L’approccio del giovane Jünger alla Grande Guerra fu molto simile a quello di molti altri adolescenti tedeschi dell’epoca, ovvero nelle sue parole, caratterizzato da un entusiasmo totale:
«Avevamo lasciato aule universitarie, banchi di scuola, officine; e poche settimane d’istruzione militare avevano fatto di noi un sol corpo bruciante d’entusiasmo. Cresciuti in tempi di sicurezza e di tranquillità, tutti sentivamo l’irresistibile attrattiva dell’incognito, il fascino dei grandi pericoli. La guerra ci aveva afferrati come un’ubriacatura. Partiti sotto un diluvio di fiori, eravamo ebbri di rose e di sangue. Non il minimo dubbio che la guerra ci avrebbe offerto grandezza, forza, dignità. Essa ci appariva azione da veri uomini: vivaci combattimenti a colpi di fucile su prati fioriti dove il sangue sarebbe sceso come rugiada. “Non v’è al mondo morte più bella…” cantavamo. Lasciare la monotonia della vita sedentaria e prender parte a quella grande prova. Non chiedevamo altro». (In Stahlgewittern, I).
D’altra parte, prima dell’arruolamento, compiuto a 19 anni dopo aver anticipato l’esame di licenza, egli aveva già fatto parte del movimento giovanile dei Wandervögel, e, l’anno precedente, era fuggito da casa per arruolarsi nella Légion Étrangère in Africa, e da lì aveva ancora tentato avventurose evasioni per raggiungere il cuore del Continente Nero.
Questa è, in breve, la cronistoria della sua gloriosa partecipazione alla Grande Guerra: arruolatosi come volontario, dopo un periodo di convalescenza e di addestramento fu riarruolato come alfiere nel Füsilier-Regiment Generalfeldmarschall Prinz Albrecht von Preußen (Hann.) Nr 73 “Gibraltar”. Combatté a Les Eparges (aprile 1915), nella Battaglia della Somme a Guillemont e Combles (agosto 1916), nella Battaglia di Arras (aprile 1917), nella Terza Battaglia di Ypres (luglio e ottobre 1917), nella Battaglia di Cambrai (novembre 1917) e nell’Offensiva di Primavera (marzo 1918), venendo ferito in totale quattordici volte e decorato con lo Eisernes Kreuz 1. Classe (gennaio 1917), con il Kronenorden von Hohenzollern (novembre 1917) e infine la Pour le Mérite, la più alta decorazione prussiana (settembre 1918), di cui fu l’ultimo sopravvissuto tra i portatori, pur essendo stato uno dei pochi ufficiali a riceverla (insieme a Rommel, Richtofen e altri).
Le sue esperienze sono descritte ampiamente nel capolavoro d’esordio In Stahlgewittern (Nelle tempeste d’acciaio), e nelle opere memorialistiche Der Kampf als innerer Erlebnis (La lotta come esperienza interiore), Sturm (Il tenente Sturm), Das Wäldchen 125 (Boschetto 125), Feuer und Blut (Fuoco e sangue) e l’importante raccolta Scritti Politici e di Guerra 1919-1933.
All’indole festosa e all’allegria selvaggia dell’inizio, che formano una certa aria di convivialità, si va poi ad affiancare una sempre crescente consapevolezza. L’esperienza del campo di battaglia forgia il soldato, ma non ne tarpa l’ardimento, bensì questo cambia: dal coraggio proprio dell’inesperienza e dell’entusiasmo, si passa al coraggio conferito dalla lucidità e dall’esperienza. Cruciale è dunque il punto di svolta, così descritto:
«La grande battaglia segnò una svolta nella mia vita interiore, e non soltanto perché ormai consideravo possibile la nostra sconfitta. L’enorme concentrazione di forze, nell’ora fatale in cui s’iniziò la lotta per un lontano avvenire e lo svolgersi così sorprendente e inatteso degli avvenimenti successivi mi misero per la prima volta di fronte all’imponderabile, di fronte a elementi estranei all’uomo e a lui superiori in senso assoluto. Fu un’esperienza completamente diversa da tutte le mie precedenti; era un’iniziazione che non apriva soltanto le incandescenti camere del terrore, ma anche le attraversava» (In Stahlgewittern, XVII).
Dopo di esso, si è passati dall’ardimento cieco al coraggio come dominio di sé e calma serafica, che però deve sfociare nell’azione, per evitare ad ogni costo l’inerzia e la noia. Questa è la chiave che conferisce valore a un guerriero, un valore spirituale che lo pone al di sopra della massa e che lo rende decisivo per la vittoria.
Più tardi, emerge già una concezione più complessa, che considera l’esperienza bellica anche da un punto di vista più ampio. Il racconto Sturm, ad esempio, attraverso la vicenda dell’ufficiale esteta omonimo, sviluppa una duplice e ambigua visione della guerra: quella dello scontro tra due Stati moderni a scapito e a danno degli individui, già ridotti dallo Stato a singoli isolati; e quella dell’esperienza di vita fertile di un nuovo tipo umano, capace forse di ricomporre lo strappo avvenuto tra Stato e individuo, o quanto meno sopravvivervi. In questo senso, il pensiero di Jünger porta alla concezione di mobilitazione totale, che è ciò che richiede la guerra moderna per essere vinta. In quest’ambito, anche al soldato è richiesto di partecipare a questa mobilitazione, divenendo un ingranaggio tra i tanti, e in questo caso Jünger fornisce preziosi consigli ed esperienze per conservare la propria unicità e riconciliare la propria libertà individuale con le esigenze del collettivo.
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