mercoledì 27 ottobre 2010

«I mercenari»: torna alla grande l’action movie



Articolo pubblicato in «Occidentale», settembre 2010, pp. 39-40.


È giunta recentemente nelle sale cinematografiche italiane, stracciando record d’incassi, la nuova fatica di Sylvester Stallone: I mercenari. Un successo che mette a tacere alcuni critici poco generosi e poco elastici, quelli che vorrebbero caterve di pellicole impegnate, con denuncia sociale (meglio ancora se moralistica) e con introspezioni psicologiche da strizzacervelli. E invece no: lo «stallone italiano», tirato a lucido e superallenato (anche con l’ausilio di qualche bella «bomba»), batte tutti riesumando il genere classico dell’action movie anni Ottanta, di cui il film vuole essere un pirotecnico tributo.

Chi è che non ha mai visto Grosso guaio a Chinatown, Tango & Cash, Rambo, Terminator o Codice Magnum? In effetti il film d’azione ha costituito un filone fondamentale del cinema negli ultimi trent’anni, sebbene ultimamente sia passato un po’ di moda, anche a causa dei recenti strampalati e patetici tentativi di emulazione, sicché non era facile per Stallone riproporre il genere senza cadere nel ridicolo (e con Rocky VI e Rambo IV ci era andato molto vicino…). Allora il regista ha deciso di andarci giù pesante, realizzando un piccolo «kolossal» dell’action movie, e reclutando i migliori action men su piazza.

Il cast, infatti, è ricco e qualitativamente superbo. Oltre a Stallone, troviamo così Jason Statham (esperto di Kickboxing e Valetudo), Jet Li (campione di Wushu e icona del cinema d’azione cinese), Terry Crews (ex giocatore di football), Randy Couture (campione di Valetudo e lotta greco-romana) e Dolph Lundgren (il mitico Ivan Drago di Rocky IV, ex campione di Karate): è questa la squadra degli Expendables, dei «Sacrificabili». Ma anche tra le comparse e i ruoli minori troviamo campioni di arti marziali, magari non molto famosi in Italia, ma veri vip negli Stati Uniti: le guardie del corpo del «cattivo» sono, per esempio, Steve Austin (ex wrestler) e Gary Daniels (esperto di Karate e Kickboxing).

Ma la lista si allunga, se pensiamo ad altri che hanno rifiutato, ognuno per motivi particolari, la «chiamata alle armi» di Stallone, attori e artisti marziali del calibro di Steven Seagal, Kurt Russell, Jean Claude Van Damme, Jackie Chan e Wesley Snipes. Da ciò si capisce bene come tutti gli amatori dell’action movie e delle discipline da combattimento siano accorsi numerosissimi ai botteghini per vedere i loro paladini all’opera. Per certi versi, un successo annunciato.

La storia, per il resto, non è un granché originale, ma il suo svolgimento è elettrizzante. Sostanzialmente, il film tratta di un gruppo di mercenari, gli Expendables (i «Sacrificabili»), specializzato in operazioni ad altissimo rischio. La squadra è composta da Barney Ross (Stallone), il capo, Lee Christmas (Jason Statham), esperto in armi da taglio e in pena d’amore, Yin Yang (Jet Li), cinesino piccolo ma letale, Toll Road (Randy Couture), un ex wrestler in cura dall’analista e con un orecchio a forma di cavolfiore, Hale Caesar (Terry Crews), che vive un intenso rapporto amoroso con la sua «fidanzata» (cioè un grazioso fucile mitragliatore dai proiettili in grado di spappolare un uomo con un sol colpo) e Gunnar Jensen (Dolph Lundgren), un gigante sanguinario e un po’ squilibrato a causa dell’uso smodato di stupefacenti.

È proprio Gunnar che, all’inizio, si farà cacciare da Barney, a seguito di un’azione su un cargo di terroristi somali. La missione è compiuta, gli ostaggi sono salvi, ma il capo non se la sente di tenere con sé un uomo tanto imprevedibile e inaffidabile.
La squadra si riunisce poi da Tool (un grande Mickey Rourke, benché un po’ troppo fuori forma), un tatuatore donnaiolo ed ex membro del gruppo che svolge ora il ruolo di tramite tra la banda e i mandanti.

Arriva quindi la chiamata per un nuovo incarico, un’azione in un piccolo inferno latinoamericano, un’isola fittizia del Golfo del Messico (Vilena) che conta appena 6000 anime e una guarnigione di 200 soldati. L’offerta «ufficiale» si svolge in una chiesa deserta. Ma quella che potrebbe apparire una scena banale e secondaria si trasforma in uno vero e proprio show: il mandante è impersonato da Bruce Willis, mentre il concorrente di Barney è Arnold Schwarzenegger. I due attori, icone del cinema d’azione, si prestano a questo breve ma intenso cameo, in cui fioccano citazioni e allusioni varie. Se infatti Trench Mauser (Schwarz) declina sarcasticamente l’offerta in favore di Barney perché quest’ultimo «è pratico di giungla» (chiaro riferimento a Rambo), il capo dei Sacrificabili, rispondendo al mandante sul perché Trench è così impegnato da rifiutare il lavoro, dice: «vuole diventare Presidente».

