L’autore dell’illuminante opera A destra di Porto Alegre. Perché la destra è più no-global della sinistra sottolinea come questi movimenti accettino invece tutte le implicazioni omologatrici della globalizzazione, rifiutandone solamente il lato economico («la Sinistra ha come obiettivo la mondializzazione senza il mercato» scrive Jean-François Revel). Al contrario la Destra (termine usato operando un’evidente quanto utile semplificazione, che racchiude complesse esperienze “radicali”, non certo l’AN filo-atlantista di oggi) non solo effettua le sue critiche ben prima di chi sembra essersi svegliato l’altroieri, ma lo fa in modo più legittimo e profondo.
Essa, nella sua lunga storia, ha espresso valori come l’identità, la patria, la comunità, la specificità e il senso della gerarchia: tutti intrinsecamente antagonisti a qualsivoglia visione uniformante.
Partendo dagli inizi del XX secolo, Fraquelli ripercorre tutte le idee e i movimenti “Destri” fautori di istanze antiglobali. Le prime tesi di questo tipo (tra i sostenitori delle quali spicca il nobile russo-polacco Emmanuel Malynski) erano legate all’idea del cosiddetto “complotto ebraico”: oscure trame del popolo di Sion per destabilizzare le nazioni che lo ospitano, al fine del dominio mondiale. Da queste prime e poco convincenti congetture (anche se “rilanciate” ultimamente dal filosofo di sinistra Gianni Vattimo), si passa a personaggi quali Adolf Hitler e Benito Mussolini, che incarnarono in maniera dirompente l’“armamentario classico” del pensiero anti-universalista.
In esso troviamo, in misura diversa, nazionalismo, gerarchia, tradizione, antisemitismo, lotta all’America, Terza Via e vicinanza al mondo musulmano. I due leaders cambiarono profondamente le nazioni in cui presero il potere, diffondendo in tutta Europa questi “sentimenti” fino al conflitto contro le “democrazie plutocratiche” che «detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e l’oro delle terra», simboli di quell’economia di mercato che appiattisce ogni differenza in nome del Dio denaro.
Come andò a finire la guerra è cosa nota, ma dalle ceneri della sconfitta non pochi gruppi raccolsero il lascito dei “fascismi”, sviluppandolo e innovandolo nel corso degli anni.
In Italia, nei primi anni del dopoguerra assunse rilievo una figura rimasta in ombra durante gli anni del regime: Julius Evola (in foto), che contribuì alla lotta “antiglobalizzazione” attraverso i suoi scritti e la diffusione di quelli di autori quali Oswald Spengler, Friedrich Nietzsche e René Guénon.
Punto centrale del suo pensiero è il concetto di Tradizione. Essa è «il filone di verità atemporale che percorre tutto il tempo concesso alla razza degli uomini», nella definizione del succitato Guénon. Il mondo che ci circonda sarebbe figlio della vittoria delle forze antitradizionali (dalla Rivoluzione Francese alla Seconda Guerra Mondiale), secondo un’interpretazione della storia come processo regressivo e non progressivo. Il risultato è la totale perdita del concetto del “Sacro” e il trionfo del materialismo: l’indivuo non è più “parte del Cosmo, della Polis e della Natura”, ma entità dissociata, imbastardita dall’edonismo e dal consumismo imperanti. Anche per Evola dietro questa azione sovvertitrice si nasconde la mano ebraica, le cui lobbies detengono il potere finanziario.
La figura del filosofo siciliano è tutt’oggi al centro di aspri dibattiti all’interno dell’“area” Destra, tra chi ne rigetta quasi totalmente l’“incapacitante” contributo e chi al contrario lo ritiene ancora valido ed utile. Sicuramente un pensatore degno di studio, la cui produzione non può essere sintetizzata in poche righe.
