«D’una democrazia romana si parla, è vero, da antichi e da moderni. Ma il regime costituzionale romano in quei secoli dell’età repubblicana per cui ne abbiamo adeguata conoscenza, cioè dal III sec. a.C. in poi, è di fatto una oligarchia»
(Gaetano De Sanctis)
Nell’Occidente del “pensiero unico” democratico, non pochi hanno tentato di ricondurre l’esperienza repubblicana romana al concetto meta-storico di Democrazia. Il dibattito è iniziato, invero, da lungo tempo ma, proprio ultimamente, è tornato di fervente attualità. Nonostante numerosi studi, conferenze e quant’altro, la risposta è stata tuttavia impietosa: la Repubblica romana non fu mai una democrazia.
Oltre al De Sanctis, il quale nel 1947 negò categoricamente che Roma fosse una democrazia, l’illustre storico Moses I. Finley (in foto) scrisse esplicitamente ne La democrazia degli antichi e dei moderni (1973): «Anche i Romani discussero di democrazia, ma ciò che avevano da dire è di ben scarso interesse. Essa era una derivazione nel peggior senso, una derivazione solamente libresca, giacché Roma non fu mai una democrazia – in una qualsiasi definizione accettabile del termine – sebbene istituzioni popolari fossero incorporate nel sistema di governo oligarchico della Repubblica romana».
Diverso il destino della questione tra buona parte della romanistica, per forza di cose più attenta alla natura formale della costituzione romana, a partire da A. Guarino, in aperta polemica col De Sanctis, per arrivare a F. De Martino e G. Crifò, i quali sostenevano e/o sostengono tuttora vi fosse una forte e decisiva componente democratica all’interno della struttura politica di Roma.
Per meglio comprendere la diàtriba sulla natura della Repubblica romana sarà allora necessario risalire alla miglior fonte antica sulla tematica (nonché testimonianza oculare), ossia l’opera del grande storico greco Polibio.
Polibio di Megalopoli (200 ca. – 118 a.C.), uomo di raffinata cultura e di notevole spessore storiografico (il suo modello era il grande Tucidide), a séguito della Terza Guerra Macedonica (171 – 168) fu deportato a Roma, assieme ad altri 1000 membri della Lega Achea, in quanto sospettato di appartenere all’ala filo-macedone della Lega. Nella capitale strinse amicizia con Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine, a cui si legò per comuni interessi culturali. A Roma e – per di più – nel rinomato “Circolo degli Scipioni”, Polibio ebbe modo di conoscere il sistema politico romano da un osservatorio privilegiato. Dal suo lungo soggiorno nell’Urbe nacque la sua fondamentale opera storica: le Storie. Il valore storiograficamente rivoluzionario del suo lavoro fu l’aver compreso che il destino del “mondo” (che per lui coincideva con l’area mediterranea) fosse ormai strettamente legato alle sorti di Roma che, in soli 53 anni (dalla Seconda Guerra Punica alla vittoria di Pidna, 220 – 168), aveva eretto un impero “universale” (I 1,5; 2,7; 3,4; III 2,6).
Polibio è infatti lo storico dell’imperialismo e della gloria del popolo romano. Egli ravvisa – con una profondità d’analisi che potremmo definire “moderna” – nella forza della sua costituzione il motivo della grandezza di Roma. A questa Polibio dedica l’intero VI libro della sua opera (in part. i capp. 11-18), inserendo questo fondamentale excursus dopo la trattazione della disastrosa disfatta di Canne (216), giacché la solidità di una costituzione si valuta nei più gravi momenti di difficoltà.
Partendo dalla teoria dell’anakýklosis (ciclo “che ritorna”) dei sei regimi politici (tre positivi e tre degenerati), ossia Regno (basilèia) > Tirannide (monarchìa) > Aristocrazia > Oligarchia > Democrazia > Oclocrazia > Regno ecc., Polibio osserva che la costituzione romana sfugge a questo processo di nascita/fioritura/degenerazione grazie alla sua precipua natura: Roma non è infatti né monarchica, né aristocratica, né democratica, bensì monarchica (consoli), aristocratica (senato) e democratica (comizi popolari) al tempo stesso (VI 12-14). Il concetto di costituzione “mista” è moderno e anacronistico, ed appare dunque più lecito parlare di “compresenza” dei tre regimi politici, in stretto rapporto dialettico e in un articolato sistema di controllo e bilanciamento (VI 15-17), checks and balances – potremmo dire – rifacendoci alla tradizione britannica.
Il popolo di Roma, in effetti, detiene poteri di estremo rilievo e importanza, di cui rammentiamo i fondamentali:
- Assegnazione di onori e punizioni. Fattore decisivo in una comunità, poiché – come Polibio fa giustamente notare – «[onori e punizioni] sono i soli mezzi con cui si tengono insieme signorie (dynastèiai), comunità politiche e, insomma, ogni forma di vita umana. […] Come sarebbe possibile, infatti, se i buoni fossero stimati allo stesso modo dei cattivi?»;
- Emissione delle sentenze di morte (con però la concessione, talvolta, dello ius exsilii);
- Assegnazione delle cariche;
- Verifica delle leggi, con la possibilità da parte dei Tribuni della Plebe di opporre il proprio veto (ius intercessionis);
- Decisione della pace o della guerra;
- Ratifica o rigetto di alleanze, accordi e trattati.
Ora, tuttavia, è necessario porsi la stessa domanda che ci eravamo posti parlando della democrazia ateniese: chi è il “popolo” (per lo meno quello a cui si riferisce Polibio, nel II secolo a.C.)? La risposta è la stessa: i cittadini (cives). Ma chi sono i cives Romani? Ebbene, sono cittadini coloro che partecipano alle decisioni e alle elezioni dei comizi (sia centuriati che tributi). Di conseguenza dobbiamo escludere sia i sudditi delle province che gli alleati italici, e dovremo includere invece una buona parte dell’Italia centrale. Ma, giacché per partecipare ai lavori dei comizi era necessaria la presenza fisica al Foro, si capisce che solo gli abitanti di Roma e delle immediate vicinanze avevano la reale possibilità di incidere sulla vita politica dell’Urbe (Roma mantenne di fatti la struttura politica e giuridica di una città-stato, pur non essendolo più da tempo).
Dobbiamo poi notare altri due elementi essenziali: 1) Nei comizi il voto non aveva valore individuale bensì collettivo (per centuria o per tribù), e le centurie (ripartite in base al censo) erano per la maggior parte costituite dalla prima classe censitaria e da quella dei “cavalieri” (equites). Sostanzialmente, su un totale di 193 centurie, qualora prima classe (80 centurie) e classe dei cavalieri (18) si fossero unite, il quorum e la maggioranza sarebbero stati assicurati; 2) Gli strumenti di propaganda politica a Roma, ossia l’ambitus, le contiones e l’istituzione della clientela – i quali meriterebbero un articolo a sé – permettevano alla nobilitas senatoria di influire in maniera più che decisiva all’interno dei comizi.
