Gustave Le Bon (1841 – 1931, in foto) è stato uno dei pionieri della psicologia e della sociologia moderne: i suoi studi influenzarono l’opera di Freud e Jung da un parte, e di Pareto e Sorel dall’altra.
Le Bon è conosciuto principalmente per la sua celeberrima Psychologie des foules (Psicologia delle folle), pietra miliare per la storia degli studi sui comportamenti delle masse. Le sue teorie illustrano che le folle, per loro intrinseca natura, agiscono non già perché sospinte dal lume della ragione, bensì secondo istinti irrazionali: ogni individuo, a prescindere dalla propria cultura e dal proprio livello sociale, unendosi alla folla, smarrisce la propria razionalità lasciandosi trasportare dall’inconscio collettivo, perdendo di fatto la propria individualità: «La logica e la ragione non sono mai state le vere guide delle nazioni. L’irrazionale ha sempre rappresentato uno dei più forti incentivi all’azione che l’umanità abbia mai conosciuto».
La massa è priva di freni inibitori ed è quindi eminentemente distruttiva, mai costruttiva, e la sua azione è mossa da un desiderio di distruggere per conservare, non già per innovare: «gli istinti della folla sono istinti conservatori». Le masse sono altresì estremamente volubili e volitive al tempo stesso, e da qui Le Bon elabora la teoria del capo carismatico, l’unico che possa efficacemente cavalcarne i furori, il quale non fornisce loro argomentazioni logiche e razionali, bensì intende le loro esigenze e i loro sentimenti e sa indirizzarli: «Non è ai lumi della ragione che il mondo si è trasformato. [...] I sistemi filosofici di fatti non propongono alle folle che argomenti, quando invece l’animo umano chiede solo speranze».
Psicologia delle folle fu pubblicata nel 1895, andando a minare il positivismo di stampo illuministico che era alla base delle democrazie di fine ‘800: se si negavano infatti alle masse moderazione e raziocinio, l’ideale di regime democratico sostenuto dal popolo illuminato veniva ineluttabilmente meno. Le sue tesi furono poi raccolte e messe in pratica da due esempi paradigmatici di capo-popolo: Mussolini e Lenin.
Da tali considerazioni psicologiche e sociologiche di Le Bon nacque, infine, il suo noto aforisma assurto a summa del suo pensiero politico:
Un’altra opera fondamentale di Le Bon è Psychologie de l’éducation (Psicologia dell’educazione), che vide la luce nel 1910. In essa il Nostro analizzava la decadenza della scuola e dell’università francese, indicandone le cause – tra l’altro già comprese dagli accademici coevi – e proponendo il proprio ideale di educazione per la gioventù.
All’inizio del XX secolo si discuteva in Francia di una riforma della scuola e dell’università, giacché le condizioni dell’istruzione vi apparivano critiche e scoraggianti. Sono veramente sorprendenti, in proposito, le calzanti analogie tra la scuola della Francia del primo ‘900 e quella italiana attuale!
Gli accademici francesi, di fronte a tale profonda crisi, si arrovellavano invano il cervello al fine di escogitare le giuste modifiche da apportare ai programmi scolastici. Tuttavia fu Le Bon ad intuire genialmente che la chiave di volta non era da ricercare nei programmi, bensì nel metodo di insegnamento.
Gli studenti, dalle elementari sino alle facoltà universitarie, sono condannati all’apprendimento mnemonico di manuali che servirà loro unicamente alla “recitazione” in sede d’esame. Già di per sé il manuale rappresenta un accesso al sapere di seconda mano, poiché filtrato da colui che lo ha redatto, il quale ha già dato – per forza di cose – un’impronta personale alla materia che intende trattare. Lo studente non è quindi libero di trarre il nutrimento della propria cultura direttamente dalla fonte ma, impossibilitato al giusto sviluppo del suo senso critico, non fa che ripetere nozioni impostegli dall’alto. Ma la vera sciagura è che coloro che hanno buona memoria ma poca intelligenza vengono più spesso premiati a scapito degli altri più meritevoli.
L’apprendimento acritico del libro scolastico porta inoltre con sé il catastrofico abbandono dell’attività manuale e fisica, tra l’altro snobbata dai genitori perché ritenuta plebea e squalificante. Al contrario Le Bon insiste sul fatto che il lavoro manuale, complementare a quello intellettuale, tempri e fortifichi la volontà del giovane discente, il quale possa poi godere e gioire del successo finale scaturito dal suo sudore e dal suo sacrificio.
