Visto che per Tyler Durden non siamo altro che "i figli indesiderati di Dio" e "la canticchiante e danzante merda del mondo", non stupisce che è "solo quando abbiamo perso tutto che siamo veramente liberi!".

Se dovessi esprimere con 2 parole il senso di questo film, direi che Fight club è un inno nichilista alla vita basato sulla sprezzante esaltazione della morte.

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lunedì 15 dicembre 2008

"Fight Club" 150 anni prima: la Scapigliatura

Articolo di Francesco Polacchi, responsabile del Blocco Studentesco, apparso su L'Occidentale (ottobre 2008).


Irriverenti, anticonformisti, dissacranti.

Amano l’arte nelle sue più variegate espressioni, scrutano il mondo da lontano con un ghigno che trasmette amarezza e disillusione per i repentini cambiamenti sociali e non, avvenuti in un periodo così breve da non riuscire a starne al passo. È giunta l’unità d’Italia, è in atto quell’insieme di iniziative economiche private e statali che prende il nome di rivoluzione industriale con tutte le sue conseguenze. L’uomo vive un’alienazione profonda dalla vita e dal lavoro, è sempre più schiavo delle macchine, del denaro e del mercantilismo. Sono questi i nuovi padroni. Sono questi i nuovi princìpi cui guardare. La borghesia è ormai la classe sociale che più governa i ritmi sociali, l’organizzazione del nuovo stato e lo scheletro economico non solo italiano ma mondiale.

Il Risorgimento è un vecchio ricordo, un sogno non ancora terminato ma derubato da una monarchia impopolare e retrograda. L’artista è messo al bando, ghettizzato dal ruolo pedagogico e sociale che aveva avuto fino ad allora; è deriso, umiliato, è come un albatros che “esiliato sulla terra, fra scherni, camminare non può per le sue ali di gigante”. “Albatros” di Baudelaire è sicuramente una poesia-manifesto della frustrazione angosciosa che prova l’artista europeo della seconda metà dell’800. Sarà grande l’influenza dei poeti “maledetti” su un gruppo di amici milanesi che danno vita ad un movimento non codificato in scritti teorici ma coeso da un comune sentire di ripulsione e ribellione verso i princìpi del meccanicismo e del progresso che il mondo borghese sta trasformando in religione rivelata.

Nell’arte come nella vita, questi anomali personaggi fanno loro il mito di un’esistenza irregolare e dissipata come rifiuto radicale delle convenzioni correnti e delle norme morali. Sono gli Scapigliati. Alcolisti incalliti, musicisti, poeti, pittori, combattenti, giornalisti e politici: questo il volto rivoluzionario del nuovo genio artista. Cantano il bene e il male, il bello e l’orrendo, declamano virtù e vizi, raccontano sogni e realtà. È l’incertezza la protagonista della lacerazione interiore, l’angoscia pesa come un macigno sui loro indomiti spiriti. È palpabile un senso di smarrimento che porta al mistero o alla paura di non poter più raggiungere l’ideale, il mondo del fantastico. Allora si ergono a raccontare i fatti reali consunti di amarezza e di pietosa comprensione per chi non capisce, per esempio, cosa sia la ferrovia “… E tornando al miserrimo tetto,/ scorderan per quel dì la canzone,/ e nei sogni la strana visione/ tornerà nuovi enigmi a fischiar…”. Occhio attento, dunque, quello di Emilio Praga (in foto) che in “La strada ferrata” si pone da osservatore del mondo contadino, raccontando quali cambiamenti i treni abbiano portato, vagheggiando ironicamente alla celebrazione della fisica applicata anziché del canto della Bellezza! Questo è il trillo della delusione di un uomo in miseria distrutto dall’alcool suo compagno di viaggio; un antico Jack Kerouac, un anarchico integrale, insofferente alla morale, alla religione e alla retorica; sarà lui il primo a cantare la “morte di Dio” ossia di tutte quelle costruzioni razionali e formali che così come nella poesia anche nella storia del mondo hanno messo le catene all’uomo ormai incapace di travalicare i limiti dell’esistenza per assurgere alla vera conoscenza.
In “Preludio” tuona: “…Casto poeta che l’Italia adora,/ Vegliardo in sante visioni assorto,/ tu puoi morir!... degli antecristi è l’ora!/ Cristo è rimorto!/// O nemico lettor, canto la Noia, l’eredità del dubbio e dell’ignoto,/ il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia,/ il tuo cielo, e il tuo loto…” e ancora “… canto l’amore dei sette peccati…”. È dunque Praga l’anticipatore del pensiero di Nietzsche che in “Così parlò Zarathustra” annuncerà la morte di Dio per la nascita dello übermensch pronto a farsi carico del peso dell’umanità tutta. In questo pezzo si nota una profonda critica al “casto poeta”, Alessandro Manzoni, ritenuto vecchio, passatista, troppo religioso e incapace di saper leggere gli avvenimenti. La critica al Manzoni, padre letterario della rivincita nazionale contro l’oppressore straniero e che ebbe la grandezza di innalzarsi su un promontorio ideale ad osservare gli stravolgimenti e le innovazioni apportate da Napoleone in Europa, è una costante in tutti gli Scapigliati nonostante ci fosse quel comune sentire di attaccamento alla Patria.

