Introduzione
Questo scritto intende trattare in modo conciso ma sostanzialmente esauriente la questione relativa all’interesse e ai rapporti di Delio Cantimori (1904 – 1966) con il concetto di «corporativismo», a sua volta centrale nel dibattito ideologico e politico che all’interno del fascismo si sviluppò, durante l’intero arco della parabola movimentistica e di governo, dalla fondazione dei Fasci di Combattimento alla fine della Repubblica Sociale. All’apparenza una tematica ampia, si dimostra in realtà mai affrontata e trattata direttamente dallo storico romagnolo sul piano elaborativo (1), il che limita di molto il materiale storiografico disponibile per questo tipo di analisi. In più, va detto che il suo interesse fu concentrato nel primo quinquennio degli anni ’30, periodo in cui appunto fu più intenso il dibattito intorno al corporativismo. Eppure al tempo stesso il corporativismo risulta essere, come si vedrà, una questione fondamentale all’interno del percorso politico di questo autore, e che addirittura può aiutare a spiegare soddisfacentemente molte sue scelte, in particolare l’evoluzione dal socialismo di matrice mazziniana, attraverso il fascismo, fino al bolscevismo (2).
Cantimori fu molto vicino però all’ambiente pisano della Scuola di perfezionamento in scienze corporative e partecipò a quello che chiamerà il «gran momento del corporativismo» (3). Senza dubbio, egli s’interessò della questione, studiandone le varie correnti e dimostrando di averne presenti le differenti interpretazioni scientifiche e sfumature ideologiche, «da quella del gruppo di ‘Secolo Fascista’ a quella del Pirelli» (4), «dal collettivismo accentuatissimo, per es. di ‘Critica Fascista’, all’accentuatissimo individualismo di A. Pirelli» (5). Al tempo stesso, il corporativismo era null’affatto un mero oggetto di studio, da esaminare asetticamente, bensì una dottrina politica cui l’autore aderiva, e al cui studio si dedicava con grande passione, pur mantenendo sempre una grande onestà critica. In una lettera, scritta a Pavia il 9 marzo 1933 e indirizzata a Giovannino Gentile, egli affermava di credere al corporativismo
Questo scritto intende trattare in modo conciso ma sostanzialmente esauriente la questione relativa all’interesse e ai rapporti di Delio Cantimori (1904 – 1966) con il concetto di «corporativismo», a sua volta centrale nel dibattito ideologico e politico che all’interno del fascismo si sviluppò, durante l’intero arco della parabola movimentistica e di governo, dalla fondazione dei Fasci di Combattimento alla fine della Repubblica Sociale. All’apparenza una tematica ampia, si dimostra in realtà mai affrontata e trattata direttamente dallo storico romagnolo sul piano elaborativo (1), il che limita di molto il materiale storiografico disponibile per questo tipo di analisi. In più, va detto che il suo interesse fu concentrato nel primo quinquennio degli anni ’30, periodo in cui appunto fu più intenso il dibattito intorno al corporativismo. Eppure al tempo stesso il corporativismo risulta essere, come si vedrà, una questione fondamentale all’interno del percorso politico di questo autore, e che addirittura può aiutare a spiegare soddisfacentemente molte sue scelte, in particolare l’evoluzione dal socialismo di matrice mazziniana, attraverso il fascismo, fino al bolscevismo (2).
Cantimori fu molto vicino però all’ambiente pisano della Scuola di perfezionamento in scienze corporative e partecipò a quello che chiamerà il «gran momento del corporativismo» (3). Senza dubbio, egli s’interessò della questione, studiandone le varie correnti e dimostrando di averne presenti le differenti interpretazioni scientifiche e sfumature ideologiche, «da quella del gruppo di ‘Secolo Fascista’ a quella del Pirelli» (4), «dal collettivismo accentuatissimo, per es. di ‘Critica Fascista’, all’accentuatissimo individualismo di A. Pirelli» (5). Al tempo stesso, il corporativismo era null’affatto un mero oggetto di studio, da esaminare asetticamente, bensì una dottrina politica cui l’autore aderiva, e al cui studio si dedicava con grande passione, pur mantenendo sempre una grande onestà critica. In una lettera, scritta a Pavia il 9 marzo 1933 e indirizzata a Giovannino Gentile, egli affermava di credere al corporativismo
non come fatto ma come tendenza. Ma si può credere a un fatto? Ci credo perché non è un fatto ma un farsi. Ti dirò che ho letto con vera commozione gli articoli ultimi di Ugo Spirito, e l’avvertimento che gli è stato dato sull’Educazione Nazionale [fascista][...] Ma nonostante tutto, credo che Mussolini saprà trar fuori i giovani necessari a quest’opera, e saprà sopratutto dar la spinta motrice a tutto il ‘sistema corporativo’ e dar concretezza al generico ‘andare al popolo’ (6).
Al proposito di approfondire meglio è opportuno vedere come il corporativismo divenga in Cantimori misura di confronto politico con le altre realtà politiche ed ideologiche, anche e soprattutto nel caso di altri modelli politici e socioeconomici, oltre al fascismo, che si ponevano come alternativi rispetto al sistema capitalista e liberaldemocratico, come il bolscevismo e il nazionalsocialismo.