Il sociologo francese si mostrava tuttavia scettico nei confronti di una riforma che potesse veramente raddrizzare le disgraziate sorti della scuola e dell’università. Occorreva infatti anzitutto cambiare la mentalità dei maestri e dei professori, malauguratamente troppo vecchi e fieri per cambiare; se con loro – essi pensavano – il metodo aveva funzionato, ciò voleva dire che esso era il migliore: pura e presuntuosa vanità… Tutti coloro che invece si dimostravano liberi e innovatori venivano inevitabilmente messi in minoranza o ignorati.
Il vero ideale di Le Bon riguardo all’educazione era quello che riuscisse a formare il carattere e la personalità dei giovani, in luogo di preparare quest’ultimi alla monotona “recitazione” di un sapere che non è il loro. La scuola deve dunque formare ed educare prima ancora che istruire.
Per Le Bon, in ultima analisi, un uomo si valuta in base al suo carattere, non alla sua cultura.
Questi presupposti saranno poi ripresi e sviluppati dall’eminente filosofo Giovanni Gentile (1875 – 1944, in foto), il quale li tramutò nella più grandiosa ed efficace riforma che l’Italia unita ricordi.
Nel 1923 il ministro dell’Istruzione varò dunque tale riforma che si ispirava in buona parte ai princìpi fondamentali propugnati da Le Bon.
Il sapere enciclopedico non era più praticabile. Esso affondava le proprie radici nel lontano medioevo, nel quale tutto lo scibile umano si credeva – dopo la rivelazione di Cristo – dato una volta per sempre. Il metodo mnemonico era stato poi perfezionato dai padri gesuiti e finalizzato all’apprendimento del latino, dando ottimi frutti. Ma ora che le conoscenze per tutte le materie si erano arricchite in maniera più che massiva, era veramente troppo il pretendere dal giovane studente una titanica impresa di memorizzazione di tutte queste nozioni.
Per la riforma gentiliana era quindi necessario riaccendere nella scuola la fede nelle forze spontanee dello spirito, e di assegnare di nuovo ad essa come fine non già l’enciclopedia o l’immediata utilità, bensì la formazione della personalità del discente. Occorreva dunque riaffiatare la scuola con la vita, della quale doveva essere prosecuzione e consapevole approfondimento, non già negazione.
L’ideale enciclopedico, più consono alla mentalità delle masse, tende a valutare quantitativamente ogni forma di attività umana, premuta com’è da esigenze utilitarie. Tale utilitarismo, di stampo anglosassone, pone l’individuo in grado di trarre dal patrimonio del sapere il maggior numero possibile di nozioni immediatamente utilizzabili. Per i fautori della nuova riforma, invece, il sapere non esiste avulso dalla matrice che lo crea e lo alimenta – ossia la mente dell’uomo – ed educare significa suscitare e disciplinare energie, non già distribuire nozioni. Il manuale è dunque bandito: a insegnare poesia saranno i poeti, a insegnare filosofia saranno i filosofi. In questo modo il giovane studente, attraverso la lettura diretta delle fonti, dovrà sviluppare il proprio senso critico e svegliare la sua capacità di giudizio. Il manuale, ossia il sapere preconfezionato, lascia il posto alla dura ricerca del ragazzo, il quale si farà da sé il proprio manuale, frutto del suo lavoro intellettuale, e quindi veramente acquisito.
Deve parimenti essere reintrodotta l’attività fisica, complementare a quella speculativa, di cui il regime fascista farà una bandiera, poiché, attraverso lo sforzo fisico, il discente deve temprare la propria volontà e il proprio senso del sacrificio in vista dell’obiettivo finale.
Ma come è possibile superare lo scetticismo che aveva espresso Le Bon riguardo alla mentalità dei professori che dovranno farsi carico di questo cambiamento metodologico? Come è possibile far loro rinunciare al metodo che li ha formati e che quindi reputano retto e giusto?
I riformatori fascisti si appellarono dunque non già ai vecchi maestri della vecchia scuola, bensì ai giovani, a quegli stessi giovani che hanno entusiasmo e voglia di cambiare e innovare.
