venerdì 17 aprile 2009

60 anni di Partitocrazia italiana


«Vi sono almeno 50 compagni capaci di fare il prefetto meglio di me! Niente da fare. Valiani mi oppose le esigenze politiche della spartizione delle cariche tra i 5 partiti del comitato. Se non andavo io, il partito perdeva l’incarico ambito di prefetto politico di Milano. Ci ho pensato più tardi: le lottizzazioni contro le quali ho protestato e protesto tuttora, partirono proprio da noi, dall’antifascismo nel suo momento più militante, quello dell’insurrezione conclusiva». Parole pronunciate dal recentemente scomparso Vittorio Foa (in foto), presunto maestro di onestà e libertà, davanti al fallimento dei suoi sogni.

Una disincantata analisi che ci aiuta a comprendere l’anomalia tutta italiana di un sistema democratico che nasce dal suo aspetto degenerativo: la partitocrazia. Essa si insedia nelle istituzioni sin dal 1944, quando si era cancellata brutalmente ogni traccia del passato, ma non ve n’era ancora alcuna del futuro.
I partiti “nati” dalla resistenza provvedono subito a spartirsi cariche e compensi, e a creare apparati burocratici clientelari ed invadenti. Aggravante imperdonabile: più che dal reale consenso popolare furono spinti al potere da atti terroristici (si pensi a Via Rasella), da falsificazioni e propaganda (ad esempio, delle semplici scaramuccie furono fatte passare come le eroiche “quattro giornate” di Napoli) ed ordini di potenze straniere (dai diktat staliniani ai dollari americani).

Fattore decisivo fu il non voler riconoscere (da parte dei “padri costituenti”) a detti partiti veste giuridica, né di diritto privato né pubblico: permettendogli così di esercitare il loro arbitrio senza controlli e responsabilità. Da un Regime che cercava di immettere «tutto nello Stato» si passò all’esatto contrario. Un subdolo stato “illegale” (quello appunto dei partiti) deteneva i reali poteri decisonali finanziandosi per di più illecitamente (e nulla cambiò la successiva istituzione del finanziamento pubblico).

Vista la sua natura non avrebbe potuto fare altrimenti, come arrivò a riconoscere Craxi nel triste discorso del 3 Luglio 1992 (in foto), davanti ad un Parlamento sbigottito quanto colpevole: «I partiti hanno ricorso e ricorrono a risorse aggiuntive in forma illegale o irregolare (...) se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora tutto il sistema sarebbe criminale (...) non credo ci sia nessuno in quest’aula che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario (...)». E infatti nessuno si alzò... [guarda il video]
La politica italiana fu quindi diretta per 50 anni da un “comitato d’affari” che, per il modo in cui era nato e le idee (?) da cui era guidato, non riuscì mai a fare i veri interessi della Nazione (se si eccettuano sparuti episodi).

Il paese è stato un perfetto esempio di partitocrazia (termine coniato dal giurista G. Maranini già nel 1949) al suo “massimo splendore”, che «occupa ogni spazio possibile per compensare in termini di potere la perdita di consenso» (come disse lo storico Marco Gervasoni). Il reale potere decisionale dei cittadini viene svuotato e l’unica sintesi che si realizza è quella tra i vantaggi dei governanti. Questo stato di cose fu interrotto non da un ravvedimento della classe politica italiana, ma solamente dall’entrata in campo di forze economiche esterne, ovvero la “massoneria internazionale” di cui ha parlato il Sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi (in foto) nella conferenza del 1 Aprile 2009 a CasaPound. Francesco Cossiga, con una delle sue celebri “picconate”, rivelò le modalità: un incontro sul panfilo Britannia in cui i banchieri della City dettarono le condizioni della svendita del patrimonio pubblico italiano ai maggiori esponenti finanziari italiani (Prodi e Draghi in primis).

Compiuto tale scempio ed eliminato il massimo capro espiatorio Bettino Craxi (perché lui sì e il PCI, parimenti colpevole a livello locale e coperto di rubli, no?), tutto è tornato nella paludosa “normalità democratica”.
Le elezioni sono diventate (se possibile) ancor più momento di “scelta apparente” e la vita del popolo ha continuato ad essere guidata da potenze, interessi e dinamiche ad esso estranei. Il “comitato daffari” partitico si è rinnovato per trovarsi peggiore di prima: vista l’inesistenza di un’entità statale organica e superiore (o almeno di un’istituzione quale è tradizionalmente la Monarchia in Inghilterra), esso ha continuato ad agire secondo la sua natura: portando avanti interessi di casta a danno della collettività, il cui intimo significato gli è sconosciuto.
Per non avere problemi, i “camerieri dei banchieri” hanno accentuato il servilismo verso i poteri forti (Pound resta ancora il miglior “filtro” per capire l’economia), senza farsi mancare stretti rapporti con la criminalità organizzata (che ha introiti da capogiro, e spesso e volentieri decide le elezioni al Sud).

Ma il “sovrano” e “libero” popolo italiano non ha trovato di meglio che combattere e pontificare (60 anni dopo molti hanno ancora la bava alla bocca) contro chi aveva cercato e spesso trovato la soluzione al problema economico (IRI, Corporazione, Socializzazione delle imprese), messo fuori legge la massoneria, debellato le mafie, acquisito indipendenza sul piano internazionale e modernizzato il paese (gli edifici fascisti allAquila sono rimasti in piedi, non serve aggiungere altro).

Risultato: ci troviamo con la possibilità, grazie ad una magica X sulla scheda, di poter cambiare e migliorare il paese... sciegliendo tra candidati corrotti, manovrati e complici della rovina in cui ci troviamo. Non sono pochi quelli che, pur sapendolo, votano lo stesso “turandosi il naso” o per mero interesse. Democrazia?

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1 commento:

  1. Lorenzo caboara ha scritto già agli inizi del 1900 un libro dal titolo "partitocrazia cancrena dello stato". Il pericolo era già stato prospettato tanto tempo fa. Ciao a tutti

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