Esemplare fu, in proposito, la votazione per la guerra da muovere a Filippo V di Macedonia nel 200, fatto che ci è tramandato da Tito Livio (XXXI 6-8): il popolo, stremato dalla lunga e sanguinosa Guerra Annibalica appena conclusa, disapprovò la dichiarazione di guerra; fu allora che, e séguito dell’eloquente e suadente orazione del console P. Sulpicio Galba, il popolo fu riconvocato e si decise, infine, per la guerra. La mossa si rivelò vincente: le possenti e rinvigorite armi romane sconfissero Filippo, scacciando così la minaccia di un’invasione e preparando la strada alla futura conquista della Grecia.
La Repubblica dei Romani si presenta quindi a noi, sotto l’aspetto più concreto e storico (e non già giuridico e formale), calcando appena la mano, come un’aristocrazia. Tale constatazione non deve però lasciare adito ad un improprio svilimento del ruolo del popolo, che poteri decisionali, seppur limitati, ne ebbe. Non a caso lo Stato romano trova la sua massima sintesi, che ne esprime la sovranità, nella celebre formula Senatus Populusque Romanus (il Senato e il Popolo romano).
La costituzione della Roma repubblicana, tuttavia, è un’aristocrazia. A proposito è paradigmatica l’affermazione di Polibio che, confrontando Roma e Cartagine (le nazioni che si contesero la supremazia sul Mediterraneo) a livello costituzionale, e ravvisando che i due sistemi politici erano simili (ossia “misti”, volendo semplificare), sentenziava che Roma vinse poiché al tempo vi prevaleva la componente aristocratica, laddove a Cartagine spiccava la democratica (VI 51): «Poiché dunque presso gli uni [i Cartaginesi] decideva il popolo, e presso gli altri [i Romani] i migliori, le decisioni dei Romani sulle questioni politiche erano più valide; ed è per questo che, pur essendo stati completamente sconfitti [a Canne], grazie alla validità delle loro decisioni riuscirono infine a prevalere nella guerra contro i Cartaginesi».
Era quindi il Senato la vera e silenziosa forza di Roma, era l’autorità e il governo dei migliori (àristoi). Era lo stesso Senato che uno sbalordito ambasciatore di Pirro, interrogato dal suo sovrano, definì una «assemblea di re».
Oltre al De Sanctis, il quale nel 1947 negò categoricamente che Roma fosse una democrazia, l’illustre storico Moses I. Finley (in foto) scrisse esplicitamente ne La democrazia degli antichi e dei moderni (1973): «Anche i Romani discussero di democrazia, ma ciò che avevano da dire è di ben scarso interesse. Essa era una derivazione nel peggior senso, una derivazione solamente libresca, giacché Roma non fu mai una democrazia – in una qualsiasi definizione accettabile del termine – sebbene istituzioni popolari fossero incorporate nel sistema di governo oligarchico della Repubblica romana».
Diverso il destino della questione tra buona parte della romanistica, per forza di cose più attenta alla natura formale della costituzione romana, a partire da A. Guarino, in aperta polemica col De Sanctis, per arrivare a F. De Martino e G. Crifò, i quali sostenevano e/o sostengono tuttora vi fosse una forte e decisiva componente democratica all’interno della struttura politica di Roma.
Per meglio comprendere la diàtriba sulla natura della Repubblica romana sarà allora necessario risalire alla miglior fonte antica sulla tematica (nonché testimonianza oculare), ossia l’opera del grande storico greco Polibio.
Polibio di Megalopoli (200 ca. – 118 a.C.), uomo di raffinata cultura e di notevole spessore storiografico (il suo modello era il grande Tucidide), a séguito della Terza Guerra Macedonica (171 – 168) fu deportato a Roma, assieme ad altri 1000 membri della Lega Achea, in quanto sospettato di appartenere all’ala filo-macedone della Lega. Nella capitale strinse amicizia con Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine, a cui si legò per comuni interessi culturali. A Roma e – per di più – nel rinomato “Circolo degli Scipioni”, Polibio ebbe modo di conoscere il sistema politico romano da un osservatorio privilegiato. Dal suo lungo soggiorno nell’Urbe nacque la sua fondamentale opera storica: le Storie. Il valore storiograficamente rivoluzionario del suo lavoro fu l’aver compreso che il destino del “mondo” (che per lui coincideva con l’area mediterranea) fosse ormai strettamente legato alle sorti di Roma che, in soli 53 anni (dalla Seconda Guerra Punica alla vittoria di Pidna, 220 – 168), aveva eretto un impero “universale” (I 1,5; 2,7; 3,4; III 2,6).
Polibio è infatti lo storico dell’imperialismo e della gloria del popolo romano. Egli ravvisa – con una profondità d’analisi che potremmo definire “moderna” – nella forza della sua costituzione il motivo della grandezza di Roma. A questa Polibio dedica l’intero VI libro della sua opera (in part. i capp. 11-18), inserendo questo fondamentale excursus dopo la trattazione della disastrosa disfatta di Canne (216), giacché la solidità di una costituzione si valuta nei più gravi momenti di difficoltà.
Partendo dalla teoria dell’anakýklosis (ciclo “che ritorna”) dei sei regimi politici (tre positivi e tre degenerati), ossia Regno (basilèia) > Tirannide (monarchìa) > Aristocrazia > Oligarchia > Democrazia > Oclocrazia > Regno ecc., Polibio osserva che la costituzione romana sfugge a questo processo di nascita/fioritura/degenerazione grazie alla sua precipua natura: Roma non è infatti né monarchica, né aristocratica, né democratica, bensì monarchica (consoli), aristocratica (senato) e democratica (comizi popolari) al tempo stesso (VI 12-14). Il concetto di costituzione “mista” è moderno e anacronistico, ed appare dunque più lecito parlare di “compresenza” dei tre regimi politici, in stretto rapporto dialettico e in un articolato sistema di controllo e bilanciamento (VI 15-17), checks and balances – potremmo dire – rifacendoci alla tradizione britannica.
Il popolo di Roma, in effetti, detiene poteri di estremo rilievo e importanza, di cui rammentiamo i fondamentali:
- Assegnazione di onori e punizioni. Fattore decisivo in una comunità, poiché – come Polibio fa giustamente notare – «[onori e punizioni] sono i soli mezzi con cui si tengono insieme signorie (dynastèiai), comunità politiche e, insomma, ogni forma di vita umana. […] Come sarebbe possibile, infatti, se i buoni fossero stimati allo stesso modo dei cattivi?»;
- Emissione delle sentenze di morte (con però la concessione, talvolta, dello ius exsilii);
- Assegnazione delle cariche;
- Verifica delle leggi, con la possibilità da parte dei Tribuni della Plebe di opporre il proprio veto (ius intercessionis);
- Decisione della pace o della guerra;
- Ratifica o rigetto di alleanze, accordi e trattati.
Ora, tuttavia, è necessario porsi la stessa domanda che ci eravamo posti parlando della democrazia ateniese: chi è il “popolo” (per lo meno quello a cui si riferisce Polibio, nel II secolo a.C.)? La risposta è la stessa: i cittadini (cives). Ma chi sono i cives Romani? Ebbene, sono cittadini coloro che partecipano alle decisioni e alle elezioni dei comizi (sia centuriati che tributi). Di conseguenza dobbiamo escludere sia i sudditi delle province che gli alleati italici, e dovremo includere invece una buona parte dell’Italia centrale. Ma, giacché per partecipare ai lavori dei comizi era necessaria la presenza fisica al Foro, si capisce che solo gli abitanti di Roma e delle immediate vicinanze avevano la reale possibilità di incidere sulla vita politica dell’Urbe (Roma mantenne di fatti la struttura politica e giuridica di una città-stato, pur non essendolo più da tempo).
