martedì 3 marzo 2009

Le Verghe del Fascio: Berto Ricci “Fascista eretico”


«La Cultura Fascista, che recupera valori dell’intero novecento italiano, non è di destra. Il movimento della “Voce”, antiliberale nel midollo e nell’espressionismo polemico, rivive nel moto de LUniversale” di Berto Ricci»

(Benito Mussolini)

«Berto Ricci ha reso fiera la nostra Nazione, e ogni italiano ne è orgoglioso». Così si espresse Giampiero Mughini, nella celebre conferenza con Valerio Morucci tenuta a CasaPound.
Ma siamo davvero sicuri che sia così? Nella stanca e vuota Italietta dei nostri giorni, quanti conoscono la lezione dell’intellettuale fiorentino?
La verità è che il suo anticonformismo dirompente, la sua prosa violenta e il suo spregiudicato antiborghesismo risulterebbero indigesti alle plebi americanizzate dei nostri giorni, più a loro agio tra grilli parlanti e grandi fratelli.
Ciò che è peggio è che Berto fu Fascista, non per calcolo politico o comodità (come gli illustri Montanelli, Bocca & co.), ma aderendo intimamente ai princìpi della Rivoluzione e cercando di incarnarli in ogni gesto ed ogni azione. La sua vita fu un sofferto e meditato percorso volto alla realizzazione dell’ “uomo nuovo”: spartano, eroico, giovane, con tutte le difficoltà e le contraddizioni del caso.

Ricci (1905 – 1941) si avvicinò relativamente tardi al Fascismo, iniziando a collaborare al “Selvaggio” di Mino Maccari nel 1927, e dimostrando sin da subito di trovarsi a suo agio nei fogli meno conformisti del Regime. Forte di un passato addirittura anarchico, “assaltò” la mentalità borghese e l’ottuso clericalismo che frenavano le istanze sociali e rinnovatrici dell’azione mussoliniana, attirandosi le ire del conservatorismo vecchio ed inutile che ancora affollava l’Italia. Quasi galvanizzato dalla polemica, continuò febbrilmente la sua attività culturale fino a fondare nel 1931 “L’Universale” («scritto col fuoco, alla carducciana, e non con lo stile leopardevole»), rivista che raccolse le intelligenze più giovani e spregiudicate della “sinistra fascista”.

Non perse tempo ad innescare dibattiti con i suoi articoli al vetriolo, che mettevano a nudo la meschinità di quanti sfruttavano il Regime per scopi personali, senza capirne l’essenza: «L’Italia è stata liberata dai bolscevichi, ma bisognerà liberarla dai commendatori, razza più dannata; dai professori corrotti ed insulsi, e da tutta la maledetta gente perbenino».

In “Errori del nazionalismo italico” sfidò ampi settori della cultura del tempo, legati ad una visione ottusa, limitata e borghese della Patria, adulatrice della propria terra e del proprio capo a prescindere. Al suo posto Ricci propugnò la riscoperta dell’Imperialismo, inteso come spinta ideale che riesce a conquistare i popoli in virtù della suo primato culturale, sulla scia del Dante del Monarchia e del Mazzini del Concilio.
Una vera e propria sfida di Civiltà, che contrapponeva il Fascismo alle ideologie materialiste liberali e marxiste, due facce della decadenza: «Cadente Mosca non perché sovvertitrice, ma perché asservita alla causa della materia e del capitale […] congiurata con l’antirivoluzione poliglotta ai danni dell’Italia novatrice e proletaria – resta come polo dei popoli Roma e soltanto Roma».

La grandezza del Fascismo stava nel rifiutare la concezione dell’homo oeconomicus («L’intelligenza Fascista mira al totale dell’Uomo, non ha punti di contatto con l’uomo economico»), riconoscendo e preservando tutte le tradizioni e le spinte verso il Sacro che sono parte fondamentale dei popoli.
La tensione spirituale fu una costante del pensiero ricciano, potendo individuare nei suoi scritti eroismo nietzscheano, vitalismo bergsoniano e richiami pagani accanto ad un cattolicesimo “pauperistico e guerriero”, sull’esempio dei Templari.

