venerdì 24 aprile 2009

Democrazia: realtà e prospettive

In questo lungo ma appassionante ciclo di articoli (“Democrazia. Anatomia di un falso”) abbiamo analizzato – seppur “a volo d’uccello” – i vari aspetti della Democrazia, sia in senso diacronico che sincronico. Malgrado una retorica capziosa e speciosa, abbiamo visto che la Democrazia non è ciò che dice e pretende di essere: non ha resistito alla prova dei fatti. Eppure esistono margini d’intervento concreti, dei quali deve assolutamente tener conto un politico degno di questo nome, che abbia realmente a cuore le sorti del suo popolo, affinché esso torni finalmente protagonista attivo della Storia. Nessuno meglio di Francesco Polacchi poteva dunque riassumere i punti-cardine di questo ciclo, illustrandoci inoltre – cosa più importante – le prospettive che si offrono a noi per un’azione politica che, al di là di ogni sterile critica meramente distruttiva, possa riportarci – come Comunità e come Popolo – ad essere artefici del nostro destino.




«Democrazia significa semplicemente far bastonare il popolo dal popolo in nome del popolo. L’abbiamo smascherata»

(Oscar Wilde)


Eccoci qui, dunque, a tracciare le somme di questo ciclo di articoli sulla democrazia.
Democrazia. Un concetto giustamente definito meta-storico e che oggi è divenuto sinonimo di tutto ciò che può essere “bello, buono e corretto”.
Democrazia. Al di fuori di essa nessuno può.

È proprio da questo principio che nasce la nostra critica.
Nei precedenti articoli è emerso che l’idea che questa parola porta con sé (democrazia = potere del popolo) è spesso stata tradita dal tempo o dall’istinto dell’uomo che nella storia ci ha dimostrato di essere incapace di sapersi organizzare in strutture rette dal pensiero debole. È questo pensiero infatti che ci fa capire che “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”.

Così come si parla di socialismo reale, infatti, è doveroso distinguere tra democrazia ideale e democrazia reale. La prima idealizzata ad Atene quando era una polis, negli Stati Uniti d’America e in Francia durante le rivoluzioni, durante il periodo risorgimentale e poi a seguire da una buona parte dell’intellighenzia post-II Guerra Mondiale, la Democrazia si è sempre scontrata con i fatti. Così come fu ucciso Socrate – il più grande processo politico della storia dopo Norimberga – fu compiuto il genocidio degli indiani d’America, in Francia la democrazia si conquistò anche con la ghigliottina, e nel periodo attuale essa si mantiene in vita con la demonizzazione dell’avversario attraverso l’uso dei media o quello indiscriminato della magistratura, delle leggi. La famosa divisione istituzionale dei poteri è infatti una faccenda passata. Essa presuppone infatti che l’entità-Stato abbia la sovranità su stesso. Basta pensare all’emissione e alla proprietà delle banconote per capire che così non è più. E poi quello che un tempo era definito il “quarto potere” – la stampa – oggi è di per sé strutturale al potere stesso. Nell’epoca della comunicazione rapida e immediata essa è pertanto influente delle dinamiche che si vengono a creare, non più semplice osservatrice.
E questo comunque non è un fenomeno prettamente odierno, se si pensa che alla manipolazione “mediatica” del pensiero altrui si era dedicato anche Platone, che ci parla di teatrocrazia (Leggi, III 693 a-702 e), in quanto molti spettacoli teatrali avevano evidentemente scopi denigratori o volevano condurre l’opinione pubblica sulle proprie posizioni.

Tutto ciò lascia credere al cittadino, al popolo, di detenere un vero potere. Egli è informato dei fatti, ne è a conoscenza. Si crede veramente partecipe alla vita politica dello Stato. Nonostante sia banale ricordare come una singola crocetta nelle tornate elettorali non faccia di un uomo l’artefice delle scelte di una nazione, credo sia doveroso farlo in virtù del fatto che oggi l’appartenenza alla vita politica si consuma squisitamente durante le elezioni.
È una delega. Per pigrizia? Forse, ma tale rimane. Quindi il popolo di fatto delega a qualcun altro l’amministrazione della cosa pubblica e questo qualcun altro, secondo l’articolo 64 della costituzione italiana, non ha vincolo di mandato. Quindi può dire una cosa e farne completamente un’altra all’insaputa del popolo stesso, che evidentemente non ha però la voglia di partecipare.