Ecco dunque un'altra peculiarità della Scapigliatura, la lotta per la Patria.

Cletto Arrighi
(pseudonimo di Carlo Righetti), a cui si deve la paternità del termine “Scapigliatura”, partecipò alle Cinque Giornate di Milano nel 1848 e si arruolò come volontario alla II guerra d’indipendenza nel 1859. Vita disordinata la sua, sempre pronto a menar le mani per strada, in osteria o a seguir con entusiasmo le vicende nazionali. Acuto giornalista e attento analizzatore ci dà un grosso aiuto per capire il movimento: “Questa casta o classe – che sarà meglio detto – vero pandemonio del secolo; personificazione della follia che sta fuori dai manicomii; serbatoio del disordine, dell’imprevidenza, dello spirito di rivolta e di opposizione a tutti gli ordini stabiliti; - io l’ho chiamata appunto la Scapigliatura”, che però “…nell’ordine dell’universo attrae fra di loro le cose consimili.” A leggere la sua storia di poeta-combattente e romanziere impegnato ci sembra di vedere un eroe dei romanzi di D’annunzio in giovane età ancora combattuto tra una visione decadente completa e la rinascita di quello spirito latino dal quale si temprerà un nuovo ordine universale che sarà narrato nel suo capolavoro “Le vergini delle rocce”. Cletto Arrighi è dunque più simile a Giorgio Aurispa, protagonista de “Il trionfo della morte” che non a Claudio Cantelmo eroe de “Le vergini delle rocce”, in quanto nella tragicità comune della fine della vita di entrambi si nota la volontà di vivere autenticamente alla ricerca di valori profondi, non superficiali anche al costo di indagare nell’ombra.

Altri grandi esponenti furono scapigliati: i fratelli Boito, Giovanni Camerana e Igino Tarchetti tutti fantastici interpreti di quell’indagine nel macabro e ricerca del bello in una vita condotta sempre al limite avversa a qualsiasi moralismo. È questo atteggiamento disincantato che Arrigo Boito (in foto) immortala in “Dualismo” altra poesia manifesto affermando: “Son luce ed ombra; angelica/ farfalla o verme immondo,/ sono un caduto cherubo/ dannato a errar sul mondo,/ o un demone che sale,/ affaticando l’ale,/ verso un lontan ciel…”. Appare chiara la condizione spirituale di chiusura verso l’esterno e sconvolgimento personale.
Boito come Praga, Faccio e soprattutto Arrighi fu uomo comunque impegnato, non emarginato, bensì disprezzatore delle evoluzioni in atto, mai passatista e mai ricercatore di una vita tranquilla e bucolica; seguendo il vento della passione patriottica con Garibaldi nel 1866 nella III guerra d’indipendenza, viene eletto al senato italiano nel 1912 su posizioni anarchico-radicali.

La Scapigliatura rappresenta il fenomeno italico a un comune sentire europeo di crisi spirituale e di allontanamento dalla padronanza di se stessi di un uomo conquistato sempre più dal materialismo a cui contrapporgli un costante combattimento interiore che a volte sfocia nell’esoterismo. Sembrano tematiche alla “Fight Club” di Palanhiuk, solo che nascono quasi un secolo e mezzo prima rimanendo sconosciute ai più.

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