mercoledì 4 febbraio 2009

Privati a$$etati

Dall’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica, i privati hanno iniziato una vera e propria “politica aggressiva” per la conquista delle maggiori fonti e reti di distribuzione dell’acqua, tentando fino ad oggi di conquistare l’intero mercato nazionale. È fortemente maturato il loro interesse ad entrare nelle aziende municipalizzate ed a fare di queste facile e comoda fonte di speculazione e guadagno.

In ottemperanza alle direttive neoliberiste elaborate dai poteri forti internazionali, ciò che è di proprietà pubblica o di comunitaria utilità viene costantemente privatizzato. Nell’era del neoliberismo un bene che sia di pubblica utilità, offerto dalla natura e necessario alla sopravvivenza, viene ancor più considerato merce accaparrabile ed erogabile ai cittadini secondo le ordinarie logiche di mercato; anzi è proprio il suo essere un bene necessario alla sopravvivenza che offre opportunità di giganteschi profitti e fa sì che la vita venga costantemente controllata trasformando l’individuo in consumatore-schiavo: controllare i beni di vitale interesse comunitario significa effettivamente per le caste mercantili, le multinazionali e le mafie, suggellare il loro potere assoluto sui popoli.

La banca mondiale e le istituzioni finanziarie internazionali (IFI), in accordo con le multinazionali, chiedono ai paesi poveri d’impegnarsi per la privatizzazione del settore dell’acqua in cambio di prestiti. Gli accordi commerciali vanno nella stessa direzione: richiedono ai paesi di regolare i loro settori idrici e aprirli ad investimenti privati. Ironicamente, gran parte di questi paesi ha privatizzato per ricevere crediti dal Poverty Reduction and Growth Facility (PRGF).

Per quanto riguarda l’Italia la privatizzazione dell’acqua è stata legalizzata nel gennaio 1994 dalla legge Galli e il giro d’affari di questo scempio è di 2.530 milioni di euro all’anno. Gli Organismi ad hoc, espressione delle amministrazioni locali che occupano delle risorse idriche per il territorio di competenza, sono gli “Ato”. A loro tocca fissare le tariffe, decidere gli investimenti necessari, affidare la gestione tramite gare pubbliche o ricorrere ai privati. Ad oggi, dei 92 “Ato” italiani, 67 hanno già effettuato l'affidamento. Il 60% degli ambiti insediati ha optato per la concessione diretta a società a capitale pubblico, soprattutto nel nord dove su 68 gestori, 44 sono pubblici. I privati invece, tramite le società miste-pubbliche, controllano per circa il 70% l’erogazione dell’acqua di Lazio, Toscana ed Emilia. Diversa è la situazione di Sicilia, dove tutto il servizio di erogazione dell’acqua è gestito da capitalisti privati, e Sardegna, dove società a capitale pubblico, come la Abbanoa, sottraggono ai comuni la gestione della propria rete idrica e vengono gestite da manager signorotti della partitocrazia (ex sindaci, ex consiglieri, ex assessori etc.).

A loro volta, le società controllanti l’acqua sono controllate spesso da fondi di investimento, da banche d’affari, da imprese immobiliari e da multinazionali dell’acqua e non; e in tal proposito riportiamo come esempio l’Acea, azienda capitolina il cui maggior azionista è per il 51% il Comune di Roma, e il restante 49% è diviso principalmente tra la multinazionale francese Suez, il gruppo dell’immobiliarista Francesco Caltagirone e i due fondi di investimento Schroders Inv. e Pictet Asset management, quest’ultimo con forti partecipazioni in Veolia e Suez. Ben 7 società che controllano la nostra acqua sono quotate in borsa; dunque anche l’acqua, dopo il petrolio e i cereali diventa materia di gioco d’azzardo (è il termine per definire il mercato finanziario).

Una direttiva dell’Unione Europea impone gare pubbliche europee sia per l’affidamento di lavori che per la gestione del servizio idrico laddove sia applicata la legge Galli. L’articolo 35 della “finanziaria 2002” elaborato dall’allora governo Berlusconi ma approvato da entrambi i Poli, impose la conversione in società per azioni di tutte le aziende municipalizzate e di tutte le aziende di servizi pubblici entro il 2004; lo stesso articolo impose, sempre entro il 2004, la cessione ai privati del 40% della forza lavoro e delle infrastrutture delle aziende municipalizzate o pubbliche che controllavano più della metà dei servizi idrici italiani, con obbligo di gara per l’affidamento del servizio idrico a gestore privato. Il risultato di queste privatizzazioni è stato che rispetto a 4-5 anni fa, il costo delle bollette è triplicato, mentre i profitti delle aziende che controllano l’acqua sono aumentati del 700%.

Oltre al danno anche la beffa! Considerando che qualsiasi azienda privata (pur se travestita da pubblica) si pone come fine la massimizzazione del profitto col minimo dei costi e non il bene comune, accade che le imprese che gestiscono le risorse idriche hanno peggiorato la qualità del servizio offerto; basti pensare che il 40% dell’acqua si perde nel tragitto lungo le condutture, causa per cui in molti paesi l’acqua arriva a singhiozzo. Inoltre i processi che costituiscono il capitalismo, come l’industrialismo forsennato irrispettoso della natura fornisce spesso acqua inquinata: ormai oltre la metà delle falde acquifere del centro-nord sono gravemente inquinate; i grandi fiumi della Pianura Padana e delle regioni centrali portano con sé un mastodontico carico di veleni. Arsenico, ammoniaca, nitrati, pesticidi, ormoni e piombo sono solo una piccola parte delle sostanze presenti che hanno fatto aumentare l’incidenza di tumori. D’altronde è nell’interesse dei Mostri Societari che ci derubano l’acqua che questo bene scenda dai rubinetti avvelenato. Così facendo infatti ci costringono a comprare, non proprio a prezzi “popolari”, l’acqua imbottigliata che questi stessi Mostri Societari controllano.

La privatizzazione dell’acqua è una delle tante palesi dimostrazioni che il sistema politico-economico odierno esclude i cittadini da ogni reale funzione decisionale. Così descritta essa ha tutto l’aspetto di un crimine mondiale che va combattuto al pari di altri crimini commessi dalle belle plutocrazie oggi dominanti, quali l’ingordigia delle multinazionali, dei fondi internazionali e delle banche mondiali, i dettami dell’organizzazione mondiale del commercio (WTO) e dell’Unione Europea, e gli intrugli societari paramafiosi.

Tornando all’Italia, come si potrebbe impedire questo furto? Abolire la legge Galli e ritornare a far gestire le reti idriche ai comuni, integrando con sistemi di partecipazione diretta dei consumatori la direzione del servizio, rappresenterebbe una possibile soluzione; ma visto che la nostra è una realtà dove le leggi sono fatte a vantaggio di chi vive secondo l’etica del profitto e della speculazione, una soluzione socializzatrice risulterebbe fantascienza...


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