La tanto conclamata democrazia diretta infatti può avere luogo? Sicuramente non al governo o negli organi centrali dello Stato così composto. Sicuramente però esistono delle vie di mezzo in cui la partecipazione diretta della cittadinanza all’amministrazione di enti pubblici può funzionare. Nei municipi e nei piccoli comuni ciò può avvenire creando assemblee pubbliche in cui si affrontano i problemi reali e in cui si condividono, per esempio, i bilanci. Nelle aziende la partecipazione degli operai alla gestione e agli utili (socializzazione) può essere vista come una forma di potere del popolo. Se poi da questo principio si partisse e si cercasse di creare una camera complementare al Parlamento che funga da rappresentanza delle componenti economiche del Paese si otterrebbe la possibilità attiva e diretta di ogni singolo operaio di potere arrivare, secondo meriti e capacità, alle camere dell’esecutivo in una crescita costante e dinamica della nazione.

Ma il problema fondamentale è un altro. Per esserci un potere del popolo prima deve esserci un Popolo. Il Popolo non è semplicemente l’unione di cittadini “liberi”. Quella è una massa. Il Popolo è un insieme di individui che abbiano coscienza di sé, delle proprie origini, della propria storia, delle dinamiche evolutive delle loro leggi e istituzioni, e che veda nel bene di tutti la finalità del proprio essere. Un Popolo che sia cosciente, insomma. Oggi è evidentemente impossibile.
Nel precedente articolo è stata citata a più riprese la frase di Moeller van den Bruckdemocrazia è la partecipazione del popolo al proprio destino”. Essa fa riferimento comunque alla democrazia ideale, cioè nella speranza che ciò possa realmente verificarsi. Allo stato attuale della situazione non è il Popolo che decide, bensì il numero maggiore di “tifosi” per una delle fazioni in campo. E qui nasce un nuovo paradosso. Più fazioni ci sono e più sembra ci sia democrazia. Anche se ci fossero cento partiti differenti che però dicono la stessa cosa con forme differenti si penserebbe di essere in democrazia. È un’illusione a cui il cittadino del terzo millennio è portato. La possibilità di scegliere uno di questi club non può essere confusa con libertà e quindi non assimilabile alla parola “democrazia”. È una speculazione elettorale.

Il problema più grande nell’affrontare questa tematica è però quello circa il futuro di questo concetto. L’errore più grande che si fa solitamente è quello di credere che essendo ormai approdati a questa forma di governo essa rimarrà immutabile nei secoli per una presunta superiorità rispetto alle altre forme d’amministrazione del potere. A tal proposito Benito Mussolini dice una cosa importante: «Le dottrine politiche passano, i popoli restano». Con ciò si può intendere che anche le forme di governo siano soggette ad avere parabole discendenti ed essere superate da nuove. Nonostante ciò, è difficile prevedere cosa avverrà nel futuro. Se ci fosse un Palazzo d’Inverno da assaltare, sarebbe tutto più facile. Il potere oggi è poliedrico e polarizzato in più centri. Molti di essi dipendono/influenzano a più livelli l’economia. Parafrasando ciò che ha scritto Gabriele Adinolfi su Nuovo Ordine Mondiale, c’è un’impossibilità di competere con certi “mostri sacri” della politica e dell’economia ad armi pari. Bisogna quindi partire dalle piccole attività conquistando un’indipendenza e un’autonomia rispetto al mondo globalizzato attuale. Esse però devono essere il braccio e non il cuore di un qualcosa che è molto più importante: la Comunità.

Francesco Polacchi

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2 commenti:

  1. La democrazia è la forma migliore di governo e in quanto tale la più gravosa da sostenere. Ma il fatto che spesso crolli sotto il peso dell'inerzia dei suoi concittadini, che tendono a delegare le proprie responsabilità al leader carismatico o all'elite di turno, non significa che questa sia irrealizzabile.

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  2. Il concetto di "potere del popolo" è certamente tra i più belli e affascinanti. Purtroppo - passando dal pensiero all'azione - non ha funzionato e sono molto scettico possa funzionare. Per lo meno il parlamentarismo (cioè la democrazia "rappresentativa") è un surrogato della democrazia, uno specchio per le allodole, una scimmia della vera democrazia. La verità (triste) è che, sotto il nome di "democrazia", le oligarchie più rapaci hanno potuto fare il comodo loro contro gli interessi del "popolo": da Atene a Washington, sono sempre state le lobbies a comandare, spesso alle spalle e contro la comunità popolare.

    Tuttavia - come abbiamo illustrato nei diversi articoli del ciclo - è possibile un nuovo modo di pensare la democrazia (vedi il riferimento a Moeller van den Bruck), magari ripartendo dalle piccole comunità, nelle quali le problematiche del territorio sono argomenti più sensibili e capaci di mobilitare i cittadini, nelle quali sia insomma realizzabile la democrazia "diretta", l'unica vera e autentica. Poi la si può chiamare "democrazia", "demarchia", come si vuole; a me interessa la sostanza, il sapere che il mio popolo è una comunità di intenti e di destino, e che non sia manovrata dai soliti potentati economici egoisti e rapaci.

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