E non poteva essere altrimenti in una nazione che viveva e cantava al suono di “Giovinezza”…
Le Bon è conosciuto principalmente per la sua celeberrima Psychologie des foules (Psicologia delle folle), pietra miliare per la storia degli studi sui comportamenti delle masse. Le sue teorie illustrano che le folle, per loro intrinseca natura, agiscono non già perché sospinte dal lume della ragione, bensì secondo istinti irrazionali: ogni individuo, a prescindere dalla propria cultura e dal proprio livello sociale, unendosi alla folla, smarrisce la propria razionalità lasciandosi trasportare dall’inconscio collettivo, perdendo di fatto la propria individualità: «La logica e la ragione non sono mai state le vere guide delle nazioni. L’irrazionale ha sempre rappresentato uno dei più forti incentivi all’azione che l’umanità abbia mai conosciuto».
La massa è priva di freni inibitori ed è quindi eminentemente distruttiva, mai costruttiva, e la sua azione è mossa da un desiderio di distruggere per conservare, non già per innovare: «gli istinti della folla sono istinti conservatori». Le masse sono altresì estremamente volubili e volitive al tempo stesso, e da qui Le Bon elabora la teoria del capo carismatico, l’unico che possa efficacemente cavalcarne i furori, il quale non fornisce loro argomentazioni logiche e razionali, bensì intende le loro esigenze e i loro sentimenti e sa indirizzarli: «Non è ai lumi della ragione che il mondo si è trasformato. [...] I sistemi filosofici di fatti non propongono alle folle che argomenti, quando invece l’animo umano chiede solo speranze».
Psicologia delle folle fu pubblicata nel 1895, andando a minare il positivismo di stampo illuministico che era alla base delle democrazie di fine ‘800: se si negavano infatti alle masse moderazione e raziocinio, l’ideale di regime democratico sostenuto dal popolo illuminato veniva ineluttabilmente meno. Le sue tesi furono poi raccolte e messe in pratica da due esempi paradigmatici di capo-popolo: Mussolini e Lenin.
Da tali considerazioni psicologiche e sociologiche di Le Bon nacque, infine, il suo noto aforisma assurto a summa del suo pensiero politico:
«La ragione crea la scienza. I sentimenti guidano la storia»
Un’altra opera fondamentale di Le Bon è Psychologie de l’éducation (Psicologia dell’educazione), che vide la luce nel 1910. In essa il Nostro analizzava la decadenza della scuola e dell’università francese, indicandone le cause – tra l’altro già comprese dagli accademici coevi – e proponendo il proprio ideale di educazione per la gioventù.
All’inizio del XX secolo si discuteva in Francia di una riforma della scuola e dell’università, giacché le condizioni dell’istruzione vi apparivano critiche e scoraggianti. Sono veramente sorprendenti, in proposito, le calzanti analogie tra la scuola della Francia del primo ‘900 e quella italiana attuale!
Gli accademici francesi, di fronte a tale profonda crisi, si arrovellavano invano il cervello al fine di escogitare le giuste modifiche da apportare ai programmi scolastici. Tuttavia fu Le Bon ad intuire genialmente che la chiave di volta non era da ricercare nei programmi, bensì nel metodo di insegnamento.
Gli studenti, dalle elementari sino alle facoltà universitarie, sono condannati all’apprendimento mnemonico di manuali che servirà loro unicamente alla “recitazione” in sede d’esame. Già di per sé il manuale rappresenta un accesso al sapere di seconda mano, poiché filtrato da colui che lo ha redatto, il quale ha già dato – per forza di cose – un’impronta personale alla materia che intende trattare. Lo studente non è quindi libero di trarre il nutrimento della propria cultura direttamente dalla fonte ma, impossibilitato al giusto sviluppo del suo senso critico, non fa che ripetere nozioni impostegli dall’alto. Ma la vera sciagura è che coloro che hanno buona memoria ma poca intelligenza vengono più spesso premiati a scapito degli altri più meritevoli.
L’apprendimento acritico del libro scolastico porta inoltre con sé il catastrofico abbandono dell’attività manuale e fisica, tra l’altro snobbata dai genitori perché ritenuta plebea e squalificante. Al contrario Le Bon insiste sul fatto che il lavoro manuale, complementare a quello intellettuale, tempri e fortifichi la volontà del giovane discente, il quale possa poi godere e gioire del successo finale scaturito dal suo sudore e dal suo sacrificio.