Carica di tratti originali è anche la rivista “Orion” (fondata da Maurizio Murelli nel 1984), che propone arditamente l’unione degli ideali del “fascismo-movimento” (secondo l’espressione coniata da Renzo De Felice) con quelli del bolscevismo pre-regime, accanto ad un occhio di riguardo per il mondo islamico (soprattutto l’Iran di Khomeini). Ma gli accostamenti “rivoluzionari” non finiscono qui: soventi sono i richiami a Léon Degrelle, Che Guevara e numerosi altri simboli meta-politici, nell’ottica di un’aspra lotta al mondialismo (ovvero la globalizzazione nel suo significato più profondo, non solo economico ma anche politico-culturale) e i suoi principali fautori: gli USA.
Proprio il capitalismo a stelle e strisce attraverso massoneria, multinazionali, banche ed istituti finanziari alimenta “il Sistema per uccidere i popoli”, che ne disintegra la storia e la cultura per ridurli a meri aggregati di consumatori.
Questa analisi viene espressa dal francese Guillaume Faye (in foto) che propone l’“Archeofuturismo” come soluzione: bisogna riscoprire le proprie radici per difendersi, sapendo interpretare la modernità senza dimenticare il passato (arrivando a “conciliare Evola e Marinetti”). Faye è stato uno dei fondatori della “Nouvelle droite” assieme ad Alain de Benoist , altra figura capitale nella lotta all’America e alla globalizzazione.
Oltre all’alta finanza egli accusa anche l’ideologia marxista dell’uguaglianza e quella liberale dei diritti dell’uomo, che hanno spianato la strada ai disegni mondialisti del Sistema favorendo l’omologazione. La stessa democrazia odierna, privilegiando la quantità rispetto alla qualità, alimenta i processi sovvertitori.
Altro movimento degno di nota è quello del cosidetto “glocalismo” (animato in Italia da Eduardo Zarelli e la sua Associazione EstOvest) fortemente radicato sui princìpi del valore della Vita e della Natura per la riscoperta della dimensione genuina, “Locale” dell’esistenza. Aspra è la condanna della “megamacchina” (teorizzata dall’economista francese Serge Latouche), ovvero il modello globalizzante occidentale caratterizzato da utilitarismo, istinto livellatore, determinismo e colpevole dello sfruttamento indiscriminato della Terra.
Tematiche simili, queste, a quelle dei Comunitaristi, nati in America e fondati nella loro “corrente” di destra su antiliberalismo, anti-individualismo e forte senso della comunità (rifacendosi nobilmente ai “sensibili comuni” aristotelici). Tra i tanti interpreti di questa visione i più noti sono sicuramente Marco Tarchi, ex enfant prodige del Fronte della Gioventù, e Marcello Veneziani, un tempo punto di riferimento dell’“area”, oggi moderato e “raffreddato” protagonista in ambiti culturali più istituzionali.
È importante sottolineare che il filo conduttore di queste correnti di pensiero, la consapevolezza e la fierezza dell’identità, non comporta discriminazione verso “l’altro da sé”. Anzi solo una comunità con forte senso di appartenenza può accogliere facilmente (ovviamente in misura umana) nel proprio alveo individui estranei, risultando addirittura rafforzata dal proliferare di altri aggregati con universi valoriali ben radicati. Le differenze sono il sale della vita umana, accettarle e non tentare di appiattirle è l’unico modo “sano” di porsi per una Civiltà degna di questo nome.
La “ricognizione” dell’autore ci porta poi ad incontrare figure come Gabriele Adinolfi (nume tutelare della destra radicale, presente in “Orion” come in moltissime altre iniziative di valore), Massimo Fini (l’autore antimoderno per eccellenza) e il noto medievista Franco Cardini fino ai populisti “alla Haider”, passando attraverso una galassia di esperienze poco note ma ricche di valore (citando come ultimi, ma non certo per importanza, i fecondi contributi di Carlo Terraciano e Giorgio Locchi).
Fraquelli, pur dichiarando di non riconoscersi nell’ambiente analizzato, ci offre quindi un fondamentale contributo su un “mondo politico” misconosciuto quanto all’avanguardia e ricco di iniziativa, in cui non c’è più traccia di razzismo (tra l’altro “invenzione” di marca illuminista...) ma solo di spirito critico e saldezza ideale.