Dobbiamo poi notare altri due elementi essenziali: 1) Nei comizi il voto non aveva valore individuale bensì collettivo (per centuria o per tribù), e le centurie (ripartite in base al censo) erano per la maggior parte costituite dalla prima classe censitaria e da quella dei “cavalieri” (equites). Sostanzialmente, su un totale di 193 centurie, qualora prima classe (80 centurie) e classe dei cavalieri (18) si fossero unite, il quorum e la maggioranza sarebbero stati assicurati; 2) Gli strumenti di propaganda politica a Roma, ossia l’ambitus, le contiones e l’istituzione della clientela – i quali meriterebbero un articolo a sé – permettevano alla nobilitas senatoria di influire in maniera più che decisiva all’interno dei comizi.
Esemplare fu, in proposito, la votazione per la guerra da muovere a Filippo V di Macedonia nel 200, fatto che ci è tramandato da Tito Livio (XXXI 6-8): il popolo, stremato dalla lunga e sanguinosa Guerra Annibalica appena conclusa, disapprovò la dichiarazione di guerra; fu allora che, e séguito dell’eloquente e suadente orazione del console P. Sulpicio Galba, il popolo fu riconvocato e si decise, infine, per la guerra. La mossa si rivelò vincente: le possenti e rinvigorite armi romane sconfissero Filippo, scacciando così la minaccia di un’invasione e preparando la strada alla futura conquista della Grecia.
La Repubblica dei Romani si presenta quindi a noi, sotto l’aspetto più concreto e storico (e non già giuridico e formale), calcando appena la mano, come un’aristocrazia. Tale constatazione non deve però lasciare adito ad un improprio svilimento del ruolo del popolo, che poteri decisionali, seppur limitati, ne ebbe. Non a caso lo Stato romano trova la sua massima sintesi, che ne esprime la sovranità, nella celebre formula Senatus Populusque Romanus (il Senato e il Popolo romano).
La costituzione della Roma repubblicana, tuttavia, è un’aristocrazia. A proposito è paradigmatica l’affermazione di Polibio che, confrontando Roma e Cartagine (le nazioni che si contesero la supremazia sul Mediterraneo) a livello costituzionale, e ravvisando che i due sistemi politici erano simili (ossia “misti”, volendo semplificare), sentenziava che Roma vinse poiché al tempo vi prevaleva la componente aristocratica, laddove a Cartagine spiccava la democratica (VI 51): «Poiché dunque presso gli uni [i Cartaginesi] decideva il popolo, e presso gli altri [i Romani] i migliori, le decisioni dei Romani sulle questioni politiche erano più valide; ed è per questo che, pur essendo stati completamente sconfitti [a Canne], grazie alla validità delle loro decisioni riuscirono infine a prevalere nella guerra contro i Cartaginesi».
Era quindi il Senato la vera e silenziosa forza di Roma, era l’autorità e il governo dei migliori (àristoi). Era lo stesso Senato che uno sbalordito ambasciatore di Pirro, interrogato dal suo sovrano, definì una «assemblea di re».
La storia ha però condannato i migliori e la loro degenerazione...
RispondiEliminaD.
Quindi, se i migliori sono stati eliminati (sulla scia della "Ausrottung der Besten" di Seeck), tanto vale tenerci i peggiori..........
RispondiEliminaProprio perché i migliori non sono stati più i migliori, ora stiamo dove stiamo.
RispondiEliminase per combattere i peggiori si propugna qualche concetto moderno è meglio tenersi i peggiori per non arrivare,scrivo così, ai più peggiori.
E' chiaro che ribellione è funzionale ad un'oppressione più grande, fascismo incluso.
D.
Quindi tanto vale tenerci i peggiori, per non avere i "più peggiori"... bello... è con questo spirito che si cambia il mondo... in peggio (si intende)!
RispondiEliminaIl mondo va dove deve.
RispondiEliminaOra come ora, il miglior contributo per evitare la dissoluzione è avere un collegamento Tradizionale, oppure uccidersi.
Il fascismo, dati alla mano, è un frutto della sovversione, e non ha niente di Tradizionale.
Saluti
D.
Il Fascismo non è frutto della sovversione. Fu una rivoluzione, ma non sovversiva, bensì restauratrice. Questi DATI sono tra l'altro noti un po' a tutti, dal qualunquista più radicale al mondo scientifico e accademico.
RispondiEliminaPoi - francamente - a me 'sta fantomatica Tradizione (religiosamente con la "T" maiuscola) non piace proprio, soprattutto perché non si capisce bene che vuol dire. Se ti rifai a Evola e a tutta la metafisica delle torri d'avorio, non posso che trasalire. Ho letto il libro di Evola "Il Fascismo visto da Destra", credo uno dei più assurdi che abbia mai scritto: criticava tutte le riforme sociali del Regime, richiamandosi alla "Tradazione" che il Fascismo avrebbe - a suo dire - PARZIALMENTE trascurato. Un delirio di onnipotenza...! Insomma i Superiori dovrebbero essere riconosciuti tali, senza l'onere della prova, dalle becere masse illuminate dal loro splendore. Oddio, se è a questo che ti rifai, allora sì che il Fascismo fu sovversivo! Fu la sovversione di tutto il passatismo e di tutte le logiche liberali e comuniste, un tripudio dionisiaco di Giovinezza, Arditismo, Allegria ed Eroismo. Ma fu anche il recupero del mito di Roma, della tradizione romana, della Terza Roma, di Dante, Machiavelli, Foscolo, Mazzini, Carducci ecc. Fu Tradizione (vera!) di un'eredità gloriosa e, al contempo, un ardito slancio verso il futuro e una nuova Europa.
Proprio nel suo essere "chiesa di tutte le eresie" il Fascismo fu genuinamente Romano, e quindi veramente tradizionale. Il resto - per me - è chiacchiera delirante. A meno che non ci si voglia rifare alla Tradizione - cito Evola - "di talune stirpi terrestri": cioè qualcosa che non esiste e forse non è mai esistito...
Non mi rifaccio ad Evola, come non è necessario rifarsi ad alcuno per determinare cosa sia la Tradizione.
RispondiEliminaEssa è l'armonia tra gli opposti, è l'universale adattato.
Non esclude nulla.Chi esclude, non è Tradizionale.Dire cosa sia la Tradizione oggi rimane comunque difficilissimo.Pochi sono coloro che hanno un collegamento tradizionale, rarissimi coloro che possono dirsi uomini Tradizionali
Ad ogni modo vedere dietro al fascismo la romanità è sentimentalismo.Ciò che è morto non rinasce.
Inoltre la romanità, in sé, è stata un esempio di Civiltà come tante altre anche di dissoluzione, come ogni epoca storica.
Si dovrebbe avere l'accortezza di discriminare su ciò di positivo e negativo fu la repubblica di Roma e e l'impero romano.