Altro problema è rappresentato dall’ideale enciclopedico dell’insegnamento, il quale integra il metodo mnemonico. La scuola propugna infatti l’apprendimento di tutto lo scibile umano, riassunto e compendiato – ovviamente – in manuali. Lo studente è così costretto alla memorizzazione di migliaia di pagine stampate che sfida le leggi d’ogni potere umano e divino. L’apprendimento nozionistico finalizzato all’esame è inoltre assai labile: trascorso infatti qualche mese dall’esame stesso, il ragazzo non potrà che dimenticare la maggior parte della pletora di nozioni memorizzate poco prima. Al contrario Le Bon auspicava una formazione culturale dello studente più limitata, ma realmente acquisita.
Il sociologo francese si mostrava tuttavia scettico nei confronti di una riforma che potesse veramente raddrizzare le disgraziate sorti della scuola e dell’università. Occorreva infatti anzitutto cambiare la mentalità dei maestri e dei professori, malauguratamente troppo vecchi e fieri per cambiare; se con loro – essi pensavano – il metodo aveva funzionato, ciò voleva dire che esso era il migliore: pura e presuntuosa vanità… Tutti coloro che invece si dimostravano liberi e innovatori venivano inevitabilmente messi in minoranza o ignorati.
Il vero ideale di Le Bon riguardo all’educazione era quello che riuscisse a formare il carattere e la personalità dei giovani, in luogo di preparare quest’ultimi alla monotona “recitazione” di un sapere che non è il loro. La scuola deve dunque formare ed educare prima ancora che istruire.
Per Le Bon, in ultima analisi, un uomo si valuta in base al suo carattere, non alla sua cultura.
Questi presupposti saranno poi ripresi e sviluppati dall’eminente filosofo Giovanni Gentile (1875 – 1944, in foto), il quale li tramutò nella più grandiosa ed efficace riforma che l’Italia unita ricordi.
Nel 1923 il ministro dell’Istruzione varò dunque tale riforma che si ispirava in buona parte ai princìpi fondamentali propugnati da Le Bon.
Il sapere enciclopedico non era più praticabile. Esso affondava le proprie radici nel lontano medioevo, nel quale tutto lo scibile umano si credeva – dopo la rivelazione di Cristo – dato una volta per sempre. Il metodo mnemonico era stato poi perfezionato dai padri gesuiti e finalizzato all’apprendimento del latino, dando ottimi frutti. Ma ora che le conoscenze per tutte le materie si erano arricchite in maniera più che massiva, era veramente troppo il pretendere dal giovane studente una titanica impresa di memorizzazione di tutte queste nozioni.
Per la riforma gentiliana era quindi necessario riaccendere nella scuola la fede nelle forze spontanee dello spirito, e di assegnare di nuovo ad essa come fine non già l’enciclopedia o l’immediata utilità, bensì la formazione della personalità del discente. Occorreva dunque riaffiatare la scuola con la vita, della quale doveva essere prosecuzione e consapevole approfondimento, non già negazione.
L’ideale enciclopedico, più consono alla mentalità delle masse, tende a valutare quantitativamente ogni forma di attività umana, premuta com’è da esigenze utilitarie. Tale utilitarismo, di stampo anglosassone, pone l’individuo in grado di trarre dal patrimonio del sapere il maggior numero possibile di nozioni immediatamente utilizzabili. Per i fautori della nuova riforma, invece, il sapere non esiste avulso dalla matrice che lo crea e lo alimenta – ossia la mente dell’uomo – ed educare significa suscitare e disciplinare energie, non già distribuire nozioni. Il manuale è dunque bandito: a insegnare poesia saranno i poeti, a insegnare filosofia saranno i filosofi. In questo modo il giovane studente, attraverso la lettura diretta delle fonti, dovrà sviluppare il proprio senso critico e svegliare la sua capacità di giudizio. Il manuale, ossia il sapere preconfezionato, lascia il posto alla dura ricerca del ragazzo, il quale si farà da sé il proprio manuale, frutto del suo lavoro intellettuale, e quindi veramente acquisito.
