«La Democrazia è un modo per metterlo nel culo alla gente, soprattutto alla povera gente, col suo consenso»
(Massimo Fini)
La democrazia è il sistema di autoregolazione del mondo migliore possibile?
È senza dubbio questo il quesito di partenza che Massimo Fini (in foto) ci invita a porre e a porci, come suo costume, in modo provocatorio e dissacrante, certo di scuotere la coscienza dei suoi lettori. Il saggio comincia parlandoci della democrazia universale e dei suoi amici; l’America per prima, naturalmente, ma anche un’Europa ossequiosa e uguale nei suoi sistemi, che siano liberali o social-democratici. Tra i grandi “amici della democrazia” cita il politologo americano Francis Fukuyama, che disse che il mondo e la storia erano finiti col crollo dell’impero sovietico, dato che la democrazia, avendo già distrutto i così detti “fascismi”, avrebbe regnato tranquilla e incontrastata. Non serve portarvi a monito l’odierna realtà per vedere quanto sia inesatta questa previsione; pertanto Fini lascia correre e osserva che, questa di Fukuyama, è l’aspirazione di chi, come Bush, ad esempio, vuol globalizzare la democrazia, facendone “dono” a tutti e a tutti i costi.
Fini poi vira altrove, a sinistra ad esempio, per dimostrare che questa convinzione generale (che la democrazia sia il massimo della vita), è assolutamente trasversale; Gianni Vattimo, autorevolissimo filosofo “catto-sinistrorso”, sulla “Repubblica”, in effetti, così si esprime: «Il male è ciò che è contrario alla democrazia». Poi, in una nota, e non per par condicio, irride il suo omonimo Presidente di Alleanza Nazionale, ex missino e post-fascista, che suggestionato dal clima di adorazione per la democrazia, definì il fascismo «il Male Assoluto». Ma ce ne è anche per la Rivoluzione industriale, che a detta di Nietzsche aveva creato gli “schiavi salariati”; l’Onu, che accoglie solo chi è positivo al test di democrazia; le Nazioni Unite e tutti gli obsoleti organismi che perpetuano e si perpetuano in questo sistema. Fini, successivamente, sposta l’attenzione sui nemici della democrazia. Qui a diverso titolo vivono i vari Hitler e Mussolini, molto meno i bolscevichi, che comunque la parola democrazia la volevano idealmente mettere vicino alla parola “socialista”; tra le pieghe anche Alexis de Tocqueville (in foto), un liberale che criticò fortemente il sistema democratico americano. Ma perché Fini ce l’ha tanto con la democrazia così come oggi viene spacciata e concepita? Facciamo uso delle sue parole: «La democrazia rappresentativa, liberale, borghese – insomma, la ‘democrazia reale’ come la conosciamo e la viviamo, e che è attualmente egemone, non è la democrazia. È una finzione. Una parodia. Un imbroglio. Una frode. Una truffa. Noi la definiamo in modo brutale, e in una prima approssimazione che pecca per difetto (perché, come vedremo, la realtà è persino peggiore): ‘un modo per metterlo nel culo alla gente col suo consenso’».
E la provocazione va oltre quando Fini sceglie l’esempio dei Nuer, un popolo nilotico che vive nelle paludi del Sudan meridionale, per spiegare che si può vivere armonicamente senza che nessuno ci governi: «È impossibile vivere tra i Nuer e immaginare dei governanti che li governino. Il Nuer è un prodotto di un’educazione dura ed egalitaria, profondamente democratico e facilmente portato alla violenza».
L’autore sceglie il sarcasmo per evidenziare che ciò a cui apparentemente anela la “superiore civiltà occidentale”, e che è stato fonte di estenuante dibattito tra illuministi, liberali e marxisti – libertà ed uguaglianza, appunto – viene invece facilmente raggiunto dai Nuer, piccolo popolo che a queste agognate virtù unisce anche il primordiale istinto alla violenza.
Ma cos’è allora veramente questa democrazia? Per Fini si tratta di un grande imbroglio, basato su un’etimologia che richiama al governo del popolo, ma che invece nei fatti è il suo esatto contrario: «Scordiamoci che il popolo abbia mai governato alcunché, almeno da quando esiste la democrazia liberale. Se c’è qualcosa che fa sorgere nell’anima di un liberale un puro sentimento di orrore è il governo del popolo».
