I: dal guerriero all’operaio
Ernst Jünger è probabilmente uno dei volti più noti della Rivoluzione Conservatrice. Nacque il 29 marzo 1895 a Heidelberg, primo di sette figli, tra cui l’affezionato fratello Friedrich Georg (1898 – 1975), anch’egli poi scrittore rivoluzionario-conservatore. Il padre, Ernst Georg, era farmacista e si spostò spesso, durante l’infanzia dei figli, da una città all’altra della Germania. Questo portò il giovane Ernst ad avere difficoltà a scuola, ma a coltivare interessi personali, come la lettura, l’entomologia e la poesia. Nel 1911 s’iscrisse al movimento giovanile dei Wandervögel, un’organizzazione di carattere romantico e scoutistico. Due anni dopo, appena diciottenne, fuggì da casa per arruolarsi nella Légion étrangère in Nord Africa (in foto), da cui evase due volte per cercare di raggiungere l’Africa equatoriale: un’esperienza narrata più tardi nel libro Ludi africani (1936). Dopo appena due settimane, il padre, agendo attraverso il Ministero degli Esteri tedesco, ne chiese il rimpatrio.
Nel 1914 Jünger affrontò anticipatamente l’esame di stato (Abitur), per arruolarsi come volontario al fronte nel 73° Reggimento Fucilieri “Gibraltar”. Ferito a Les Eparges (aprile 1915), seguì un corso da alfiere durante la convalescenza, divenendo ufficiale, e passando poi a comandare i reparti d’assalto (Stoßtruppen). Nei due anni successivi combatté nella Battaglia della Somme a Guillemont e Combles, nella Battaglia della Somme a Guillemont e Combles (agosto 1916), nella Battaglia di Arras (aprile 1917), nella Terza Battaglia di Ypres (luglio e ottobre 1917), nella Battaglia di Cambrai (novembre 1917) e nell’Offensiva di Primavera (marzo 1918), venendo ferito in tutto quattordici volte e decorato con la Croce di Ferro di Prima Classe (gennaio 1917), con il Kronenorden von Hohenzollern (novembre 1917) e infine la Pour le Mérite, la più alta decorazione prussiana (settembre 1918), ricevuta a soli 23 anni, nonostante il parere contrario di Hindenburg, e di cui fu l’ultimo sopravvissuto tra i portatori.
Nel dopoguerra, rimase nella Reichswehr (l’esercito di Weimar) fino alla sua demobilitazione (1923). Poi si dedicò a studi universitari (che non terminò) a Lipsia e a Napoli, seguendo corsi di zoologia, botanica e filosofia. Divenne comunque un entomologo di una certa importanza, tanto che fu attribuito il suo nome ad alcune specie d’insetti da lui scoperte. Nel 1925 si sposò con Gretha Jensen, da cui ebbe due figli, uno, Ernst (detto Ernstel), battezzato come luterano, e l’altro, Alexander, battezzato come cattolico, con il giurista Carl Schmitt quale padrino. Nel frattempo, a partire dalla pubblicazione del romanzo autobiografico Nelle tempeste d’acciaio (1920), e di altre opere (La lotta come esperienza interiore, Il tenente Sturm, Boschetto 125, Fuoco e sangue, Il cuore avventuroso), che narravano le sue esperienze al fronte, divenne una figura di spicco negli ambienti della Destra nazionalista e reducista. Fece parte dei Freikorps e scrisse su varie riviste dell’area, diventando amico intimo di grandi figure intellettuali quali il filosofo Martin Heidegger, il giurista Carl Schmitt, il nazionalbolscevico Ernst Niekisch, lo scrittore Ernst von Solomon, e il discepolo Armin Möhler, che fu a lungo suo segretario.
Verso la fine degli anni ’20 il suo pensiero ebbe un’evoluzione importante: un allargamento della propria teoria. Fino ad ora, egli aveva messo in rilievo il carattere totalizzante e distruttivo della guerra moderna e sottolineato il maggior risalto ch’essa dava alla figura del soldato come guerriero (Krieger), che in questa situazione mette alla prova le proprie capacità umane. Con i saggi La mobilitazione totale (1929), Il dolore (1934), ma soprattutto L’operaio. Dominio e forma (1933), questa prospettiva è estesa dall’ambito bellico all’intera società moderna. Si tratta di portare all’estremo la situazione di guerra, creando una società mobilizzata anche nell’ambito dello studio e del lavoro. L’operaio (Arbeiter), attraverso la disciplina, ottiene il dominio sulla tecnica. Quest’opera ebbe un grande successo, tanto che Heidegger gli dedicò due cicli di lezioni (1934 e 1939-40) e ne trasse ispirazione per il suo discorso sull’Università tedesca, mentre Evola vi scrisse un commento esaustivo e profondo.