Deve parimenti essere reintrodotta l’attività fisica, complementare a quella speculativa, di cui il regime fascista farà una bandiera, poiché, attraverso lo sforzo fisico, il discente deve temprare la propria volontà e il proprio senso del sacrificio in vista dell’obiettivo finale.
Ma come è possibile superare lo scetticismo che aveva espresso Le Bon riguardo alla mentalità dei professori che dovranno farsi carico di questo cambiamento metodologico? Come è possibile far loro rinunciare al metodo che li ha formati e che quindi reputano retto e giusto?
I riformatori fascisti si appellarono dunque non già ai vecchi maestri della vecchia scuola, bensì ai giovani, a quegli stessi giovani che hanno entusiasmo e voglia di cambiare e innovare.
E non poteva essere altrimenti in una nazione che viveva e cantava al suono di “Giovinezza”…
Complimenti all'autore: più che un semplice articolo...un vero e proprio Manifesto Culturale!
RispondiEliminaSalve
RispondiElimina-C'è una confusione di fondo tra apprendere e sapere.Per non scrivere poi di conoscenza.
-Ci si dovrebbe interrogare in cosa consistono poi queste "forze dello spirito" gentiliane.
Indbbiamente si sta semmai scrivendo a riguardo dell'animo.
Ed ad ogni modo si comprende già dallo spiritualismo razionalistico gentiliano il non parlare affatto di Spirito.
In fin dei conti Gentile è un propugnatore di quelle varie amenità che solevano e continuano ad impegnarsi nel cercare lo Spirito nell'al di qua.
-E' poi chiaro il senso della formazione della personalità.A ciò infatti serve la scuola pubblica coercitiva, fucina di omologati alle dinamiche dell'illegittima potestas( qualunque descrizione ed apparenza essa abbia nel corso dei secoli).
Cordiali saluti
D.
Caro D.,
RispondiEliminaquale sarebbe la differenza tra "apprendere", "sapere" e "conoscere"? Provando a capirti, chi "sa" è perché ha "appreso", e quindi "conosce". è così? Perdonami, ma la confusione è tutta tua.
La differenza che qui si è posta è tra "istruire" (ossia il far apprendere unicamente nozioni) ed "educare" (ossia formare il carattere e la personalità dello studente, oltre ovviamente a fornirgli le basilari conoscenze). Nel senso di "educazione" vanno intese le "forze dello spirito" di Gentile; che c'entra l'"animo"?!
Poi "spiritualismo razionalistico" non si capisce neanche che vuol dire...puoi spiegarti? Ad ogni modo dire che Gentile non parla affatto di Spirito rasenta il ridicolo...
L'ideale gentiliano di educazione è - a grandi tratti - quello umanistico. Chiunque abbia familiarità con la scuola dei grandi umanisti del '400 avrà capito.
Che la formazione della personalità voglia dire omologazione è una forzatura. Il rischio c'è (basta vedere la scuola iper-omolagata dell'Italietta democratica di oggi), ma a livello teorico non è affatto consequenziale. Basta vedere la succitata scuola umanistica italiana del '400, in special modo quella di Guarino Guarini.
Cordiali Saluti
Conoscere è qualcosa di altro.Chi conosce ha idea e giunge con l'intelletto al vero delle cose.
RispondiEliminaTradizionalmente scrivendo, chi è conosce.
Il programma sovversivo ha fatto slittare il concetto di Spirito ad un qualcosa di sotto-Spirituale.
Lo Spirito è sovra razionale, universale; informale ed immateriale.rendendolo individuale, a portata di ragione, lo si chiude in una forma e lo si limita.
Qeusto non è Spirito, e questa incomprensione agevola la sovversione.
La formazione della personalità nel mondo di oggi è, per forza di cose, omologante.
Il fascismo è un'omologazione relativa a gusti emergenti...è una parte della sovversione.
Indagando la natura fascista la si nota intrinsecamente sovversiva e schiavista, e ciò è ovvio poiché è figlio di questi tempi.
Non dico che sia da buttare, ma è doveroso saperne la natura.
Chi sa, usa la ragione.Se si perde è perchè non conosce, se non si perde è perché conosce.
E' per questo che la Scienza è inferiore alla conoscenza, ed è per qeusto che la scienza può dirsi esatta solo quando dipende dalla conoscenza.
E dato che oggi nn è così, dato che ogni cosa è profana...c'è caos e finzione.