A mio guardare, il fascimo non può che essere sovversivo, cioé un socialismo populistico, per i seguenti motivi:
-proprietà pubblica e centralizzazione
-coercizione violenta
-omologazione forzosa
-interventismo statale
-demagogia
Quel che chiami passatismo fu la precedente fase sovversiva che poi maturò sfociando nelle nuove sue diramazioni...ad ogni modo ci vuole del coraggio a decretare come non comunista e non liberista il fascismo:
-nella misura in cui riconosce lo stato è comunista
-nella misura in cui agevola alcuni privati rispetto ad altri è liberista
il fascismo è un passo parodistico di tutto ciò che è la Tradizione.
saluti
D.
Appunto. La Tradizione di cui parli tu non è esistita, non esiste e non esisterà mai. è il rifugio immaginario dorato di chi, astraendosi dalla concreta e dura realtà, fugge in astratte costruzioni mentali.
RispondiEliminaRoma decadde perché visse nella realtà e nella Storia, lasciando comunque un messaggio eterno di Civiltà. L'impero romano fu proprio l'armonia degli opposti in chiave universalistica. Roma conquistò gli altri popoli ma, invece di violentarli, li accolse lasciando loro ampia autonomia e legandoli al suo grande destino. Che c'è di più armonico e universale del Pantheon?
Lo stesso fece il fascismo che accolse al suo interno socialisti, nazionalisti, futuristi, arditi, liberali, comunisti (vedi Bombacci), cattolici, anticlericali, monarchici, anarchici, ecc. Il Fascismo fu sintesi, armonia degli opposti. Rinchiuderlo nei rigidi schemi di liberalismo e comunismo è una grossolanità che neanche gli storici più faziosi commettono. Se tu ti ritieni "tradizionale", come fai, nel definire il Fascismo, a ragionare con questi schemi modernistici, manichei, giacobini??!?!
Il Fascismo fu ed è tuttora la Terza Via. Chi non comprende questo non capirà mai il Fascismo e il perché gli abbiano fatto una guerra mondiale per annientarlo.
Quanto ti ha pagato il governo occulto per scrivere un'arringa di difesa di un suo modello particolare di società?
RispondiEliminaIl tuo idolatrismo non ti fa scorgere la natura del fascismo.Chi è privo di intellettualità scambia lucciole per lanterne.
Ben volentieri ti lascio la pseudo-sintesi hegeliana ( ovvero il sincretismo,il miscuglio esteriore), l'universalimo imposto a fil di spada e suon di estorsioni parassitarie (tasse) e la terza via che l'area si è inventata per credersi diversa da quel che è, coé frutto della sovversione.
Come è ovvio, la tua condanna ricade su di te.
Chiedersi se la Tradizione esista o no non ha rilevanza.Essa è, e questo sancisce che esiste sempre, per forza di cose.
Ciao
D.
Non capisco questo tuo improvviso furore estemporaneo. Ma non me ne stupisco più di tanto: chi vive di "tradizione" mai esistita e che non conosce neanche ciò di cui parla (Platone, Roma antica, Fascismo,...) non può che andare in tilt e perdere le staffe, allorché i suoi castelli di sabbia vengono spazzati via da una critica appena seria e abbozzata.
RispondiEliminaLe tue crasse enormità (tipo Platone individualista ed egualitarista) tuttavia ci hanno fatto ridere non poco e te ne ringraziamo.
La Tradizione esiste, eccome! Ma non è certo quella pletora di amenità e corbellerie da "circolo della sega" di cui hai blaterato un po' ovunque nel blog.
Quanto ci ha pagato il governo occulto, sovvertitore dei pii e iperuranici valori tradizionali (scusa: Tradizionali)? All'incirca 100 trilioni di petrol-dollari.
Bye bye
Ma guarda, non è questione di bye bye
RispondiEliminaA me piace inter"loquire" ( in questo caso ) e come altrove avevo riportato, questo blog è valido.
Non starei qui altrimenti.Posso non conoscerlo il fascimo, anzi è così.Ma ragionare non è difficile e certe cose saltano alla luce palesemente.
Ad ogni modo, non serve distorcere.
Perché il Platone egualitarista, considerandolo dal tuo post in cui lo nominavi collettivista, non l'ho mai inventato,ma l'ho detto dal tuo utilizzo improprio del termine collettivista.
Ti ho fatto notare che collettivismo ed egualitarsimo sono sinonimi.
Ti consigliavo un termine diverso come comunità.
Per quanto riguarda invece ciò che io ho ritenuto, cioé un Platone individualista, è per il fatto che riconoscendo e determinando in ogni individuo la sua propria natura, quello è (per me )l'apice di un individualismo che in realtà non esiste, è chiaro, un individualismo in cui si intende la concreta possibilità personale armonica e ordinata.E' chiaro che volevo integrare questo aspetto con la collettività(comunità)e quindi volevo soltanto sottolineare quanto una tale saggezza è libera e proficua per l'ordine del cosmo , se così ci vogliamo allargare, visto che avevi dato un'ipostazione troppo schematica nel senso di strutturata e pesante.
E' un parere.
Cosa sia poi la Tradizione , la tradizione, la traDizione( termine più appropiato, data la potenza del verbalismo, di cui pare ci accusiamo a vicenda) ognuno rimanga con la sua convinzione.
Ti chiedevo però una cosa chiara e tonda:
il fascismo è coercitivo?
A me risulta evidente.E per me qualunque cosa sia questa Tradizione, non può comprendere la coercizione.
Oltre le pippe mentali su Spirito o animo, Immanente o Trascendente.
A questo alla fine puntavo, e semrpe punterò.
Se ti fa piacere, io frequento con interesse questo blog e gli spunti che vi sono, vecchi e nuovi.
Scusami, però è anche internet che radicalizza e fredda il dialogo.
Ciao
D.
Avevo già detto che il termine "collettivista" è ovviamente un anacronismo, ma ben si attaglia a una semplificazione per i "non addetti ai lavori". Dopo tutto noi non abbiamo pretese di scientificità: di scienza ce ne occuppiamo all'università.
RispondiEliminaIl termine "collettivista" ci può stare anche perché illustri studiosi hanno parlato - sempre metaforicamente - di "comunismo platonico". Punto.
Collettivismo ed egualitarismo non sono affatto sinonimi!!! 1. perché Platone parla di gerarchie nette e definite (dove c'è gerarchia non c'è uguaglianza) in virtù di doti etiche e morali (il collettivismo riguarda invece aspetti materiali), e dal "collettivismo" sarebbe comunque esclusa la classe bronzea dei lavoratori, l'unica che detiene proprietà private. Semmai si può parlare di "uguaglianza" (egualitarismo è un'altra cosa) tra membri di una classe, ossia pochi superiori che sono uguali e molti altri che sono su un livello inferiore (gerarchia, disuguaglianza).
Individualista è "Chi persegue l'interesse personale indipendentemente o anche a scapito di quello generale; con valore attenuato, chi non ama socializzare, far vita di gruppo" (Sabatini Coletti): quindi, raggiungendo l'individuo la perfezione solo all'interno di una comunità e grazie all'accettazione del suo sistema gerarchico, egli sarà portato per forza di cose a servire l'interesse pubblico, della comunità, non già quello personale. Ergo: Platone non è individualista. Punto.