Per approfondire leggi l’intervista a Fraquelli realizzata dal Centro Studi Polaris
Essa, nella sua lunga storia, ha espresso valori come l’identità, la patria, la comunità, la specificità e il senso della gerarchia: tutti intrinsecamente antagonisti a qualsivoglia visione uniformante.
Partendo dagli inizi del XX secolo, Fraquelli ripercorre tutte le idee e i movimenti “Destri” fautori di istanze antiglobali. Le prime tesi di questo tipo (tra i sostenitori delle quali spicca il nobile russo-polacco Emmanuel Malynski) erano legate all’idea del cosiddetto “complotto ebraico”: oscure trame del popolo di Sion per destabilizzare le nazioni che lo ospitano, al fine del dominio mondiale. Da queste prime e poco convincenti congetture (anche se “rilanciate” ultimamente dal filosofo di sinistra Gianni Vattimo), si passa a personaggi quali Adolf Hitler e Benito Mussolini, che incarnarono in maniera dirompente l’“armamentario classico” del pensiero anti-universalista.
In esso troviamo, in misura diversa, nazionalismo, gerarchia, tradizione, antisemitismo, lotta all’America, Terza Via e vicinanza al mondo musulmano. I due leaders cambiarono profondamente le nazioni in cui presero il potere, diffondendo in tutta Europa questi “sentimenti” fino al conflitto contro le “democrazie plutocratiche” che «detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e l’oro delle terra», simboli di quell’economia di mercato che appiattisce ogni differenza in nome del Dio denaro.
Come andò a finire la guerra è cosa nota, ma dalle ceneri della sconfitta non pochi gruppi raccolsero il lascito dei “fascismi”, sviluppandolo e innovandolo nel corso degli anni.
In Italia, nei primi anni del dopoguerra assunse rilievo una figura rimasta in ombra durante gli anni del regime: Julius Evola (in foto), che contribuì alla lotta “antiglobalizzazione” attraverso i suoi scritti e la diffusione di quelli di autori quali Oswald Spengler, Friedrich Nietzsche e René Guénon.
Punto centrale del suo pensiero è il concetto di Tradizione. Essa è «il filone di verità atemporale che percorre tutto il tempo concesso alla razza degli uomini», nella definizione del succitato Guénon. Il mondo che ci circonda sarebbe figlio della vittoria delle forze antitradizionali (dalla Rivoluzione Francese alla Seconda Guerra Mondiale), secondo un’interpretazione della storia come processo regressivo e non progressivo. Il risultato è la totale perdita del concetto del “Sacro” e il trionfo del materialismo: l’indivuo non è più “parte del Cosmo, della Polis e della Natura”, ma entità dissociata, imbastardita dall’edonismo e dal consumismo imperanti. Anche per Evola dietro questa azione sovvertitrice si nasconde la mano ebraica, le cui lobbies detengono il potere finanziario.
La figura del filosofo siciliano è tutt’oggi al centro di aspri dibattiti all’interno dell’“area” Destra, tra chi ne rigetta quasi totalmente l’“incapacitante” contributo e chi al contrario lo ritiene ancora valido ed utile. Sicuramente un pensatore degno di studio, la cui produzione non può essere sintetizzata in poche righe.
Carica di tratti originali è anche la rivista “Orion” (fondata da Maurizio Murelli nel 1984), che propone arditamente l’unione degli ideali del “fascismo-movimento” (secondo l’espressione coniata da Renzo De Felice) con quelli del bolscevismo pre-regime, accanto ad un occhio di riguardo per il mondo islamico (soprattutto l’Iran di Khomeini). Ma gli accostamenti “rivoluzionari” non finiscono qui: soventi sono i richiami a Léon Degrelle, Che Guevara e numerosi altri simboli meta-politici, nell’ottica di un’aspra lotta al mondialismo (ovvero la globalizzazione nel suo significato più profondo, non solo economico ma anche politico-culturale) e i suoi principali fautori: gli USA.
Proprio il capitalismo a stelle e strisce attraverso massoneria, multinazionali, banche ed istituti finanziari alimenta “il Sistema per uccidere i popoli”, che ne disintegra la storia e la cultura per ridurli a meri aggregati di consumatori.