II: ribelle a Hitler, ribelle alla democrazia
Con l’ascesa al potere di Hitler, che apprezzava molto la sua figura e i suoi scritti, a Jünger fu offerto un seggio al Reichstag e la presidenza dell’Accademia Tedesca dei Poeti, ma egli rifiutò entrambi. Già pochi anni prima aveva respinto le profferte politiche di Goebbels, che più tardi dovette affermare: «Abbiamo offerto a Jünger ponti d’oro, ma lui non li volle attraversare». Come ad altri rivoluzionari-conservatori, anche a lui ripugnava un certo stile volgare e demagogico del nazionalsocialismo, ed era scettico circa i loro progetti grandiosi. La sua casa fu perquisita dalla Gestapo e l’uscita dei suoi libri messa sotto silenzio dalla stampa. Nel 1939 Goebbels, a una conferenza pubblica, gli domandò: «E ora, Herr Jünger, cosa ne pensa?». La risposta dello scrittore non si fece attendere: fu il romanzo breve fantastico Sulle scogliere di marmo, un capolavoro nella forma che narra il passaggio violento di una terra idilliaca dall’ordine tradizionale a un regime barbarico e totalitario. A questo punto, Göring e Goebbels avrebbero voluto liquidare Jünger (come già era stato fatto con altri esponenti della Destra tedesca, quali Niekisch, imprigionato, e E. J. Jung, assassinato), tuttavia Hitler, ammiratore dello Jünger scrittore, si oppose fermamente.
Nell’agosto 1939, egli fu richiamato alle armi col grado di capitano, comandando dapprima una postazione della Linea Sigfrido, poi partecipando all’avanzata in Francia. Dal 1940 al 1944, fu di stanza alla guarnigione di Parigi, come membro dello stato maggiore del comandante la piazza, il generale Stülpnagel. Oltre al lavoro d’ufficio e alle escursioni entomologiche, frequentò i salotti artistici ed intellettuali di Parigi, conoscendo, tra gli altri, Braque, Céline, Cocteau, Colette, Gaston Gallimard, Florence Gould, Sacha Guitry, Jouhandeau, Léautaud, Montherlant, Paul Morand, il capo della resistenza clandestina Jean Paulhan e il famoso pittore Picasso. Inoltre continuò ad essere una figura importante in quegli ambienti legati all’opposizione militare al regime, tanto che il suo libello “La pace” (pubblicato poi nel 1946), delineante un futuro ordine europeo rivoluzionario-conservatore, fu inviato a Rommel a mo’ di scritto programmatico. Tuttavia, dopo il complotto del 20 luglio, non furono trovate prove a suo carico, e fu soltanto dimesso dall’esercito con disonore. Nel frattempo, ebbe la notizia della morte del suo primogenito, Ernst, cadetto della Kriegsmarine, presso Carrara, dove era in forze ad un battaglione di disciplina, stante la sua punizione per attività sovversiva.
Nel 1945, fu riarruolato come comandante della locale compagnia del Volksturm, ruolo in cui si adoperò per limitare le distruzioni e le vittime presso i civili. Dopo la guerra, rifiutò di compilare il formulario per la denazificazione, e inizialmente gli fu proibito di pubblicare dagli occupanti. Si spostò allora a Ravensburg, sul Lago di Costanza, nella zona d’occupazione francese, dove questo diritto gli fu concesso. In poco tempo però conobbe una discreta riabilitazione, anche per la sua opposizione in opere come Sulle scogliere di marmo, che fu definita da un critico, con gran scandalo di molti antifascisti, l’unica opera di resistenza scritta in Germania dopo il 1933. Continuando la sua attività di scrittore, pubblicò in tre riprese (Giardini e Strade, Irradiazioni, L’anno dell’occupazione) i diari degli anni legati alla sua seconda esperienza bellica, dal 1939 al 1948, nonché il romanzo fantastico Heliopolis, narrante la lotta per il potere all’interno di un regime dittatoriale tra due fazioni, una aristocratica ed una demagogica.
Ebbe poi un importante dibattito filosofico sul nichilismo con Martin Heidegger, a cui dedicò gli scritti Oltre la linea (1950) e Al muro del tempo (1970). Di fronte al pessimismo heideggeriano riguardo al dominio della tecnica sull’uomo e al conseguente dominio del totalitarismo (non importa se bianco, rosso o bruno), Jünger esprime un cauto ottimismo, sostenendo che la Linea, ovvero il meridiano zero del nichilismo, (il “meriggio” per dirla in termini nietzscheani), sia già stato sorpassato. Riprende quindi la tesi nietzscheana del nichilismo come fase intermedia patologica tra un passato retto da valori supremi e un futuro fecondo di nuove realizzazioni, per cui s’impone all’individuo di passare dal dubbio a un realistico pessimismo all’azione per superare questa fase e creare nuovi valori.
Nel libro successivo, Il trattato del ribelle (1952), viene prospettata quindi l’idea del “passare al bosco”, cioè sottrarsi al nichilismo, rifugiandosi in quelle oasi rimaste ricche di significato. È la teorizzazione della figura del Ribelle, che lotta contro il totalitarismo moderno, difendendo la propria sovranità d’individuo e rispondendo unicamente al tribunale interno della propria coscienza. Ciò perché il nichilismo di oggi è un problema che può essere affrontato da pochi individui, ma può allo stesso tempo portare a nuovi inizi.