L’autore individua nella nascita degli Stati nazionali la progressiva diminuzione del “potere popolare”. Burocrazia, pluripartitismo, rappresentatività a vari gradi e livelli; tutti specchietti per le allodole che celavano e celano un potere meno manifesto, più occulto e sotterraneo, ma più vincolante ed alienante. E più nel tempo hanno voluto spiegarci l’essenza di questo termine così onnicomprensivo, più i cosiddetti pensatori illuminati si sono incartati in teorie cangianti e allo stesso tempo vuote: nemmeno determinare capisaldi univoci ed assoluti si è riuscito a fare con facilità. Fini sguazza nelle contraddizioni di filosofi, politologi e pensatori di varia dignità e titolo, tenendo sempre ben ferma l’idea dell’assoluta dissonanza tra teoria e realtà; e anche laddove ci si riconduce finalmente a punti cardine condivisi (perlopiù nei modelli anglosassoni), il suo “martello” trae ispirazione dalla forza di quello nietzscheano. Dove si dice che il voto è uguale per tutti ad esempio, Fini fa uso delle teorie elitiste (Pareto e Mosca) per dimostrarne la falsità e, con lo stesso metodo e l’ausilio di diverse fonti, smonta anche la presunta uguaglianza, il controllo sul controllo, il rifiuto della violenza e demagogie assortite.
Nell’ultima parte l’autore si sofferma invece sull’idea di “progresso”. Estranea, almeno per come oggi viene intesa, ai greci, ai latini e agli orientali, cominciata a circolare nel mondo giudaico-cristiano, e tradotta al nostro tempo nella pretesa-attesa d’una migliore condizione dell’uomo sulla terra. Tornando al mondo moderno e a tempi più recenti, scorgiamo echi della prassi hegeliana nel pensiero liberale; nel voler vedere la democrazia – e il progresso che ne è la costola madre – come fine e centro della storia. Anche la prassi liberale, comunque, a parere di Fini, nonostante la sua presunta struttura indistruttibile, è soggetta a caducità e finitezza; né più e né meno del marxismo e dei suoi sottoprodotti. E allora, come vive realmente oggi l’opulento Occidente democratico?
Male, molto male, per Fini – e non solo per lui, almeno questo è evidente –, perché «dominato da oligarchie arbitrarie, non rispettate, ma che detengono la forza reale, si è abituato a servire ogni prepotenza».
Il debole Occidente, pertanto, teme smisuratamente il confronto, soprattutto con le genti del “Sud del mondo”, perché più motivate, più pronte a rischiare avendo meno da perdere, più inclini a scorgere valori alti – lo “scontro di civiltà” con l’Islam ne è una prova.
Anche l’antica dicotomia destra-sinistra sembra cadere in un siffatto contesto, come si consumano lentamente le idee base che ne erano il cardine, lasciando il posto ad un variegato mondo liberal-democratico-liberista con estemporanei cenni al sociale, più che altro usato solo come lustrino per la forma. “Liberale” e “democratico” per un solo ed unico pensiero conformante:
«È questo il pensiero unico di cui si sente tanto parlare senza peraltro sapere bene, spesso, di cosa si tratti. I pochi che osano mettersi di traverso a questo pensiero sono bollati come inguaribili e ridicoli parassiti».
Constatato che anche il movimento “no global”, ora “new global”, è risultato essere un bluff, manovrato consapevolmente o meno da un braccio meno evidente del potere stesso, Fini intravede fuori dall’Occidente un interessante fenomeno di resistenza all’omologazione planetaria: «Il movimento talebano del mullah Omar (in foto) che proponeva, nell’èra della modernità democratica trionfante, avanzante e conquistante, una sorta di ‘Medioevo sostenibile’ (che è qualcosa di meno imbecille dello ‘Sviluppo sostenibile’ che, allo stato attuale, è già un impossibile ossimoro, un’illusione o, piuttosto, una volgare menzogna), cioè una società regolata sul piano del costume da leggi arcaiche… non del tutto aliena però del far proprie alcune limitate e mirate conquiste tecnologiche». In fondo, ci fa capire l’autore, pare essere stato proprio il mullah Omar l’unico vero No Global dei nostri tempi.
Fini, come suo stile, chiude il saggio con un’ulteriore provocazione profetica, ovvero asserendo che non serve abbattere il sistema, tanto esso crollerà da solo portando via con sé tutto, la disperazione dei popoli e l’egemonia dei potenti. Perchè questo è un mondo che sta implodendo, perchè come L’obeso di Giorgio Gaber è «l’Infinito di un Leopardi americano». Ma si chiede anche: «Ci sarà l’alba di una nuova Aurora?». Sognare non costa nulla, e poi ci sono sempre i Nuer.