Il tuo è certamente un parere, ma infondato e toppato, tanto che il mio prof. di Filosofia Antica non ti farebbe mai passare l'esame.
Questo è quello che dice Platone e la comunità scientifica che di lui si è occupata. Quindi non ci tornerò più.
Tu non mi hai mai chiesto se reputo il Fascismo coercitivo, comunque ti rispondo. Lo fu nella misura in cui era necessario far rispettare l'ordine e la legge che esso aveva costituito e che il popolo italiano aveva accettato. L'amplissimo consenso del Regime dopo tutto è un fatto indiscutibile (De Felice, E. Gentile, l'ebreo Mosse, Gregor, ecc.) e, quanto più c'è consenso, tanto meno c'è coercizione. Queste sono le conclusioni della storiografia in materia, ad eccezione di qualche sparuto pseudo-storico fortemente ideologizzato. Questa constatazione non presuppone poi necessariamente un giudizio complessivamente positivo o simpatie verso il Fascismo, come non li avevano (o non li hanno tuttora) De Felice, Gentile, Mosse, Gregor, ecc.
Visto che tu non hai indicato una civiltà che sia stata veramente tradizionale (o meglio, ci hai provato con la Grecia e Roma, ma toppando, per lo meno leggendole dal tuo punto di vista), non capisco dove sia la tua tradizione. Se esiste indicala (vedremo poi se resisterà alla prova), altrimenti questa discussione è bell'e chiusa.
Dispiace tu dia credito a quella che è nient'altro che pesudo-scienza.
RispondiEliminaD'altronde Max Stirner insegna che "l'unico e la sua proprietà" sono la sola autorità e Guy Debord insegna invece che le mere diatribe che facciamo ad oggi sono l'auto contemplazione del potere che è rappresentativo; dargli credito equivale a fluire nel "movimento autonomo del non vivente".
Guenon spiega magistralmente cosa sia la Tradizione, ed oltre lui, non serve spiegarla ma viverla per sapere di cosa si tratti.
Cosa può mai importarmi del giudizio di uno "scienziato" universitario?
Cosa può mai significare un comunismo platonico che già solo pensarlo è una contraddizione ed un torto a Platone?
Non hai letto cosa ho voluto intendere con la storpiatura volontaria e premessa da me stesso nell'uso del termine individualista in risposta alla tua forzatura collettivista.
Erché su quello che hai scritto
sono concorde, ma esigo che i termini siano quelli che siano.
Il comunismo ed il socialismo ammettono la proprietà pubblica.Ciò è una contraddizione ed una violenza.
Per quanto riguarda il fascimo, viste le aspirazioni di questo ritrovo telematico, ne ho sempre accennato.
Da quand ho scritto, dicendo che il fascimo non è la Tradizione, ne ho parlat come elemento sovversivo e coercitivo senza formulare domande; dirai infatti forse.
Ad ogni modo a me non sta antipatico os impatico il fascimo come il comunismo od qualsiasi altra cosa.
Il fatto che si cerchi consenso nel popolo fa già comprendere il ruolo sovversivo e "democratico" del fascismo.
Sai poi benissimo che l'opinione si fabbrica...
La violenza, l'uso della forza, è necessario solo per impedire criminie per punirli.
Il fascismo, con la sua particolare impostazione di vita, non permetteva ad altri di vivere a modo loro.
Dall'epoca moderna in poi, in occidente non c'è stata una Civiltà.
Dal medioevo in giù, ci sono state varie Civiltà che via via son degenerate.
gli esempi, come immagini, sono innumerevoli.
Ma come nel Medioevo la coercizione si notava in campo morale , nell'antica Roma abbiamoabboozzi di stato onnipresente violento, ladro e demagogico, come anche negli altri imperi.
Niente è perfetto.
Il totale scollamento però dalla Tradizione si è avuto alla fine del medioevo ed il fascimo è un sottoprodotto funzionale di qeusta epoca spettacolare.
Ciao
D.
Il consenso si può alimentare ed accrescere, mai creare "ex nihilo". Che il Fascismo non permettesse a chicchessia di vivere a modo suo è un'enormità. Numerosi furono infatti coloro che si dichiararono "a-fascisti" e non fu loro torto un capello, così come ad alcuni sparuti anti-fascisti, Croce in primis.
RispondiEliminaNon c'è nulla di male poi nel definire il Fascismo "democratico", se - come diceva Mussolini - lo si intende come "l'uguaglianza verace del popolo di fronte alla Nazione".
Non spererai certo di cavartela col bollare tutta la comunità accademica come "pseudo-scientifica"?!?!
Alcuni sono certamente lestofanti, ma talvolta il valore della loro scienza è altissimo ed è necessario confrontarcisi, come cerchiamo di fare noi. Se ti arrocchi invece su un piano di presunta e ingiustificata superiorità, in virtù di una non meglio specificata tradizione, non andrai molto lontano, non costruirai mai niente.
Non ho mai detto che Platone fosse comunista, proprio perché lo conosco bene; cmq è molto più appropriato definirlo - metaforicamente e solo sotto alcuni aspetti - "collettivista" invece di "individualista" (!).
Bene, anche stavolta l'hai sparata grossa: le società del Medioevo non presentavano elementi di coercizione?!?!?! Vallo a dire ai membri del contado feudale! ahahahahahahahah
Poi è bello tu dica "puoi immaginare": sì, infatti posso solo usare la mia fantasia nell'immaginarmi "numerosissime" civiltà tradizionali che ti sei ben guardato dal citare.
Facciamo così: tu me ne dici 1, solo 1! Vediamo che succede.......
a)Prima del 1300 abbiamo tutte Civilà Tradizionali ma non scivo Civiltà libere completamente poiché il ciclo discendente comporta degenerazioni evidenti.
RispondiEliminab)Dimostrare che oggi la scienza moderna sia una pseudo scienza è alquanto basilare se si ha comprensione Dottrinale e nozioni di Scienza verra ossia Scienza Sacra.
c)Il medioevo fu coercitivo? Si.Meno dell'epoca tardo imperiale ed ovviamente meno dell'epoca moderna in cui di Tradizionale è soppravvisuto pochissimo.
Ad ogni modo non abbiamo terreno comune su cui intenderci.
Preferirei allora parlare di fascismo.
Questo attaccamento al popolo( per sfruttarlo? ) ed al suo consenso è una delle suggestioni moderne più grottesteche.
Non ho problemi a sentirmi dire che il fascismo è la Terza Via politica.
Per quanto mi riguarda, ogni gradazione ha una sua "via", e per come la vedo, se non si è Tradizionalmente( seppur con i possibili e probabili errori e violenze ) di via ce n'é una sola, cioé quella antitradizionale.
Chiedo solo ( so di non vernir soddisfatto) che non ci si appelli in continuazione , in una sintesi hegeliana ( sintesi...questa si che è sovversione, sarebbe opportuno scriverne sincretismo ) alla "tradizione" ed al "progresso".
Guy Debord ad esempio notava nel fascismo un arcaismo tecnologico.
