L’articolo sarà pubblicato in «Occidentale», giugno 2012.

Eppure, proprio in seno all’ambiente nazional-rivoluzionario, abbiamo potuto apprezzare una coraggiosa, doverosa e puntuale messa in discussione della tradizione antirisorgimentale neofascista. E questo, in particolare, grazie al volume miscellaneo curato da Pietro Cappellari Una Patria, una Nazione, un Popolo (Herald Editore), il quale segna un punto di rottura all’interno del proprio ambiente di riferimento, e che si propone anche come punto di non ritorno: come fine degli equivoci, come riappropriazione di una gloriosa tradizione che, invece di essere dimenticata o distorta o umiliata, deve essere al contrario proiettata, decantata e potenziata, nell’avvenire prossimo e remoto.
È proprio in tal contesto che si inserisce l’ultima fatica di Sandro Consolato, ossia Dell’elmo di Scipio. Risorgimento, storia d’Italia e memoria di Roma (Flower-ed, pp. 331, € 14). Consolato, cultore di «studi tradizionali» e direttore de «La Cittadella», per quest’operazione editoriale ha scelto un’opzione innovativa e coraggiosa, cioè la formula dell’e-book: gli amanti del cartaceo potrebbero scoraggiarsi nell’impresa, eppure – premetto subito – la lettura del documento telematico non risulta affatto scomoda o limitante. Tra l’altro l’opera merita un’attenta e meditata lettura poiché – sulla scorta di una vasta e valida bibliografia, oltreché grazie a una interessante chiave di interpretazione – l’autore confuta una per una tutte le distorsioni neofasciste del Risorgimento, mettendo altresì in luce la plurisecolare continuità, talvolta palese talaltra sotterranea, dell’ideale unitario italiano all’insegna di Roma e della romanità.

L’acume di Gramsci, in effetti, lascia sbalorditi: in questa lucidissima notazione dell’intellettuale comunista, infatti, è contenuta l’idea fondamentale del ritorno all’origine mitica visto non come restaurazione anacronistica o reazionaria di un passato morto e sepolto, bensì come risveglio delle «energie nazionali», come progetto d’avvenire, come «ripresa offensiva», ossia come avanzata. È una concezione squisitamente rivoluzionaria, anche nel senso «tradizionale» indicato da Consolato, il quale intende la «ri-voluzione come ri-torno, quasi astronomicamente scandito, a una condizione originaria perduta in virtù di un perturbamento intervenuto nell’ordo rerum». Non fu d’altronde già D’Annunzio, non a caso cultore del mondo greco-romano nonché «Vate» della nuova Italia, a definire la nostra nazione, con un magnifico epiteto dall’eco omerica, la «Semprerinascente»?
E Consolato, di fatti, tenta di rintracciare il filo rosso del nostro ideale nazionale dall’Antichità sino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, passando per i sovrani longobardi, Federico II di Svevia, Dante, Petrarca, Cola Di Rienzo, Alfonso d’Aragona, Machiavelli, Campanella, Vico, Filangieri, Romagnosi, Vittorio Emanuele II, Mazzini, Garibaldi e tanti altri, più o meno conosciuti dal grande pubblico, i quali desiderarono ardentemente e prepararono lungo i secoli la rinascita dell’Italia nel nome augusto di Roma.

E questo proprio mentre l’autore illustra, con dovizia di particolari e con valida documentazione, come presso molti gruppi insorgenti e unitaristi la Massoneria svolgesse la «funzione di “copertura” di realtà iniziatiche italiane ben più antiche della Libera Muratoria nata in Inghilterra nel 1717», con gli esempi di spicco della Carboneria, della Società dei Raggi e della Guelfia (ma il nome non tragga in inganno), le quali molto spesso si caratterizzavano in quanto depositarie dell’antica sapienza pitagorica. Così si può dire del resto di Garibaldi, spesso disprezzato dalla vulgata neoguelfa in quanto appartenente alla Massoneria, laddove Consolato mette ben in luce la poco nota ma radicatissima ispirazione romana dell’«eroe dei due mondi».
Insomma, ce n’è abbastanza per mandare in soffitta settant’anni di neofascismo reazionario e antirisorgimentale, riattivando invece – sia secondo tradizione che secondo rivoluzione (che è la quintessenziale sintesi fascista) – il nostro mito più puro e originario. Un mito che è carico di storia e di gloria, ma anche – se noi ancora lo vorremo – del più splendido destino.