Allusione senz’altro interessante, benché realizzata in un clima goliardico e scanzonato. Schwarzenegger, come tutti sanno, è il governatore della California, e non è affatto peregrina l’ipotesi che si possa candidare alla presidenza. D’altronde non è la prima volta che la potente lobby di Hollywood dà una mano alla politica statunitense. Tra i tanti casi, qualcuno forse ricorderà il «cattivone» di Mission Impossible II (2000), impersonato da un Dougray Scott un po’ troppo simile a Jörg Haider, proprio dopo il successo nel 1999 del politico austriaco. O forse si potrebbe citare il caso di Spielberg che, non reputando più spendibile il Male Assoluto (il nazismo), nel penoso Indiana Jones IV (2008) virò sulla Russia sovietica nel ruolo di «Stato malvagio», proprio mentre si andava consumando la crisi USA-Russia in merito alla questione georgiana per l’Ossezia, con inoltre il capitano dei russi che presentava forti somiglianze con Putin.

Forse, anzi probabilmente, il cameo di Schwarz non è niente di più di ciò che sembra, e cioè una scenetta divertente piena di succose gag. Però, quel che è certo, conoscendo la grande preparazione politico-culturale dell’elettorato statunitense, è che il «nostro» Terminator avrà corposamente accresciuto la sua popolarità. Tra l’altro non sarebbe affatto assurda l’ipotesi, dopo il quadriennio da soft power di Obama, del ritorno a un Presidente risoluto e cazzuto, tipo Schwarz. E poi, non era forse anche Reagan un attore? Vabbe’, chi vivrà vedrà…

Tornando a noi, Barney e Lee si recano, a bordo del loro aeroplano, all’isola di Vilena per un sopralluogo, dove il generale Garza (David Zayas), l’obiettivo della missione, ha da poco instaurato una dittatura militare. Qui i due sono guidati da Sandra (Giselle Itié), una giovane e avvenente ragazza del luogo, che poi scopriranno essere la figlia di Garza. Fermati dai soldati, dovranno dare un saggio delle loro capacità massacrando il plotone. Riescono infine a scappare (non senza aver prima mitragliato e incenerito dall’aereo i rinforzi), ma la ragazza non li segue, scegliendo coraggiosamente di rimanere.

Una volta ritornati negli States, vengono a conoscenza dell’identità del loro mandante (che si era fatto chiamare Mr Church), ossia un agente della Cia che vorrebbe far uso di loro per eliminare il vero obiettivo dell’operazione, James Monroe (Eric Roberts, fratello sfigato di Julia), un ex agente dei servizi segreti americani e il reale burattinaio che muove i fili a Vilena, in cui spera di fare grossi affari grazie al traffico di droga. A queste condizioni, ovviamente, la missione salta.

C’è però qualcosa che frulla nella testa di Barney e che non lo fa dormire: il coraggio di Sandra e la sua fede nel proprio ideale, per cui è pronta ad andare incontro a morte certa, mentre lui, il mercenario senza valori, è morto nell’anima. È qui che si inserisce l’accorato discorso di Tool, che francamente suona un po’ melenso e manierato, e che poco spiega della vera essenza della figura del mercenario. E questo discorsetto è proprio un elemento pressoché inesistente nella classica pellicola d’azione, spesso fine a se stessa, priva di catarsi finale, e che ha proprio nella sua spensieratezza tra legnate, risse e battute salaci la sua ragion d’essere. Eppure sembra ormai diventato un marchio di fabbrica dell’ultimo Stallone.

Insomma, per farla breve, Barney decide di tornare a Vilena per salvare la ragazza dai cattivi, e i suoi fidi commilitoni si uniscono a lui in quella che è diventata ormai un’azione suicida. I combattimenti sull’isola sono numerosissimi e tecnicamente molto curati, una vera chicca per gli amanti del genere. Non mancano poi riferimenti e citazioni, come, per esempio, il combattimento decisivo tra Toll e Dan Paine, cioè tra Couture e Austin, i due campioni di lotta, o come il lancio footballistico di un’enorme bomba da parte di Terry Crews. Ed è proprio questo il punto di forza del film: le mirabolanti e pirotecniche scene d’azione. Potrebbe sembrare un’affermazione tautologica, eppure l’action movie è riproposto con perizia e innovazioni tecniche di notevole livello, il tutto condito dalle solite battute goliardiche e irriverenti.

In definitiva, un bel film che centra i suoi obiettivi: tributo al genere classico degli anni Ottanta e superincassi al botteghino. Se siete appassionati di arti marziali e di film d’azione, se volete trascorrere una piacevole serata con gli amici, all’insegna di ossa rotte e di cazzeggio, non ne rimarrete affatto delusi. Se, invece, siete borghesucci con monocolo e sensibilità al caviale, incalliti fan dei trentenni falliti e delle lagne di Özpetek e Almodóvar, allora restatevene a casa: non fa per voi...

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