giovedì 20 novembre 2008

Non originali, ma originari: “Le radici spirituali dell’Europa. Romanità ed Ellenicità”


«La Storia è la metafora del Mito». Il breve saggio di Giandomenico Casalino, che riproduce un suo intervento ad una conferenza del 2006, è intriso di questo concetto fondamentale. Parole – e lo stesso Casalino se ne stupisce – di Andrea Carandini, celebre archeologo di formazione marxista. Questa premessa risulta indispensabile al vero e proprio tema della discussione, ossia le radici spirituali dell’Europa; «l’idiota modernista dice che il MITO È UNA METAFORA DELLA STORIA, cioè – secondo lui – il Fatto è l’unica cosa concreta e reale; il mito è la chiacchiera che metaforizza il fatto. Ma ignora – perché è cieco e non vede – che il fatto è tale ed esiste in quanto incarna l’Idea, come dice Hegel».

Casalino ci parla quindi della Romanità non già in senso storico e scientifico, bensì in senso strettamente spirituale e meta-storico, giacché «Roma non nasce, ma si manifesta alla Storia». Sono dunque presi in esame quei princìpi, quei valori – in una parola – quella Weltanschauung (Visione o Idea del mondo) che ha caratterizzato la civiltà romana, la quale seppe poi trasmetterla ai popoli soggetti (poi romanizzati e poi romani) e tramandarla – da qui “Tradizione” – ai posteri. Dice Casalino, infatti, che «il mistero di Roma è il mistero della nostra tradizione», e NOI ne siamo gli eredi «perché l’erede è spirituale, poi può esserlo patrimonialmente, ma prima di tutto deve ereditare moralmente: haeres nel diritto romano è colui che eredita lo ius gentis e lo ius imaginis, quindi il patrimonio cioè la tradizione del padre». Qui l’autore pone l’accento sull’etimologia del termine patrimonium, che viene da pater (padre) e -monium che accenna ad agente, ad azione: prima di essere un’eredità materiale, essa è dunque spirituale, poiché è richiesta l’azione da parte dell’erede; come diceva Goethe «ciò che hai ereditato dai padri conquistalo per possederlo».

Viene poi tracciata la differenza tra la Grecia e Roma. La Grecità è dunque «la scienza della contemplazione, è l’epistéme filosofico; quello greco è il discorso del “DATO COME VOLUTO” […] Il greco, trovandosi davanti l’universo, il cosmos, lo considera VOLUTO, cioè lo accetta poiché esso è divino». Dunque l’uomo greco contempla la perfezione della natura, ne carpisce la bellezza, e si armonizza ad essa; la filosofia ellenica appare dunque come la ricerca della comprensione di questo cosmos meraviglioso che gli dèi hanno creato, e l’arte scultorea ed architettonica greca ne riprodurrebbe l’armonia. In definitiva, la Grecità è l’Ascesi della Contemplazione.


La Romanità, al contrario, segue il discorso del VOLUTO COME DATO; secondo la formula di Carandini «Roma è l’atto costitutivo dell’Occidente». Quindi Roma, se “costituisce”, crea ex nihilo, è l’Ascesi dell’Azione. E l’áskesis, che è esercizio e salita, è sacrificio e abnegazione, «l’ascesi è eroica […] Il romano pertanto non vede un cosmos già ordinato, bello, che lui accetta. Il romano crea l’ordine dal nulla con “l’atto costitutivo”, pensa la natura in termini giuridici; nella sua cultura la legge è la natura ordinata in cosmos che è la res publica. […] Come il romano realizza l’ordine? Mediante l’azione che è sacra perché guarda verso l’Alto, verso il Sacro. E qual è l’azione sacra per eccellenza? Il Rito!». Quindi per Roma il cosmos è non già la natura, bensì lo Stato, la Res Publica, al di fuori del cosmos-res publica è il caos dei barbari; ma – secondo la celeberrima equazione ciceroniana – Res Publica è Res Populi, è il popolo ordinato secondo la legge, che è sacra, quindi il popolo è sacro (non a caso, i Tribuni della Plebe sono rivestiti della sacrosanctitas, ossia sono intoccabili in quanto sacri).

«Allora come con l’azione, con il rito si realizza l’Ordine? Prima del rito e prima di realizzare l’ordine cosa c’è? C’è la guerra, la via eroico-guerriera, la triade Iuppiter, Mars, Quirinus», ossia dalla città in pace (Quirino), attraverso la guerra (Marte), si giunge alla pace basata sulla giustizia (Giove), la costituzione della sacra res publica, l’Idea, il pactum, cioè la legge.

È con la legge, infatti, che Roma ha unificato il mondo: Roma è una civitas augescens, ossia una civiltà che si accresce, che accoglie gli altri popoli nel suo ordinamento civile basato sulla giustizia, e accomuna i loro destini al proprio, realizzandone la sintesi: è «la polarità tra l’Unità e la Molteplicità, che è il mistero risolto della Grecità e della Romanità». Per questo motivo l’ecumene romana e romanizzata è vissuta, nel suo essere storico, un millennio: poiché non ha violentato le altre genti, ma le ha accolte, ne ha fatto un solo popolo che è sacro e retto dalla giustizia della legge: «Roma cosa ha fatto? Ha realizzato la sintesi dell’inconciliabile […] cioè la sovranità del popolo con il sacro, il diritto con il sacro, lo ius imperii con la fede nella libertas, valore aristocratico indoeuropeo».

Ora ci sarà più facile capire come e perché Aurelio Simmaco, senatore della migliore nobiltà romana, rètore, filosofo e giurista, nel IV secolo d.C., poteva chiamare il poeta gallo Ausonio «maestro di latinitas e di romanitas»; e come e perché il generale e patrizio di origini vandale Stilicone poteva dire «fatevi da parte! Perché il nostro impero, anzi il mio impero, la mia civiltà, il mio mondo lo difendo io!».

E allora non ci stupiremo più se, negli anni bui dell’autunno dell’impero, il poeta gallo-romano Rutilio Namaziano scrive nel suo saluto a Roma, come a voler lasciare un imperituro messaggio di una civiltà che tramonta, Urbem fecisti quod prius orbis erat: «Hai reso città ciò che prima si chiamava mondo».

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1 commento:

  1. Ho appena riletto l'articolo: breve quanto impegnativo!
    "Roma è il nostro punto di partenza e di riferimento: è il nostro Simbolo e il nostro Mito"...non dimentichiamolo mai...
    A NOI!

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