10 febbraio 1918: «Ci siamo affilati nella lunga attesa come sopra la ruota di un arrotino difficile. Siamo tutti taglio e punta, fissi su una rude impugnatura… Credo che di rado uomini furono così compiutamente pronti ad un’azione disegnata. Nulla manca, tutto è previsto. L’indugio non ci giova più, ci logora…».
Con queste parole Gabriele D’Annunzio (1863 – 1938) racconta le ore precedenti di una delle imprese più audaci, irriverenti e, purtroppo, sconosciute della storia della marina italiana.
Siamo nell’ultimo anno della Prima Guerra Mondiale e l’Italia è appena uscita col morale a pezzi da una delle sconfitte più pesanti dal punto di vista militare, e non solo, dell’intera guerra: la disfatta di Caporetto. Disfatta che farà emergere i grossi limiti dell’esercito italiano e comporterà un rovesciamento interno ai vertici dello stesso con la successione di Diaz a Cadorna.
Proprio in questo contesto di scoramento generale matura l’idea dell’azione che, pianificata già da dicembre, solo a causa delle cattive condizioni meteorologiche e dell’attesa delle ricognizioni aeree sulla Baia, fu posticipata all’11 febbraio.
Gli equipaggi dei MAS, dopo essere stati scortati da unità leggere e da due torpediniere, cominciarono ad avanzare sole e non senza poche difficoltà, e proprio in quel momento difficile D’Annunzio trovò le parole che spingono il cuore sempre oltre, coniando quel motto che ancora riecheggia in tutte le azioni audaci: Memento Audere Semper.
11 Febbraio 1918: «Nasce il nuovo giorno… navighiamo da quattordici ore. Teniamo da cinque ore le acque del nemico. Gli siamo entrati nella strozza, e poi nel profondo stomaco […] Un allarme, e andiamo in predizione».

Infine, c’è la stoccata dell’uomo che incarna il «pensiero azione» e che tinge l’impresa di un particolare sapore beffardo, facendo sì che la «beffa» assuma anche contorni carnevaleschi e un romanticismo d’altri tempi.
Le tre bottiglie nastrate tricolore che D’Annunzio lasciò nella baia recavano questo messaggio:
«In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorte di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia».
La notte era passata e i MAS con a bordo i cuori intrepidi facevano ritorno a casa. È proprio vero: l’alba non è uguale per tutti.

«Lasciamo dietro di noi le soglie del Quarnaro posseduto. La nostra piccola bandiera quadrata si muove come una mano che faccia di continuo cenno. Ha il rosso rivolto verso l’Istria che mi par di rivedere in sogno, simile a un grappolo premuto o a un cuore pesto. Ho l’amaro del sale in bocca…
L’alba non è uguale per tutti.
Dall’Italia navighiamo verso l’Italia!» (Gabriele D’Annunzio).
Articolo redatto da un giovane del Circolo Futurista-Casal Bertone.
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