Nella fusione tra spettacolare diffuso( regimi democratici) e spettacolare concentrato ( totalitarismi nazisti ma soprattutto comunisti ) che genera lo spettacolare integrato credo che una sua maturazione ulteriore portarà oltre che a quel NWO alla riproposizione di quella che potrà essere solo una parvenza di spiritualità.
Nella spiritualità alla rovescia dei tempi ultimi, quando dal materialismo si è passati all'opera dissolutrice forse una riproposizione arcaica( cioé morta e non capita), ma invertita, credo riscoprirà qualche valenza, assieme all'invasione del tecnologico.
Io non sono affato antifascista, più di quanto non sia contro il resto delle aberrazioni modeerne, o per lo meno, senza atteggarsi, ci provo, dato che ne sono influenzato per forza di cose.
Ti rignrazio comunque per il fatto che tu pubblichi i miei commenti.Sia di lezione ai "sinistri" che spesso ciancicano parole al vento.
Per quanto riguarda il "caso" Platone hai ragione, concordo con te, incomprensione mia.
un saluto
D.
Mi dispiace: la scienza moderna, che si connette ad una lunga tradizione che viene dall'antichità, non può essere elusa. Che poi vi siano forti elementi di appiattimento è un altro paio di maniche. Non possiamo certo basarci su non meglio precisate "scienze sacre", rivolgendoci ad àuguri, aruspici, indovini, santoni, pizie e quant'altro!!!
RispondiEliminaContinui a tergiversare: ora mi citi civiltà anteriori al 1300! Ossia popoli di cui non conosciamo pressoché NULLA!!!! Infatti ti rifai alla preistoria, dacché in Grecia e nel mondo mediterraneo la scrittura comparve intorno all'VIII sec. a.C. Sappiamo qualcosa degli Egizi (che usarono anticamente i geroglifici), che di coercitivo però avevano molto. Da Omero conosciamo qualche aspetto della civiltà "micenea" e dell'età del bronzo: ma non è che i re micenei (ma anche quelli minoici) fossero molto "liberali"...
Insomma la tua tradizione, io, proprio non la rintraccio nella Storia.
Il Fascismo, in ultima battuta, fu sintesi tra antico e moderno: riprese princìpi e valori della Tradizione antica (quella vera!), e si preparò a rapportarsi alla realtà con nuovi mezzi e nuovi linguaggi.
Agire nella dura realtà comporta sacrifici e talvolta errori. è il prezzo da pagare per chi vuole forgiare il mondo facendosi maglio. Chi si arrocca in torri d'avorio e si rifà a fumose tradizioni primitive, al contrario, si fa incudine...
io parlavo del 1300 medioevale.
RispondiEliminala sitnesi di cui parli, hegelianamente, si chiama sincretismo.
La tradizione parte dall'alto di un unico Principio che sintetizza in sé tutti gli adattamenti che in sé non hanno alcuna ragion d'essere.
Inoltre, come sia possibile riproporre qualcosa che perì 1000 anni prima questo mi inquieta per due motivi:
1) perché si travisa la Tradizione per un'archeologismo storico dichiaratamente
2) Per i residui psichici di cui si fà uso
per il resto, non siamo d'accordo.
Non si tratta di torri d'avorio.Il problema è che chi non conosce, agisce male per forza di cose.
la migliore azione poi, in questo mondo dominato dalla sovversione, è collaborarvi il meno possibile.
Ciao
D.
Bene, allora mi dici, finalmente e senza fronzoli, quali sono 'ste benedette comunità tradizionali anteriori al 1300 d.C. (scusa l'incomprensione)?!
RispondiEliminaOvviamente ho sorvolato sul tuo "sincretismo hegeliano", che è un'enormità. Basterebbe conoscere il concetto di Dialettica del filodofo di Stoccarda e la "Aufhebung" che fonda il terzo momento di SINTESI o riaffermazione.
RispondiEliminaTi invito pertanto a rispondere alla domanda precedente. Da qui si capirà finalmente tutto, se e solo non continui a nasconderti dietro a un dito.
Veramente poni una domanda a cui ho già risposto.
RispondiEliminaLa sintesi, quella reale, è ciò che deriva dall'Unico Uno. In esso tutto è riscopribile ed in Esso si vaglia il movimento, che altro non è che descrizione e rappresentazione delle leggi immutabili.Ecco perché la sintesi è dall'alto e non dal basso.
Ad ogni modo Roma stessa fu una civiltà tradizionale, come la grecia, come la cristianità e l'Egitto e l'ebraismo.Quando degenerarono si posero le basi alla fine.
Da quel limes...fino al 1600 più o meno, non si trova altro che desolazione.
La mia "opinione" è data. Sono questi ultimi secoli occidentali ed occidentalizzati delle vere e proprie mostruosità che pur devono avere il loro spazio.
Saluti
D.
Caro D., rileggendo la discussione non posso fare a meno di dire la mia:
RispondiEliminaSei stato smentito su tutti i fronti da TriFulmine, ma continui ad abusare della sua pazienza. Credi veramente che Roma e la Grecia antica non presentassero aspetti coercitivi???? assurdo...
Rifiuti in blocco secoli di storia e migliaia di contributi scientifici a priori, sinceramente mi sembri fuori dalla realtà.
Poi visto che tu "conosci"...quale sarebbe il tuo posto nel mondo? monaco? guerriero? e come campi visto che devi "collaborare" il meno possibile col marcio mondo anti-tradizionale?
All'inizio della discussione scrivesti "il miglior contributo per evitare la dissoluzione è avere un collegamento Tradizionale, oppure uccidersi."...ecco, perchè non provi la seconda?
:P
Per essere smentiti si deve pur avere una qualche certezza, cosa che la scienza moderna, per la sua stessa natura e per sua stessa ammissione non può fornire.
RispondiEliminaPossiamo basarci su ciò che più riteniamo consono, approfondito, interessante e razionale ma non è né certo né esatto.
L'illusione delle statische che fa reputare un esatto come 98% o 75% manifesta un infantilismo palese.
Ciò che è esatto è esatto e basta.
Un poco come i nostri politicanti che sparano date sull'evasione fiscale che per sua natura è incalcolabile.
Come si nota è un aspetto diffuso e generalizzato, di cui la responsabilità è da trovare ben addietro.
Non ho scritto che Rome e la Grecia, come il Medioevo o l'antico Egitto, od anche il mondo musulmano pre-moderno non siano stati coercitivi.
Ho voluto sottolineare che una Tradizione quando manifesta aspetti coercitivi è già degenerata.
Intenedevo che ad ogni modo essa rimane quel che è.
Il mondo moderno invece è completamente antitradizionale.
La Tradizione in sé è e rimane sempre presente seppur occultata, e no esiste ad oggi nessun luogo che professi integralmente e visibilmente la Tradizione.
Ad ogni modo due appunti.
Che non si voglia collaborare con la dissoluzione non è dato come scontato.
Chi non vuole porsi tal problema, o neanche arriva a porselo ( per svariati motivi di cui non è necessario indagare la natura) è fuori da quei consigli che tu Carlacci mi riporti.
Oltre ad essere provocatorio in quel dato caso, ho insistito per l'appunto sul fatto che il fascismo non è stato Tradizionale e questo ho voluto ribadire.
Si può non concordare, e rifiutare ogni mia proposizione, non è problematica come cosa.