III: l’Anarca e il riposo del guerriero
Dopo la guerra, Jünger si trasferì stabilmente nel villaggio di Wilflingen, in Alta Svevia (1950), dove prese dimora nella foresteria del maniero dei Conti von Stauffenberg (autori dell’attentato a Hitler del 20 luglio). Tuttavia continuò i suoi viaggi in tutto il mondo, iniziati già negli anni ’20, di cui lasciò traccia nei numerosi diari di viaggio (Myrdun, Terra sarda, Il contemplatore solitario fra gli altri). Nel 1955, recuperò le spoglie del figlio, con l’aiuto del suo traduttore Henry Furst, Giovanni Ansaldo e un giovanissimo Marcello Staglieno. Durante la sua vita, sperimentò diverse sostanze stupefacenti (etere, hashish, cocaina, mescalina), stringendo infine amicizia con il chimico svizzero Albert Hoffmann, inventore della dietilammide dell’acido lisergico (LSD), con cui sperimentarono questa droga. Le sue esperienze sono riecheggiate nel racconto Visita a Godenholm (1952), ermetico e insieme pregno di simbolismo tradizionale, e nella raccolta del 1970, Avvicinamenti: droghe ed ebbrezza. Nel 1960 rimase vedovo e si risposò dopo due anni con l’archivista e insegnante Liselotte Löhrer nata Bauerle, che gli sopravvivrà.
A partire dagli anni ’50 l’editore Klett Cotta di Stüttgart, per conto di cui egli dirigeva, insieme a Mircea Eliade, la rivista di studi esoterici Antaios, cominciò a pubblicare la sua opera omnia. Sarà l’unico scrittore tedesco, insieme a Goethe, Klopstock e Wieland a vedere pubblicate due edizioni delle proprie opere complete. Continua naturalmente l’attività filosofica sempre legata al rapporto tra etica del singolo e politica: nel 1953, pubblica Il nodo di Gordio, frutto delle sue discussioni insieme a Carl Schmitt su Oriente e Occidente. Fanno seguito, tra le opere più importanti, il romanzo fantascientifico Le api di vetro (1957) e i saggi Al muro del tempo (1959) che riprende varie tematiche di Oltre la linea, Lo stato mondiale (1960) e Tipo, nome, forma (1963). Questa riflessione e la mutata situazione storica lo portò a rivedere e ‘aggiornare’ la figura del Ribelle in un nuovo tipo: l’Anarca.
Fondamentale per la descrizione di questo tipo è il romanzo fantastico Eumeswil (1977), che chiude la trilogia iniziata con Sulle scogliere di marmo e proseguita con Heliopolis. Qui il protagonista, Martin Venator, servitore distaccato del Condor, tiranno di Eumeswil, simile per molti versi a uno dei cesari di Spengler, conduce la sua vita all’ombra del regime, mantenendosi sempre libero e sovrano. Tutto il libro è pervaso dalle sue riflessioni sull’Anarca, da distinguere dall’anarchico. Anzi, l’anarca sta all’anarchico, come il monarca sta al monarchico. Si può dire valga qui perfettamente quella massima di Evola: «Fa’ che ciò su cui non puoi nulla, nulla possa su di te». Di grande interesse è anche il romanzo breve Il problema di Aladino (1983), il cui protagonista è un ufficiale prussiano nella Polonia comunista, che fugge in cerca della sua libertà.
Nei suoi ultimi anni, Jünger, benché avesse affermato di non rinnegare nulla della sua vita, era ormai pienamente riabilitato agli occhi di buona parte della società tedesca, che riconosceva i suoi meriti, indipendentemente da pregiudizi ideologici. Il suo stile letterario, conciso ma originale e brillante, e la grande esperienza di vita e di pensiero che ne traspariva, gli valsero molti riconoscimenti. Nel 1981 ricevette il Premio Mondiale Cino del Duca, «per il suo messaggio di umanismo moderno». Nel 1984, in occasione del 70° anniversario della Prima Guerra Mondiale, parlò al memoriale di Verdun, insieme con il cancelliere tedesco Helmut Köhl e il presidente francese socialista François Mitterrand, entrambi suoi ammiratori.
Negli anni ’90 continuò a scrivere e a curare l’edizione delle sue opere, ma anche a dedicarsi al proprio orticello e alle sue passioni come le passeggiate, l’entomologia e la lettura. Nel 1993, il secondogenito Alexander, rimasto paralizzato dopo un incidente, si tolse la vita. Il suo centesimo compleanno fu festeggiato da tutta la Germania, fu invitato a Venezia dal sindaco Cacciari, e ricevette la visita nella sua dimora rurale di Wilflingen di uomini di lettere e capi di stato, tra cui Köhl e Mitterrand. Negli ultimi tempi si era riavvicinato alla religione, per cui comunque aveva sempre avuto una particolare sensibilità, convertendosi al cattolicesimo il 26 settembre 1996. Morì infine, poco prima di compiere i 103 anni, il 17 febbraio 1998. Era nato nell’anno in cui furono inventati i raggi X, morì l’anno in cui fu fondato Google.
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