Non si possono avere i piedi in due staffe, uno nella sovversione, l'altro per la Tradizione.
Vivi saluti
D.
- Lo Spirito - gentilianamente inteso (ossia di stampo hegeliano) - è un'entità IMMANENTE e, in quanto tale, presente nella struttura delle cose, di modo che, anche solo attraverso il discorso, si indaghi la parte che, come tale, è il riflesso del tutto.
RispondiElimina- "Das Geistige allein ist das Wirkliche" diceva Hegel: quindi altro che sovra-razionale (!)
- A parte sofisticherie varie, l'ideale di scuola fascista (che purtroppo non si realizzò mai del tutto) era tutt'altro che coercitivo e omolagante. Se dico che voglio sviluppare il senso critico del ragazzo, invece di ammannirgli il sapere preconfezionato (manuale), come si può dire che lo sto omolagando?!?!?!
Che il Fascismo fosse schiavistico non può infine che suscitare le mie risa più sperticate... per questo rimando alla nostra sezione "Fascismo", nella quale è abbondantemente illustrato che il Fascismo tutto fu tranne che schiavistico......
Vivi saluti
Te lo spiego così.
RispondiEliminaData la natura statuale, esso è già aprioristicamente coercitivo, e ciò grazie all'artificio della proprietà pubblica che accosta il fascismo alla sua origine socialcomunistoide.
Oltre ciò , per il fatto stesso che lo Spirito sia inteso immanentemente rende false le proposizioni fasciste, poiché ciò è un'impossibilità manifesta essendo la Trascendenza ovvia quanto il fatto che io stia scrivendo adesso.
E' per questo misconoscimento che il fascismo, assieme alla sua matrice socialcomunistoide, è prpriamente coercitivo e prodigarsi nella "formazione" di un individo secondo tali dettami ( cosa che hanno fatto e fanno anche le socialdemocrazie liberiste chiaramente ) non fa che lavaggi di cervello.
Anzi, nella dinamica sovversiva mondialista, il fascismo odierno svolge hegelianamente un elemento di opposizione che possa favorire a tempo debito, assieme probabilmente ad un certo tipo di comunismo radicale , la scusante per la creazione del nuovo ordine mondiale.
Ciò che interessa è comunque il fatto che un Dio o degli dei immanenti sono un'impossibilità manifesta.
E' anche per questo che un neo-paganesimo che gira alle volte dalle parti fasciste ( di destra? o di sinistra? o terza via? ) , se queste son le premesse, se Roma è l'idealità sentimentale che si va rispulciando, si accosta bene.
Eppure lo Spirito scrivevo è tascendente per forza di cose.Proprietà dell'essere è permanere in sé e non mutare.
Ciò che è non esiste, e ciò che esiste non è.
D.
"Data la natura statuale, esso è già aprioristicamente coercitivo, e ciò grazie all'artificio della proprietà pubblica che accosta il fascismo alla sua origine socialcomunistoide". Stai scherzando, spero. Se per te ogni forma di Stato è intrinsecamente una coercizione, ti consiglio di andare a vivere in un eremo, in cui nessuno potrà farti "lavaggi del cervello" (come anche la scuola umanistica...) e dove potrai vivere, invece di "ucciderti", nel mondo incantato della "Tradizione" (a chi potrai "tradere" poi, essendo in un eremo, è un altro paio di maniche... ahahaha).
RispondiEliminaLa "Trascendenza" non è ovvia manco per niente! Dimostramela. Ora. Però senza sofisticherie. La Trascendenza la voglio toccare con mano, non con astrazioni del piffero o astrusi alambicchi cerebrali.
Sul resto ho già risposto, e rimando ai nostri numerosi articoli nella sezione "Fascismo".
BEn chi lotta per lo stato è un comunista in potenza.
RispondiEliminaPoi le venature possono essere destroidi o sinistroidi...
Ad ogni modo la natura coercitiva dello stato è palese.
Impossibilità di sottrarsi dai suoi gangli, tassazione forzosa, legislazionismo unilaterale.
La Tradizione lega insieme per la sua stesa forza e per l'assenso che riceve spopntaneamente, poiché è il regno della Libertà.
Ad ogni modo che ciò che comunemene viene chiamato Dio sia Trascendente è derivabile dal cocnetto di infinito che, per forza di cose è una necessità logica.
