mercoledì 26 novembre 2008

Il pensiero di Pareto su élites, borghesia e Fascismo

Vilfredo Pareto (1848 – 1923), il “solitario di Celigny”, fu un esponente della teoria sociologica delle élites. Più precisamente seguì, prendendo le distanze da Mosca, un approccio “psicologico”.

Antidemocratico per forza di cose, egli sostenne che, in ogni società organizzata, è sempre una minoranza (classe eletta o élite) a prendere le decisioni, anche con la forza. I regimi democratici non sono esenti da ciò.

Riguardo alla società, Pareto è convinto che non può sussistere se non organizzata gerarchicamente, e che anche la rivoluzione che si pone come obiettivo l’abbattimento di un ordine oligarchico, produrrà sempre e comunque un nuovo ordine oligarchico. Cambieranno le élites, nel senso che andranno a governare persone diverse mosse da sentimenti e/o ambizioni diverse, certo, ma non cambierà mai la logica di fondo: e cioè che ad usufruire del potere politico sarà comunque una minoranza. «La storia è un cimitero di aristocrazie...»

Il rapporto tra classe eletta e società “governata” non si riduce a quello di classe proposto da Marx. Infatti non esiste solo la “lotta di classe” tra ricchi e poveri, ma anche tra altre realtà sociali (uomini e donne, operai e contadini, fumatori e non fumatori, ecc.) che vanno ad intersecarsi con la precedente rendendo il contesto un intreccio inestricabile. Per questo motivo, Pareto, considerava con avversione le dottrine socialiste, che secondo lui erano, pur se ben sviluppate nella parte ideale, troppo riduttive; e per questo non in grado di smuovere i profondi sentimenti che spingono l’uomo all’azione. Gli uomini, infatti, hanno bisogno di credere in “qualcosa” (fede) e di agire in nome di “qualcosa” (mito). Nel fare questo il Nazionalismo riesce molto meglio del Socialismo.

Il sociologo che stiamo trattando vede la storia come un succedersi di classi elette. Il ricambio di queste avviene in senso ondulatorio: un’élite che ha raggiunto il suo “picco” massimo è destinata ad avere un periodo di decadenza. Può accadere che, toccato il limite di questa decadenza, avvenga il ricambio e una nuova élite inizi così il suo corso. Ma può anche accadere che tale ricambio avvenga quando l'élite destinata a scomparire non sia in decadenza, o sia in ascesa. Pensiamo a una rivoluzione improvvisa dove, per mezzo di un colpo di Stato, una nuova minoranza prenda il potere; in questo caso non è detto che la vecchia classe eletta fosse necessariamente in decadenza.

Sulla morale borghese, Pareto scrisse un opuscolo intitolato Il virtuismo borghese. Rilevò che in passato era vietato attaccare il sentimento religioso, ma non era necessario rispettare i tabù della castità. Col proliferare dello stile di vita borghese, le parti si invertirono; divenne possibile “sbeffeggiare” la religione, ma guai a rendere pubblico tutto ciò che potesse, anche alla lontana, essere inerente al sesso. «In realtà [...], la morale che ci vogliono imporre colla legge i virtuisti, è semplicemente la morale cattolica o protestante». In questo senso il “virtuismo” fu il Cattolicesimo della borghesia.

Riguardo al Fascismo va detto che Pareto, morendo nel 1923, poté studiare solo la veste movimentista e rivoluzionaria del fenomeno, e i suoi studi a riguardo furono per lo più comparativi col fenomeno socialista.

Sono due gli elementi del Fascismo che “il solitario di Celigny” captò come peculiari: l’uso della violenza extra-legale e l’esistenza di un mito il cui nocciolo è nazionalista.

La fede fascista è inferiore a quella socialista, ma ha saputo meglio di quella degli “avversari” risvegliare, attraverso il mito della nazione, la coscienza delle persone. Il Socialismo, infatti, era spinto da «desideri del pronto godere» e «combatteva per impadronirsi di cose e posizioni a sé utili». Il Fascismo, invece, perseguiva un ideale mitico che spingeva la maggior parte dei suoi seguaci all’azione; azione però controllata e indirizzata da un capo che si prefiggeva una mèta di grandissimo (e nobilissimo) livello: la conquista del potere centrale.

Le istanze fasciste trionfarono perché portate avanti da uomini che ardevano di una fede che mancò ai socialisti.

Concludo il post con una citazione paretiana a mio avviso attualissima: «Siamo giunti ad un punto in cui si scorge, tra le nebbie dell’avvenire, il principio di trasformazioni della democrazia, del parlamentarismo, del ciclo della plutocrazia demagogica (potere dell’alta finanza che per portare a sé consensi fa promesse che sa già di non poter mantenere), e l’Italia, che già fu madre di tante forme di civiltà, ben potrebbe avere gran parte nello generarne una nuova». [Libertà, 1923, in Scritti sociologici, pag. 1210]

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