Questa analisi viene espressa dal francese Guillaume Faye (in foto) che propone l’“Archeofuturismo” come soluzione: bisogna riscoprire le proprie radici per difendersi, sapendo interpretare la modernità senza dimenticare il passato (arrivando a “conciliare Evola e Marinetti”). Faye è stato uno dei fondatori della “Nouvelle droite” assieme ad Alain de Benoist , altra figura capitale nella lotta all’America e alla globalizzazione.
Oltre all’alta finanza egli accusa anche l’ideologia marxista dell’uguaglianza e quella liberale dei diritti dell’uomo, che hanno spianato la strada ai disegni mondialisti del Sistema favorendo l’omologazione. La stessa democrazia odierna, privilegiando la quantità rispetto alla qualità, alimenta i processi sovvertitori.
Altro movimento degno di nota è quello del cosidetto “glocalismo” (animato in Italia da Eduardo Zarelli e la sua Associazione EstOvest) fortemente radicato sui princìpi del valore della Vita e della Natura per la riscoperta della dimensione genuina, “Locale” dell’esistenza. Aspra è la condanna della “megamacchina” (teorizzata dall’economista francese Serge Latouche), ovvero il modello globalizzante occidentale caratterizzato da utilitarismo, istinto livellatore, determinismo e colpevole dello sfruttamento indiscriminato della Terra.
Tematiche simili, queste, a quelle dei Comunitaristi, nati in America e fondati nella loro “corrente” di destra su antiliberalismo, anti-individualismo e forte senso della comunità (rifacendosi nobilmente ai “sensibili comuni” aristotelici). Tra i tanti interpreti di questa visione i più noti sono sicuramente Marco Tarchi, ex enfant prodige del Fronte della Gioventù, e Marcello Veneziani, un tempo punto di riferimento dell’“area”, oggi moderato e “raffreddato” protagonista in ambiti culturali più istituzionali.
È importante sottolineare che il filo conduttore di queste correnti di pensiero, la consapevolezza e la fierezza dell’identità, non comporta discriminazione verso “l’altro da sé”. Anzi solo una comunità con forte senso di appartenenza può accogliere facilmente (ovviamente in misura umana) nel proprio alveo individui estranei, risultando addirittura rafforzata dal proliferare di altri aggregati con universi valoriali ben radicati. Le differenze sono il sale della vita umana, accettarle e non tentare di appiattirle è l’unico modo “sano” di porsi per una Civiltà degna di questo nome.
La “ricognizione” dell’autore ci porta poi ad incontrare figure come Gabriele Adinolfi (nume tutelare della destra radicale, presente in “Orion” come in moltissime altre iniziative di valore), Massimo Fini (l’autore antimoderno per eccellenza) e il noto medievista Franco Cardini fino ai populisti “alla Haider”, passando attraverso una galassia di esperienze poco note ma ricche di valore (citando come ultimi, ma non certo per importanza, i fecondi contributi di Carlo Terraciano e Giorgio Locchi).
Fraquelli, pur dichiarando di non riconoscersi nell’ambiente analizzato, ci offre quindi un fondamentale contributo su un “mondo politico” misconosciuto quanto all’avanguardia e ricco di iniziativa, in cui non c’è più traccia di razzismo (tra l’altro “invenzione” di marca illuminista...) ma solo di spirito critico e saldezza ideale.
Per approfondire leggi l’intervista a Fraquelli realizzata dal Centro Studi Polaris
Grande Carlacci...non un semplice articolo ma un vero e proprio manifesto politico!!! Sorca...
RispondiEliminafacile da leggere e pungente alla perfezione....la preparazione prima di tutto..
RispondiEliminama dove andremo a finire?!
si ha il coraggio di leggerle queste verità?!
si ha il coraggio di ammetterle queste verità in un paese che su sta facendo trascinare nel torpore dell'omologazione?
si ha il coraggio di combatterle?
finchè ci sono queste "piccole lezioni", mi fa pensare che ci sia ancora una speranza per il nostro futuro....