Dato che l'universo non può essere infinito poiché spaziale ( lo spazio ha bisogno di un contenitore in cui stare , e tal contenitore è il suo limite ) Esso è sopra lo spazio dato che non può avere categorie spaziali altrimenti sarebbe finito.
Ciò determina inoltre il fatto che, essendo l'universo limitato, per forza di cose deve avere qualcosa di oltre.
L'infinito è quindi aspaziale ed atemporale, l'errore greco è stato appunto ipotizzarlo materiale, il ché è assurdo.
Se i cristiani degeneri hanno fissato Dio nella Trascendenza ed i gentili degeneri lo ha fissato nell'immanenza, sono entrambi parziali.
Esso è immanente e Trascendente, ma, per forza di cose, la "parte" Trascendente è gerarchicamente più importante dell'altra.
il paganesimo( giusto nome per una dottrina degenere, il cristianesimo infondo, è anch'esso ad oggi un paganesimo) è un arretramento sovversivo se ritorna alla sola immanenza quando sarebbe da integrare quest'immanenza al trascendente,indipendentemetne dai cristiani e dai loro sentimentalismi.
Avendo presetne l'infinito, da lì tutto procede, e gli errori divengono palesi
Cordiali saluti
D.
Perfetto. Lo Stato è coercitivo e comunista in potenza. Quindi sono comunisti i Greci (un po' destroidi), i Romani (un po' sinistroidi), i signori medievali (sicuramente destroidi), i Medici (destroidi anche questi), gli Estensi (un pochino sinistroidi), i Maya (anarco-sinistroidi), gli Zulù (vetero-comunistoidi)...
RispondiEliminaBene, posto che la vita associata, che trova la sua massima espressione nello Stato, è presupposto fondamentale della Civiltà (da "civitas" = città), qual è il tuo ideale di comunità politica? Una volta che avrai chiarito questo punto, sarà tutto molto più facile, e magari riuscirò a farti scendere nella concreta realtà visibile dal tuo iperuranio tradizionale (ah, scusa: Tradizionale).
Cordiali saluti
la vita associata è una cosa , lo stato è altro.
RispondiEliminaQuando una vita comunitaria per via di un cammino degenerativo diviene espressione dell'arbitrio di un gruppo, quella civiltà nel mio gergo diviene una società.
Lì dove è permessa la coercizione lì on c'è civiltà.
Roma, la Grecia e quant'altro non furono coercitive fin quando la Legge veniva rispettata.
Lo stato attuale, moderno, già per forza di cose è coercitivo.Nel passato le Civiltà hanno subito il corso del declino.
Tutto ciò che invece fuorisce dall'immondezzaio modernista già è marchiato come degenerato.
Il fascismo vuole recuperare un passato che non capisce accostandolo per giunta con le istanze più degenerate del mondo moderno.
Un cavallo di Troia.
La Civiltà Tradizionale è l'ordine descritto da Platone e vari altri, dove però non serve la forza violenta per affermare ciò, non serve imporlo dato che è riconosciuto naturale da tutti, essendo lo Spirito da sé fonte di unione.E' questa la funzione di un'elité intellettuale: essendo elitè, basterebbe forzando il discorso che ci sia.
Le suggestioni moderne alimentate dai vari registi occulti, di categoria puramente psichica, cosa possono rispetto al mondo delle Idee?
Con ciò, oltre a criticare il fascismo, critico anche una certa bambinesca voglia di rivoluzione secondo i dettami odierni.
La vera ri-voluzione è interiore non sociale, cosa che è invero una conseguenza accessoria.
Quando i Principi sono chiari, il resto è conseguenziale.
Il fascismo deve smettere di essere fascista, per riscoprirsi, se vuole avere una qualche utilità.
saluti
D.
Fantastico, era proprio questo che volevo. Secondo te le poleis greche e Roma non erano Stati o, per lo meno, non erano coercitive. Peccato che ciò sia l’enormità più assurda che abbia mai sentito in anni e anni di studi!
RispondiEliminaA Roma i littóri, che accompagnavano prima i re e poi i consoli, erano provvisti di fasci, ossia il simbolo della somma autorità e della coercizione! La Legge era sì il frutto delle scelte della comunità, ma era altresì imposta e fatta rispettare con la forza (come ieri, come oggi, come sempre) e non già intimamente accettata da tutti in nome dello Spirito Santo che invadeva le loro carni.