Insieme a tutto questo vi era una spiccata attenzione per l’aspetto sociale: Ricci si batté con forza per far “accorciare le distanze” tra classi sociali, per la scuola aperta a tutti, per le Corporazioni come luogo di effettiva e feconda partecipazione dei lavoratori, oltre che di selezione delle élites politiche. Il suo impegno in questo senso gli attirò addirittura accuse di “bolscevismo” da parte di Farinacci, quando negò che la proprietà privata fosse un principio inviolabile del Fascismo. Incurante delle critiche continuò a combattere conservatori, borghesi e profittatori: «la mentalità d’arricchimento va combattuta e limitata, pena il restar fermi all’idolo antieroico e antifascista della ricchezza vertice di valori […] occorre che la ricchezza privata valga poco, serva a poco; che con essa si ottenga poco».
A livello mondiale, simbolo di questa mentalità erano le plutocrazie inglese ed americana. Ricci si oppose fermamente alla penetrazione dei loro costumi in Italia, arrivando a scagliare idealmente Roma “la Città dell’Anima” contro Chicago “la città del maiale”. La risposta al parlamentarismo capitalista stava nella già accennata Corporazione, fulcro di una riforma che vede l’economia subordinata ad un’etica superiore sintetizzata dallo Stato. «Il problema non è o è solo secondariamente abbattere il bolscevismo, ma in primissima linea quello di abbattere un mondo, una struttura economica che ha reso il bolscevismo possibile ed inevitabile».

Dopo aver suscitato interesse in Julius Evola, Giuseppe Bottai, Emilio Settimelli, Benito Mussolini (che incontrò nel 1934 a Palazzo Venezia) ed essersi messo in contrasto addirittura con Giovanni Gentile (pubblicò un “Manifesto Realista” in contrapposizione all’idealismo e alla moderazione del filosofo siciliano), vide la sua rivista chiudere agli albori della Guerra d’Etiopia. Fu una decisione profondamente sbagliata del Regime, anche se forse “L’Universale” sarebbe cessato comunque, visto che quasi tutti i suoi componenti partirono per il fronte, Ricci in primis. «Se resto a casa sono un uomo inutile: non son più buono a scrivere un rigo o a dire una parola. E come me ce n’è tanti. Almeno ai giornalisti dovrebbe essere concesso di combattere» scrisse chiedendo di essere assegnato alla prima linea. Molti gerarchi, invece, andarono in caccia di gloria a buon mercato, facendo solo finta di combattere. Solo Farinacci si ferì… mentre pescava!

Al suo ritorno Ricci collaborò con molte riviste di primo piano, come “Critica Fascista” di Bottai e “Il Popolo d’Italia” di Mussolini, oltre ovviamente al libro Processo alla Borghesia, sintesi della battaglia fascista contro la mentalità “passatista” che Berto conosceva bene.
Il fecondo contributo culturale del “fascista eretico”, simbolo di quella gioventù entusiasta ed insofferente che avrebbe costituito la futura classe dirigente, fu interrotto bruscamente allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

L’intellettuale toscano si gettò con coraggio nel fronte africano, trovando la morte per mano inglese il 2 Febbraio 1941 a Bir Gandula. Il conflitto si concluse tragicamente, ed i sogni di chi, come Ricci, aveva creduto nel riscatto del popolo italiano finirono nel sangue.
Fortunatamente il suo lascito non è andato completamente perduto, ed ultimamente il suo pensiero è stato accostato addirittura ad Antonio Gramsci (per la concezione di politica totalitaria, l’anti-accademismo e la visione realista e populista) e ad Ernst Jünger (nell’idea di “cavalcare la tigre” tecnologica e sul piano del lavoratore inteso come realtà spirituale).

Ma è ancora poco, troppo poco. Il suo impegno civile e rivoluzionario, la sua coerenza, la sua vis polemica, il suo inesauribile contributo culturale e il suo eroismo sono stati sostanzialmente accantonati, e Dio sa quanto ne avremmo bisogno.


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4 commenti:

  1. Un articolo stupendo!!! Grande Carlacci...

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  2. Siete grandi, bravi c'è bisogno di conoscere la nostra cultura,liberarla dai miti e dalle catene di stupidi avversari e indegni "camerati". Vi seguo volentieri e posto ogni tanto i vostri articoli sul mio blog:wwwalessio-nello.blogspot.com

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  3. Complimenti, molto bello.
    Chi l'ha scritto?

    Cercatemi.

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  4. Ave a tutti e grazie per i complimenti!
    per Massimo Carletti, il post l'ha scritto Francesco

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