Originariamente pubblicato su “Lankelot”, a firma di Léon.
È senza dubbio questo il quesito di partenza che Massimo Fini (in foto) ci invita a porre e a porci, come suo costume, in modo provocatorio e dissacrante, certo di scuotere la coscienza dei suoi lettori. Il saggio comincia parlandoci della democrazia universale e dei suoi amici; l’America per prima, naturalmente, ma anche un’Europa ossequiosa e uguale nei suoi sistemi, che siano liberali o social-democratici. Tra i grandi “amici della democrazia” cita il politologo americano Francis Fukuyama, che disse che il mondo e la storia erano finiti col crollo dell’impero sovietico, dato che la democrazia, avendo già distrutto i così detti “fascismi”, avrebbe regnato tranquilla e incontrastata. Non serve portarvi a monito l’odierna realtà per vedere quanto sia inesatta questa previsione; pertanto Fini lascia correre e osserva che, questa di Fukuyama, è l’aspirazione di chi, come Bush, ad esempio, vuol globalizzare la democrazia, facendone “dono” a tutti e a tutti i costi.
Fini poi vira altrove, a sinistra ad esempio, per dimostrare che questa convinzione generale (che la democrazia sia il massimo della vita), è assolutamente trasversale; Gianni Vattimo, autorevolissimo filosofo “catto-sinistrorso”, sulla “Repubblica”, in effetti, così si esprime: «Il male è ciò che è contrario alla democrazia». Poi, in una nota, e non per par condicio, irride il suo omonimo Presidente di Alleanza Nazionale, ex missino e post-fascista, che suggestionato dal clima di adorazione per la democrazia, definì il fascismo «il Male Assoluto». Ma ce ne è anche per la Rivoluzione industriale, che a detta di Nietzsche aveva creato gli “schiavi salariati”; l’Onu, che accoglie solo chi è positivo al test di democrazia; le Nazioni Unite e tutti gli obsoleti organismi che perpetuano e si perpetuano in questo sistema. Fini, successivamente, sposta l’attenzione sui nemici della democrazia. Qui a diverso titolo vivono i vari Hitler e Mussolini, molto meno i bolscevichi, che comunque la parola democrazia la volevano idealmente mettere vicino alla parola “socialista”; tra le pieghe anche Alexis de Tocqueville (in foto), un liberale che criticò fortemente il sistema democratico americano. Ma perché Fini ce l’ha tanto con la democrazia così come oggi viene spacciata e concepita? Facciamo uso delle sue parole: «La democrazia rappresentativa, liberale, borghese – insomma, la ‘democrazia reale’ come la conosciamo e la viviamo, e che è attualmente egemone, non è la democrazia. È una finzione. Una parodia. Un imbroglio. Una frode. Una truffa. Noi la definiamo in modo brutale, e in una prima approssimazione che pecca per difetto (perché, come vedremo, la realtà è persino peggiore): ‘un modo per metterlo nel culo alla gente col suo consenso’».
E la provocazione va oltre quando Fini sceglie l’esempio dei Nuer, un popolo nilotico che vive nelle paludi del Sudan meridionale, per spiegare che si può vivere armonicamente senza che nessuno ci governi: «È impossibile vivere tra i Nuer e immaginare dei governanti che li governino. Il Nuer è un prodotto di un’educazione dura ed egalitaria, profondamente democratico e facilmente portato alla violenza».
L’autore sceglie il sarcasmo per evidenziare che ciò a cui apparentemente anela la “superiore civiltà occidentale”, e che è stato fonte di estenuante dibattito tra illuministi, liberali e marxisti – libertà ed uguaglianza, appunto – viene invece facilmente raggiunto dai Nuer, piccolo popolo che a queste agognate virtù unisce anche il primordiale istinto alla violenza.
Ma cos’è allora veramente questa democrazia? Per Fini si tratta di un grande imbroglio, basato su un’etimologia che richiama al governo del popolo, ma che invece nei fatti è il suo esatto contrario: «Scordiamoci che il popolo abbia mai governato alcunché, almeno da quando esiste la democrazia liberale. Se c’è qualcosa che fa sorgere nell’anima di un liberale un puro sentimento di orrore è il governo del popolo».
