sabato 27 giugno 2009

Jünger: L’operaio e la mobilitazione totale




L’espressione “mobilitazione totale” (totale Mobilmachung) appare per la prima volta in un omonimo articolo di Jünger del 1930, in cui se ne spiega appieno il significato. Ciò deriva dalla constatazione che la guerra mondiale è stata un tipo totalmente nuovo di guerra: «Alle guerre dei cavalieri, dei re e dei cittadini fanno seguito le guerre dei lavoratori – guerre della cui struttura razionale, e del cui estremo grado di spietatezza già il primo grande confronto del XX secolo ci ha fornito un presagio».

Il passaggio alla pace, dopo la Grande Guerra, non ha coinciso affatto con un ritorno alla vita di prima, ma è stato un processo altamente rivoluzionario, parzialmente soffocato in alcuni Paesi, come in Francia e in Germania, e portato a termine in altri, come in Italia e in Russia, dove la Rivoluzione ha instaurato un nuovo e più organico regime a vocazione totalitaria, ovvero che investe ogni aspetto della vita civile. La mobilitazione alla guerra di tutta la società, dalle masse alle élites, è stata estesa come mobilitazione bellica al lavoro in tempi di pace. Così, anche l’emergenza del Quarto Stato è stata inquadrata in modo ferreo nel corpo vivo della nazione.

Tuttavia, il vero valore della mobilitazione totale, non deriva tanto dal lato tecnico, quanto dalla prontezza e dalla coesione del popolo in questione. La chiave per compiere questo processo sta nell’effetto propagandistico, ovvero saper influire su tutti i componenti della società, al fine di coniugare le forme della civilizzazione e del progresso con la forza elementare e primigenia del popolo.

Jünger accusa esplicitamente la Germania di aver perso la guerra per non essersi saputa mobilitare per intero, ma a posteriori possiamo estendere un’accusa simile alle potenze dell’Asse nella Seconda Guerra Mondiale, dove l’incompletezza di una vera e propria mobilitazione totale, soprattutto nel caso dell’Italia, minò lo sforzo bellico italo-tedesco. Emblematico a questo proposito è invece un conflitto come l’intervento americano in Indocina, in cui il Vietnam del Nord seppe bilanciare l’assoluta inferiorità tecnica con una mobilitazione della popolazione pressoché completa.

L’altro grande polo della questione, è legato al tipo umano necessario e correlato al concetto di
mobilitazione totale. Ne parla il più complesso e provocatorio libro di Jünger, L’operaio: forma e dominio (ed. Guanda, trad. di Q. Principe), già commentato da studiosi d’eccezione quali Delio Cantimori e Julius Evola, e subito fatto oggetto di seminari accademici da parte di Heidegger. Nonostante il suo intento sia di fornire una diagnosi non ideologizzata, non fu immune da polemiche da parte di ampia parte della Destra tedesca, da Spengler ai nazionalsocialisti, ai nazionalbolscevichi. L’operaio è definito in maniera esatta come una Gestalt (forma), un Typus umano, situato in un quadro generale contestuale al cambiamento radicale della società avviato con le rivoluzioni industriali e l’avvento della modernità, parallelamente alla crisi del mondo borghese. Questa fase di transizione ha un carattere essenzialmente anarchico e caotico.

Riguardo quindi alla parte più propriamente descrittiva e positiva, emerge una fenomenologia dell’operaio ben delineata. Per inciso, a scanso di equivoci, vale la pena premettere come non si tratti tanto di un modello propositivo bensì, appunto, descrittivo. Anche il soldato, in questa nuova ottica, viene ricondotto come tipo a un aspetto particolare dell’operaio, che ne annuncia l’affermazione, quello militare. Non a caso, infatti, sono presenti nell’opera diversi riferimenti all’esperienza bellica. Allo stesso modo il concetto di mobilitazione totale, descritto nel saggio omonimo, da un punto di vista sociologico, si presenta come annunziatrice del dominio planetario dell’operaio.

In conclusione, esprimere il lavoro e portare a compimento la tecnica sono i caratteri essenziali di questa forma, e sono contestuali e necessari alla costruzione di un dominio ad ogni livello della realtà: sociale, economico, politico, militare, ma anche artistico e intellettuale. Inoltre, descrivendola in senso collettivo, si può parlare di costruzioni organiche, site in un rapporto organico di partecipazione con il singolo, diversamente dal contrasto insanabile borghese tra massa e individuo. In questo modo, sono poste le basi per una partecipazione totale al dominio planetario, la democrazia del lavoro, dove il lavoro svolge una funzione insieme parificatrice e gerarchizzante, in base alla quantità di lavoro espressa.

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3 commenti:

  1. Certo che se la cosiddetta "Area" è rimasta alle elaborazioni dell'Operaio - e per come lo intendeva Evola, per giunta - allora si giustifica pienamente il ruolo di marginalità culturale, prima che politica, in cui si è sempre più rannicchiata in questi anni.

    Nell'epoca della globalità delle informazioni, dell'evocazione delle "potenze dell'aria" per dirla alla Carl Schmitt, ancora si va parlando del "dominio planetario dell'operaio", che era già vecchio negli anni '50.

    Sarebbe ora che ci si svecchiasse (non è una critica al blog, cui anzi faccio i complimenti, sia chiaro!), visto che gli scenari planetari futuri lasciano aperte praterie e fanno intravedere milioni di pagine bianche da scrivere e da riempire con risposte nuove. Che non sono certo quelle di Juenger e di Evola, che va bene leggere, ma sono da archiviare come vegliardi del secolo scorso.

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  2. L'"Area" è rimasta ferma alle elaborazioni dell'Operaio? E da cosa lo si dedurrebbe caro Qzer? Perchè poi effettuare queste considerazioni criticando l'articolo di un blog (che non mi pare portavoce di qualsivoglia "cosiddetta Area"), salvo poi fargli i complimenti?

    Apparte questo, ci si può tranquillamente "svecchiare" (penso a CasaPound) senza perdere la passione per le proprie radici e l'approfondimento delle grandi figure del passato. I cui insegnamenti spirituali, spesso, rimangono più che mai attuali.

    Poi sia chiaro, se hai idee e proposte interessanti per riempire i milioni di pagine bianche che gli scenari planetari futuri ci offrono, saremo ben lieti di ospitarle sul nostro blog. E dico sinceramente, senza alcun intento polemico.

    Un saluto

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  3. Non sono assolutamente d'accordo con Qrzer.
    La società contemporanea, proprio quella prevista dal filosofo tedesco ne l'Operaio, ti spinge a ragionare in termini di "vecchiume" o, sinonimo contemporaneo, "sorpassato", quando invece il pensiero filosofico, per definizione non ha età. Basti pensare che nelle università si studia ancora Platone e Aristotele.
    Il tema vero de l'Operaio non è il lavoratore in sè, o il "proletario"...ma è il nichilismo. L'ospite inquietante del quale parla Nietzsche.
    E questo, mio caro Qrzer, è forse l'argomento più importante del quale si possa parlare.
    Io invece di archiviarlo, ti inviterei a leggerlo con maggiore attenzione.

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