Il fatto che io abusi della pazienza di chi apre un blog "pubblico" spero sia stabilito dal proprietario di questo spazio di cui terrò in cosiderazione il volere dato che non sono venuto per disturbare nessuno quanto a dibattere.
Io stesso, non comprendendo il senso metaforico del concetto di collettivo usato da Trifulmine ho rettificato il mio pregiudizio e modificata la mia impostazione forzata del termine individualismo.
Spero sia stato chiaro, come spero sia chiaro che, nel caso fosse reso evidente un qualche mio errore, sono disposto a correggermi.
Se ancora non l'ho fatto è perché ciò che scrivo rimane corretto, e ci terrei che conveniste sul fatto che non sono frutto della mia individualità, ma della Verità in se stessa.
buona giornata
D.
Caro D.,
RispondiEliminase dici che Roma, le poleis greche, l'Egitto, ecc. in un dato momento sono degenerate, ci deve essere per forza un punto di svolta, un prima e un dopo. Quello che ti chiedevo e che ti chiedo nuovamente, è QUANDO - secondo te - Roma, la Grecia, ecc. avrebbero manifestato il loro carattere coercitivo e anti-tradizionale e, di conseguenza, qual è il periodo in cui tali civiltà furono genuinamente tradizionali.
Se tu affermi che "ciò che scrivo rimane corretto, e ci terrei che conveniste sul fatto che non sono frutto della mia individualità, ma della Verità in se stessa", non posso che trasalire! Da dove viene tanto delirio di onnipotenza?! Tu, che ti ritieni tradizionale, veramente reputi di parlare secondo la Verità incarnata?!?!
Poi - a questo punto - vorrei mi spiegassi meglio cosa intendi per "tradizione", visto che mi avevi detto che "non è necessario rifarsi a nessuno" (salvo poi il citarmi Guénon...), e quindi non lo posso trovare da nessuna parte. Quindi, che cos'è la "tradizione"?
Carlacci ti ha posto una domanda interessante: tu come vivi? come ti rapporti al "mondo della sovversione"? Sei contadino, monaco o guerriero? Te lo chiedo semplicemente per sapere come vive un uomo della tradizione, dal momento che l'esempio è più incisivo di 1000 precetti.
Ti rispondo riprendendo un verso di un'epistola di San Paolo che scriveva più o meno questo, cioé che chiunque dice la Verità non è tal individuo a dirla ma Lo Spirito che parla in lui.
RispondiEliminaCiò è ovvio dato che essendo la Verità attributo dell'Essere, non è una qualità propria dell'uomo.
Come l'uomo compartecipa dell'Essenza -alché egli esiste ma non è - ugualmente l'uomo esprime delle Verità ma non ha la Verità.
Essendo la Verità vera, se la esprime egli è per forza di cose infallibile.
Ciò non toglie che l'individuo aggiunge o toglie del proprio e l'errore è quindi di sua responsabilità.Ma se non si scosta, come più o meno ho fatto od ho cercato di fare, non può cadere in fallo.
Per quanto riguarda la vita nel mondo di oggi, essendo quasi impossibile determinare la propria natura, è però possibile delineare una certa linea di condotta diciamo garantita.
a) boicottaggio dello stato e degli affiliati ad esso ( banche,assicuarazioni ecc ecc )
b) boicottaggio del mondo industriale
c) denuncia ed opposizione delle aberrazioni moderne e della mentalità sovversiva
accostando il ciò ad una sana probità e sobrietà di vita scansando mode e vizi seguendo un collegamento Religioso sano, viste le degenerazioni odierne o le parodie di religiosità defunte.
Ciò è alquanto difficile e non tutti hanno possibilità di portare questi discorsi all'estremo.Ad ogni modo , seppur chiunque riesca a realizzare una propria completa indipendenza psicofisiologica e rispettare dei precetti di vita religosi(seppur esteriori) , il reale obiettivo non è questo.
La liberazione, la congiunzione all'Unico Uno poco si interessa di ogni amenità mondana.
La Tradizione è la trasmissione della Dottrina e di tutto ciò che è atto alla sua comprensione ed alla sua realizzazione in noi se così ci si può esprimere.
Ciò che ne deriva è applicazione, in ogni campo dello scibile: giuridico, artistico, matematico, religioso, artigianale, politico ecc secondo l'importanza di ogni questo aspetto.Ecco una Civiltà Tradizionale.
L'uomo della Tradizione vero cerca non di certo di essere un individuo Assoluto, ma anzi si sforza tramite i mezzi che ha ricevuto, di non essere più individuo.Esso quindi si sforza di congiungersi nella Santa Unione.
Ciò che qindi conta realmente è l'iniziazione spirituale che è la consegna stessa della Tradizione.
E' proprio perché pochissimi sono gli uomini tradizionali che il mondo è in queste situazioni, degno epilogo di ogni kali Yuga.E' proprio perché le organizzazioni iniziatiche sono degenerate in modo spaventoso che siamo a questo punto.
Necessario d'altronde.
Per tua domanda sul quando mi prendo un po' di tempo dato che non un esperto di storia per non scrivere stupidaggini.
Buona giornata
D.
Strano tu mi chieda tempo: visto che ti rifai alla Tradizione e ti identifichi in civiltà tradizionali, dovresti sapermi rispondere subito. Vabbe'...aspetterò...
RispondiEliminaSan Paolo parla di Dio e Spirito Santo. Se ti ritieni il ricettacolo del Santo Spirito che ti suggerisce la Verità in se stessa, per me stai delirando. Vabbe', ti lascio questa pia illusione, però non pretendere che io mi convinca di queste assurdità.
"La Tradizione è la trasmissione della Dottrina e di tutto ciò che è atto alla sua comprensione ed alla sua realizzazione in noi se così ci si può esprimere". Quale sarebbe questa Dottrina tràdita? Però non prendere tempo e dimmi la Verità... XD
Beh guarda posso risponderti subito.Con la possibilità di argomentare "stile post" sarebbe più efficacie e serio. Tanto vale, cioè poco.
RispondiEliminaRoma: basta vedere la storia repubblicana, un continuo incrementarsi di degenerazioni e tradimento del mos maiorum.Fare il paragone con l'epoca dei primi imperatori per vedere una risalita fino alla successiva putrescenza burocratista e formalista.
Egitto: non ricordo bene quale greco parlasse di degenerazione dovuta all'approfondimento delle arti magiche per la tradizione egizia.
Ebraismo: già i profeti testimoniano il cammino degenerativo ebraico di cui al tempo di gesù Cristo la corrente faresiaco-letteralista ( ad oggi talmudista , di quel giudaismo eretico che ha dato vita a Sabbatai Levi, Jacob Franck ed al sionismo politco) prese il sopravvento.
Islamismo: non so bene.Ad oggi non esiste alcun paese tradizionalmente islamico.Le sette eretiche hanno preso il sopravvento come i salfiti, i wahabiti, i talebani ecc ecc.Letteralsiti e formalisti.