L’autore individua nella nascita degli Stati nazionali la progressiva diminuzione del “potere popolare”. Burocrazia, pluripartitismo, rappresentatività a vari gradi e livelli; tutti specchietti per le allodole che celavano e celano un potere meno manifesto, più occulto e sotterraneo, ma più vincolante ed alienante. E più nel tempo hanno voluto spiegarci l’essenza di questo termine così onnicomprensivo, più i cosiddetti pensatori illuminati si sono incartati in teorie cangianti e allo stesso tempo vuote: nemmeno determinare capisaldi univoci ed assoluti si è riuscito a fare con facilità. Fini sguazza nelle contraddizioni di filosofi, politologi e pensatori di varia dignità e titolo, tenendo sempre ben ferma l’idea dell’assoluta dissonanza tra teoria e realtà; e anche laddove ci si riconduce finalmente a punti cardine condivisi (perlopiù nei modelli anglosassoni), il suo “martello” trae ispirazione dalla forza di quello nietzscheano. Dove si dice che il voto è uguale per tutti ad esempio, Fini fa uso delle teorie elitiste (Pareto e Mosca) per dimostrarne la falsità e, con lo stesso metodo e l’ausilio di diverse fonti, smonta anche la presunta uguaglianza, il controllo sul controllo, il rifiuto della violenza e demagogie assortite.
Nell’ultima parte l’autore si sofferma invece sull’idea di “progresso”. Estranea, almeno per come oggi viene intesa, ai greci, ai latini e agli orientali, cominciata a circolare nel mondo giudaico-cristiano, e tradotta al nostro tempo nella pretesa-attesa d’una migliore condizione dell’uomo sulla terra. Tornando al mondo moderno e a tempi più recenti, scorgiamo echi della prassi hegeliana nel pensiero liberale; nel voler vedere la democrazia – e il progresso che ne è la costola madre – come fine e centro della storia. Anche la prassi liberale, comunque, a parere di Fini, nonostante la sua presunta struttura indistruttibile, è soggetta a caducità e finitezza; né più e né meno del marxismo e dei suoi sottoprodotti. E allora, come vive realmente oggi l’opulento Occidente democratico?
Male, molto male, per Fini – e non solo per lui, almeno questo è evidente –, perché «dominato da oligarchie arbitrarie, non rispettate, ma che detengono la forza reale, si è abituato a servire ogni prepotenza».
Il debole Occidente, pertanto, teme smisuratamente il confronto, soprattutto con le genti del “Sud del mondo”, perché più motivate, più pronte a rischiare avendo meno da perdere, più inclini a scorgere valori alti – lo “scontro di civiltà” con l’Islam ne è una prova.
Anche l’antica dicotomia destra-sinistra sembra cadere in un siffatto contesto, come si consumano lentamente le idee base che ne erano il cardine, lasciando il posto ad un variegato mondo liberal-democratico-liberista con estemporanei cenni al sociale, più che altro usato solo come lustrino per la forma. “Liberale” e “democratico” per un solo ed unico pensiero conformante:
«È questo il pensiero unico di cui si sente tanto parlare senza peraltro sapere bene, spesso, di cosa si tratti. I pochi che osano mettersi di traverso a questo pensiero sono bollati come inguaribili e ridicoli parassiti».
Constatato che anche il movimento “no global”, ora “new global”, è risultato essere un bluff, manovrato consapevolmente o meno da un braccio meno evidente del potere stesso, Fini intravede fuori dall’Occidente un interessante fenomeno di resistenza all’omologazione planetaria: «Il movimento talebano del mullah Omar (in foto) che proponeva, nell’èra della modernità democratica trionfante, avanzante e conquistante, una sorta di ‘Medioevo sostenibile’ (che è qualcosa di meno imbecille dello ‘Sviluppo sostenibile’ che, allo stato attuale, è già un impossibile ossimoro, un’illusione o, piuttosto, una volgare menzogna), cioè una società regolata sul piano del costume da leggi arcaiche… non del tutto aliena però del far proprie alcune limitate e mirate conquiste tecnologiche». In fondo, ci fa capire l’autore, pare essere stato proprio il mullah Omar l’unico vero No Global dei nostri tempi.
Fini, come suo stile, chiude il saggio con un’ulteriore provocazione profetica, ovvero asserendo che non serve abbattere il sistema, tanto esso crollerà da solo portando via con sé tutto, la disperazione dei popoli e l’egemonia dei potenti. Perchè questo è un mondo che sta implodendo, perchè come L’obeso di Giorgio Gaber è «l’Infinito di un Leopardi americano». Ma si chiede anche: «Ci sarà l’alba di una nuova Aurora?». Sognare non costa nulla, e poi ci sono sempre i Nuer.
Originariamente pubblicato su “Lankelot”, a firma di Léon.
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