«Oggi il nome democrazia è rimasto alle usurocrazie, o alle “daneistocrazie”, se preferite una parola accademicamente corretta, ma forse meno comprensibile, che significa: dominio dei prestatori di denaro»
(Ezra Pound)

L’economia di mercato si basa su un libero incontro tra domanda ed offerta di uno specifico bene; nel mercato gli interessi dell’offerente e dell’acquirente sono contrastanti (uno tende ad alzare il prezzo per il proprio guadagno, mentre l’altro desidera comprare ad un prezzo più basso possibile). Questo tipo di economia si basa sul massimo decentramento, visto che il calcolo economico dei singoli offerenti e venditori è il solo elemento che determina il prezzo di ciascuna transizione e, di conseguenza, l’equilibrio generale è la risultante di un enorme numero di contratti conclusi tra i singoli individui.

Attualmente, l’indebolimento del controllo dello Stato sul proprio territorio è anche da collegare all’affermazione di quella che viene chiamata globalizzazione, ovvero un mercato internazionale in cui i fattori produttivi si spostano con estrema facilità da un Paese all’altro. Dalla globalizzazione dell’economia discendono varie conseguenze. Prima di tutto, le risorse più importanti, e cioè il capitale finanziario, le informazioni e le conoscenze, che per loro natura non sono legate al territorio, si spostano da uno Stato all’altro alla ricerca di luoghi più convenienti in cui posizionarsi, sfuggendo quasi totalmente al controllo dei poteri pubblici. In secondo luogo, gli Stati sono sempre più influenzati da decisioni che vengono prese fuori dai loro confini, ma che al loro interno hanno considerevoli ripercussioni. Si prenda ad esempio la decisione di grandi investitori di realizzare vendite massicce dei titoli del debito pubblico di un dato Stato, che, mettendone in crisi la liquidità, determinano un rialzo di tassi di interesse e il conseguente aumento del debito dello Stato. Pensiamo anche alle conseguenze sul livello dei prezzi e perciò sul tasso di inflazione, delle decisioni prese dai Paesi produttori di petrolio o da grandi gruppi multinazionali. Per ultimo, si realizza una competizione tra Stati per attrarre imprese e capitali e, in tal modo, per aumentare la ricchezza che esiste e si produce nel loro territorio.

Lo Stato è formalmente libero di adottare gli indirizzi politici che ritiene più opportuni, essendo in “democrazia”, ma sostanzialmente è costretto a sottostare al giudizio del mercato e, quindi, a seguire indirizzi politici compatibili con le esigenze della competizione internazionale. Concludendo, ve la sentite ancora di parlare di “democrazia” quando lo Stato (“governato dal popolo”) non ha piena sovranità sul proprio territorio visti i condizionamenti del mercato estero?
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