martedì 24 febbraio 2009

Memento Audere Semper



10 febbraio 1918: «Ci siamo affilati nella lunga attesa come sopra la ruota di un arrotino difficile. Siamo tutti taglio e punta, fissi su una rude impugnatura… Credo che di rado uomini furono così compiutamente pronti ad un’azione disegnata. Nulla manca, tutto è previsto. L’indugio non ci giova più, ci logora…».

Con queste parole Gabriele D’Annunzio (1863 – 1938) racconta le ore precedenti di una delle imprese più audaci, irriverenti e, purtroppo, sconosciute della storia della marina italiana.

Siamo nell’ultimo anno della Prima Guerra Mondiale e l’Italia è appena uscita col morale a pezzi da una delle sconfitte più pesanti dal punto di vista militare, e non solo, dell’intera guerra: la disfatta di Caporetto. Disfatta che farà emergere i grossi limiti dell’esercito italiano e comporterà un rovesciamento interno ai vertici dello stesso con la successione di Diaz a Cadorna.
Proprio in questo contesto di scoramento generale matura l’idea dell’azione che, pianificata già da dicembre, solo a causa delle cattive condizioni meteorologiche e dell’attesa delle ricognizioni aeree sulla Baia, fu posticipata all’11 febbraio.

I M.A.S. 96, 95 e 94 al comando di Costanzo Ciano (1876 – 1939) lasciarono l’ormeggio della Giudecca alle ore 11.00 del 10 Febbraio 1918, con l’obiettivo di riprendersi quel «fegato gettato più lontano che mai», che Ciano aveva idealmente lanciato preparando l’impresa. Il «Vate», che per l’occasione si autodefinì «volontario marinaio», era imbarcato sul MAS 96 insieme al capitano di corvetta Luigi Rizzo, medaglia d’oro e artefice dell’affondamento di due corazzate austriache, di cui l’ultima il 10 giugno 1918 nelle acque dell’Isola di Premuda, la quale si ricorda ancora oggi come festa della Marina militare.
Gli equipaggi dei MAS, dopo essere stati scortati da unità leggere e da due torpediniere, cominciarono ad avanzare sole e non senza poche difficoltà, e proprio in quel momento difficile D’Annunzio trovò le parole che spingono il cuore sempre oltre, coniando quel motto che ancora riecheggia in tutte le azioni audaci: Memento Audere Semper.

11 Febbraio 1918: «Nasce il nuovo giorno… navighiamo da quattordici ore. Teniamo da cinque ore le acque del nemico. Gli siamo entrati nella strozza, e poi nel profondo stomaco […] Un allarme, e andiamo in predizione».

Entrati a Buccari, i MAS, dopo oltre 60 miglia di navigazione e oramai senza alcun tipo di scorta, avanzarono indisturbati, puntando ognuno un bersaglio diverso, silurando il nemico con estrema precisione ma con cattiva sorte. I missili lanciati, difatti, si incagliarono nelle maglie di piombo delle reti parasiluri poste a difesa delle imbarcazioni austriache. Nonostante ciò il valore dell’impresa era inestimabile: penetrare per oltre 60 miglia nelle retrovie nemiche senza in alcun modo essere avvistati, evidenziando così la completa inefficacia del servizio di guardia nemico; dimostrare a tutti, italiani in primis, che l’ardimento di alcuni elementi dell’esercito batteva ancora fiero. E sono proprio questi due fattori – debolezza austriaca e rinnovato vigore dell’esercito italiano che rendono questa impresa importante, anche ai fini dell’esito della Prima Guerra Mondiale. In un momento così delicato della guerra, infatti, portare alla ribalta che lo «straniero» era vulnerabile voleva dire rinfrancare il morale dell’intera nazione e far sì che essa concorresse per intero a conquistare la vittoria, che si realizzò nella battaglia di Vittorio Veneto, ultimo atto del Risorgimento Italiano.

Infine, c’è la stoccata dell’uomo che incarna il «pensiero azione» e che tinge l’impresa di un particolare sapore beffardo, facendo sì che la «beffa» assuma anche contorni carnevaleschi e un romanticismo d’altri tempi.

Le tre bottiglie nastrate tricolore che D’Annunzio lasciò nella baia recavano questo messaggio:

«In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorte di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia».

La notte era passata e i MAS con a bordo i cuori intrepidi facevano ritorno a casa. È proprio vero: l’alba non è uguale per tutti.



«Lasciamo dietro di noi le soglie del Quarnaro posseduto. La nostra piccola bandiera quadrata si muove come una mano che faccia di continuo cenno. Ha il rosso rivolto verso l’Istria che mi par di rivedere in sogno, simile a un grappolo premuto o a un cuore pesto. Ho l’amaro del sale in bocca…

L’alba non è uguale per tutti.


Dall’Italia navighiamo verso l’Italia!
» (Gabriele D’Annunzio).


Articolo redatto da un giovane del Circolo Futurista-Casal Bertone.


Condividi

Nessun commento:

Posta un commento