Chi non ha capito niente di Roma sei tu, caro D., non certo il Fascismo che del fascio – tra l’altro e non a caso – fece il suo simbolo, che significa potere, sovranità, autorità, ordine e legalità. Ovviamente, essendo il popolo sacro, nessuno poteva permettersi di toccare un cittadino romano, a meno che questi non avesse trasgredito le leggi che lo stesso popolo di Roma si era dato e si era IMPOSTO. Chi trasgrediva o NON ERA D’ACCORDO con le leggi del popolo romano veniva punito senza riserva alcuna!
La tua visione edulcorata e fantasiosa dello STATO romano non ti aiuterà certo a comprendere la storia antica e la tradizione romana (se vuoi cominciare a capirci qualcosa leggi qui: http://augustomovimento.blogspot.com/2008/12/tradizione-il-segreto-della-grandezza.html e http://augustomovimento.blogspot.com/2008/11/le-radici-spirituali-delleuropa-romanit.html). Le tue convinzioni metafisiche e astratte cozzano irrimediabilmente con ogni studio degno di questo nome sulla storia di Roma antica.
Abbandonato ogni possibile contatto con la realtà storica, non mi stupisce che ti rifugi nella Repubblica platonica (che non hai capito assolutamente) che, come ricordava giustamente Polibio, non è mai esistita e quindi non merita di essere considerata “storicamente”, e che è come una muta e inerte statua in confronto ad un essere umano reale e pulsante vita.
Inoltre il voler agire nella modernità è fondamentale per un’élite degna di questo nome. Ci sono due possibilità per un uomo in contrasto con la deriva modernistica: “cavalcare la tigre” oppure rinchiudersi in se stesso e trasformarsi in laudator temporis acti (nel tuo caso, poi, un “tempo” mai esistito nella realtà). Un’élite deve e vuole “cavalcare la tigre” per poterla poi indirizzare, cosa che richiede capacità, volontà di potenza, dedizione, abnegazione, pazienza e un’azione a lungo termine; a un laudator temporis acti invece basta una tastiera e un po’ di fantasia.
I grandi uomini del passato furono tali perché, invece di partecipare alla Storia, la scrissero, perché la VOLLERO scrivere.
Il Fascismo, come Roma, fu pragmatico (non nel senso utilitaristico e degenere del termine, tipo quello anglosassone), ossia agì nella realtà, fu anti-dottrina, anti-astrazione, e fu “faber”, costruì, edificò, volle, potentemente volle. È così che si scrive la Storia: agendo, volendo, incessantemente volendo!
Credo che la discussione sia chiusa. Ovviamente – qualora lo volessi – ogni tua replica sarà pubblicata. Tuttavia non ci saranno ulteriori risposte, constatato che questa discussione è ormai inutile, dal momento che la tua fantasia trascende qualsiasi dato storicamente accertato e comunemente accettato; pertanto è come parlare da due rive opposte che mai si incontreranno.
Cordiali saluti
Beh no.
RispondiEliminaIo ho semplicemente lasciato intendere che nel passato è più facile trovare Civiltà più che società.
Individualmente , Roma come la Grecia, hanno rappresentato una decadenza Tradizionale evidente, come lo fu anche l'attegiamento coercitivo che vi fu che è certo il medesimo ovunque, mutato il mutevole, ed appare quando ci si scosta dai Principi e quando la LEGGE diviene legge.
Non mi faccio idolo della romanità.
Con ciò il fascismo è una tappa.Con qualcosa di positivo e qualcosa di negativo.
Qui sto approfondendo, di certo, concetti e origini del fascismo ed è interessante.
Nulla deve essere bollato come male assoluto o con il bollino d'infamia, soprattutto da chi oltre a non approfondire ha le sue magagne dentro l'armadio; che però non sia Tradizionale, che esso sia figlio della modernità, del giacobinismo, del materialismo, per quanto camuffati ciò è ineluttabile.
Grazie dello spazio e rinnovo i miei complimenti perché questo è sicuramente uno spazio interessante.
Quest'area politica non è un covo di burini, come qualcun altro sosterebbe...
Certo io combatto quel che vedo di erroneo.Hai lungimiranza.Auspico di poter intervenire in modo più consono e specifico prossimamente.
Saluti
D.