In india intorno al V secolo avanti Cristo il buddismo, autentica Tradizione con destino diverso rispetto all'induismo( Schoun ne fa un parallelismo con il cristianesimo itneressante) prende però varie forme e si allea anche con scuole deviate indiane come quella atomista ( nata prima di quella greca).La classica rivolta di cui approfittarono gli Ksatriya.
nel V secolo semrpe in Cina la Dottrina dovette dividersi in taoismo e confucianesimo se non erro, e ci furono cruneti scontri tra di loro.
In Grecia, da Aristotele in poi, prednerà il sopravvento l'epicureismo, lo stoicismo, lo scetticismo, tutto ciò che designa una chiara scadenza intellettuale.
I misteri conserveranno il loro carattere chiuso, glis convolgiemnti dei regni ellenistici sono evidenti.
Ora, a fronte di ogni mia imprecisione, le Idee rimangono ciò che sono.
Credevo fosse uno di quegli altri siti che fanno uso di esoterismi strumentalizzando il tutto.
Qui oltre a non accadere questo, non si sa neanche di cosa si parla, la Dottrina è completamente fuori luogo.
Ho cercato di dirti già che chiunque dica la Verità non la dice luis tesso ma lo Spirito che è in lui.Ciò per il fatto che lo Spirito è universale, ed è prima ancora di stare qui e sorreggere ogni dove.
Questo perché ti credi un sistema chiuso, assolutizzi la tua individualità, cosa improponibile.
E' qeusta l'atroce differenza tra l'essere e l'esistere.
La tradizione è la trasmissione.Ciò che è tramesso sono tutto ciò che è necessario affinché sia compreso e realizzato.Cosa? la santa Unione.Tra chi?
Beh questa risposta, se vuoi, puoi dartela da solo.
la vostra "sintesi" si chiama sovversione.Non è un dramma che non lo si comprenda, siete in una moltitudine.
saluti
D.
Ahahahah. Ne hai dette delle belle anche stavolta. La Roma repubblicana, la Grecia ellenistica... ma dove hai studiato storia? su Topolino?!??!
RispondiEliminaNon vuoi parlare della Dottrina perché non la vuoi spiegare o perché non lo sai neanche tu che è 'sta diavolo di "Dottrina"??! Se non la vuoi spiegare, allora perché intervieni sul blog?! Per riempirici della tua pseudo-verità che ti ha dettato lo Spirito Universale o la Santa Unione dei Chiacchieroni?!
Ma fa' il piacere. Se vuoi blaterare di mondi iperuranici mai esistiti fonte della tua immaginazione (leggi "Tradizione"), fa pure; però lascia stare queste sparate, frutto dell'ignoranza (giammai della Verità) e di una ingiustificatissima vanità.
In questo blog parliamo di storia, filosofia, arte, attualità, economia,... le dabbedaggini in stile fantasy non ci interessano.
La Tradizione esiste ed è sempre esistita, ma non è assolutamente la serie di castronerie che ci hai ammannito finora. Va' a leggere Evola, Guénon, Freda, chi ti pare; ma cerca di capirli e, a volte, di prenderli con le molle.
Attento a definirci atomi in una moltitudine. è probabile che sia tu l'atomo granitico che, disdegnando presuntuosamente il mondo, si perde in un mare magnum che reputa ostile, rimanendo solo, terribilmente solo, e che non riuscirà a "tradere" a nessuno la Dottrina della Santa Unione... XD
Come disdegnare il mondo se ogni cosa che accade è perfetta?
RispondiEliminaSe l'imperfetto non esiste, il tempo è illusorio, il male altrettanto?
E' un'accusa alquanto infondata quella che mi fai, dato che questo mondo, per il dato momento in cui siamo, è "il migliore dei mondi possibili".
Eppure ti sfugge come si possa avversarlo ed osteggiarlo, pur senza condannarlo...
Come poi essere soli se il Principio è qui in ogni dove e continuamente "parla"?
Mi consideri poi ben troppo importante dato che non certo debbo tradere nessuno, e d'altronde con quali mezzi, i miei di uomo( scusa, cambio temrine che evidentemente non sono un uomo per te ma un gaio, un bambino forse...)?
Arbitro per vedere lo stato di una Civiltà può essere il vedere quanta Giustizia e Libertà vi siano ed il constatare che la Verità sia fulcro di essa.
Il mondo moderno è, alla luce di questi criteri universali , antitradizionale.
Io impiego il tempo come mi aggrada.Mi scuso di aver trasgredito ai comandi del "giusto impiego del tempo libero"...
Sulla vanità hai una certa ragione.Come anche sull'ignoranza.NON sono uno storico e mi compiaccio di ciò che scrivo.
Ahinoi ancora non è un crimine crogiuolarsi nei "propri" "errori".
Ti rammento però che la storia è scienza, non conoscenza.La storia è frutto del sapere (se non di questi tempi antitradizionali dell'apprendere).
La conoscenza è assimilazione.Io ho compreso ben poco dei Principi, ma tanto mi basta per non cascare nei sentimentalismi e negli ideologismi di cui ti fai vanto.
L'ignoranza e la vanità possono quindi esserti rigirate.
dabbenaggeni in stile fantasy! Eh si.
Un saluto.
Ciao
D.
Ecco. Se non tramandi, che tradizionalista sei? Boh... mi sembri sempre più confuso.
RispondiEliminaNessuno ha mai detto che è un crimine esprimere il proprio pensiero, ci mancherebbe! però io parlo di quello di cui ho CONOSCENZA. Non intervengo senza cognizione di causa, per poi cavarmela sofisticando su "conoscenza, sapere, apprendere,...". Un argomento o lo conosci o non lo conosci. La Storia non è una scienza esatta, però certe conoscenze o nozioni sono acquisite, accertate e accettate. Chi negherebbe che Giulio Cesare è morto le Idi di marzo del 44 a.C.? Chi si azzarderebbe a negare che il 10 giugno del 1940 l'Italia dichiarò guerra a Francia e Gran Bretagna? Allo stesso modo, chi negherebbe che la Roma arcaica o repubblicana, tanto quanto la Grecia arcaica o classica non furono in una certa misura coercitive? Sono fatti assodati, un'interpretazione storica, che è pur soggettiva, non può prescindere da questi dati oggettivi, a loro modo VERI. Il resto sono dabbenaggini fantasy appunto.
Che questo sia il "migliore dei mondi possibili" non credo proprio. Vabbe' opinioni...
Spero la discussione ti abbia giovato. Magari avremo modo di discutere nuovamente in futuro su altre questioni.
Saluti
Sarò scema ma io ancora nn h capito se ci stava o no sta democrazia a roma! A.
RispondiElimina"Sarò scema ma io ancora nn h capito se ci stava o no sta democrazia a roma! A."
RispondiEliminaNon sei scema, cara A., è il discorso a essere complicato, tanto che i + grandi studiosi ci si sono arrovellati il cervello.
Diciamo che nella Roma repubblicana una rilevante componente democratica c'era, ed era rappresentata da alcuni fondamentali poteri del popolo. Tuttavia - come ho cercato di illustrare - la componente aristocratica era assai più forte ed aveva non pochi strumenti a disposizione per controllare l'elemento democratico. In sostanza, i poteri del popolo erano più formali che fattuali (vedi su tutti l'esempio della dichiarazione di guerra alla Macedonia).
Spero di esserti stato d'aiuto.
Saluti