Il corporativismo fascista
L’interesse del giovane studioso fascista Delio Cantimori per la tematica del corporativismo è rivelato per la prima volta da uno scritto del 1930, comparso su «Vita Nova», laddove tratta del VI Congresso annuale della Federazione Internazionale delle Unioni Intellettuali, e in particolare dell’intervento di Carl Schmitt, Die europaeische Kultur in Zwischenstadien der Neutralisierung. Le corporazioni sono indicate come una sintesi di tecnica e cultura, e come la caratteristica fondamentale dello Stato fascista:
Così la organizzazione culturale delle corporazioni, dove accanto alla cultura professionale e tecnica è unita la educazione secondo la morale di ordine e disciplina che il Governo Fascista ama accentuare come propria, appare di nuovo risposta chiara e netta ai bisogni della civiltà europea, sforzo importantissimo per assimilare tutta la importanza della tecnica, alla quale le masse si volgono con desiderio ed ammirazione, ad un organismo superiore ed animato da una intensa vita morale, come è lo stato italiano (7).
Non si tratta di un intervento casuale: in quel periodo era appena stato dato nuovo slancio al corporativismo, con la nomina di Giuseppe Bottai a Ministro delle Corporazioni (12 settembre 1929) e la messa in opera da parte sua di una riforma del Consiglio Nazionale delle corporazioni (20 marzo 1930) e di un Archivio di Studi Corporativi. Cantimori non ha contatti diretti con il Ministro, ma partecipa lo stesso a questo clima, definendo il contributo di Bottai a quel congresso «l’unica relazione che abbia senso di realtà e sia confortata dalla pratica» (8), e ribadendo che il sistema corporativo costituisce il fondamento del fascismo come fenomeno d’importanza europea e di soluzione reale alla crisi dell’Europa sul piano sociale ed economico, rendendolo ben diverso dunque da movimenti e regimi di carattere nazionalista, razzista, conservatore o reazionario.
La rivoluzione corporativa fascista non ha nulla a che fare con queste malinconie […]. Il Fascismo deve rappresentare la sintesi dialettica dell’esigenze rappresentate dall’estremo rivoluzionarismo come dall’estremo reazionarismo: questa sintesi il Fascismo l’ha trovata, e di portata europea reale, e non solo propagandistica, nel sistema corporativo, per il problema sociale (9).
Questo discorso è affrontato nell’articolo di «Vita Nova», Fascismo, nazionalismi e reazioni (10), dove intende mostrare le differenze tra il fascismo italiano e i vari movimenti nazionalisti e reazionari europei, e la sua convergenza semmai proprio col bolscevismo sovietico, che dai primi è additato a nemico capitale. Questa differenza è propria già dello Stato corporativo, che è connotato come l’ordinamento dello Stato indissolubilmente legato all’ideologia fascista. Gli altri movimenti non essendo tesi alla creazione di uno Stato corporativo ma anzi essendo volti a preservare l’ordine sociale preesistente di fronte alle correnti rivoluzionarie bolsceviche, non possono essere accostati al fascismo o addirittura definiti tali.
Autorità, Ordine, Giustizia, non vogliono dire Reazione o Restaurazione; lo Stato corporativo non è uno Stato medievale né assolutistico né capitalistico, ed in esso è espressamente riconosciuta la iniziativa privata, libera. E la iniziativa individuale, per quanto, naturalmente, condizionata dallo Stato e dalla Nazione, non può essere iniziativa se non è libera, perché, ed è facilissima logica, altrimenti non sarebbe più tale. Lo Stato corporativo non è uno Stato di funzionari o d’impiegati, se non si vuol attribuire alla parola funzionario un senso tanto vasto da identificarla con la parola cittadino! (11)
La sua critica dunque riguarda innanzitutto il reazionarismo, coi suoi atteggiamenti di tipo sciovinista, razzista, populista, clericale, dai quali gli preme di prendere le dovute distanze:
Ora, tutto questo non ha, come è chiaro, nulla a che fare con il Fascismo, che non è il Comunismo e che quindi ha, nella sua fondamentale unità, grande varietà di atteggiamenti nei suoi uomini, fra i quali troviamo anche i reazionari […]. Su questo è inutile insistere: ogni fascista fedele al suo giuramento di fedeltà, e pronto a ubbidire agli ordini dei capi, può svolgere ed affermare le proprie idee e discutere quelle degli altri […]. Ora certi gruppi reazionari, specialmente quelli a carattere sciovinistico, hanno tutta l’aria di considerare il Fascismo, umanissimo, storicissimo movimento e partito, come qualcosa di provvidenzialmente loro inviato dalle loro sopraumane e soprannaturali potenze, per liberarli finalmente da quei fastidiosissimi uomini moderni che hanno ancora la perversa idea di essere uomini e non servi […]. Non c’è dunque nessun legame necessario fra i nazionalismi sciovinistici, di origine razzistica e di prassi demagogica fuori d’Italia, con le loro idee reazionarie, ed il Fascismo, con le sue finalità rivoluzionarie sul serio, con il suo Stato corporativo, con la sua opera per eliminare ogni avanzo del passato (12).
Tuttavia, allo stesso tempo, Cantimori critica fortemente anche tutta l’impostazione di pensiero antifascista che considerava fascismo e reazionarismo affini. Si può dire che questa distinzione viene da lui fatta valere, sia nei confronti di quanti vorrebbero accostare il primo al secondo per screditare il fascismo, sia nei confronti di quanti altri invece vorrebbero accostarli per nobilitare la reazione. Lo storico ravennate ribadisce invece il valore universale, moderno, rivoluzionario e progressista del fascismo.
Chiaro è invece che il Fascismo è azione e non reazione, e che la sua universalità non ha avuto nulla a che fare con Primo de Rivera, né avrà nulla a che fare con movimenti simili […]. Abbiamo già detto più volte come la vera universalità del Fascismo sta nello Stato corporativo e nella concezione generale della vita economica che sta a fondamento di esso. Ci piace terminare come abbiamo cominciato, confortando le nostre asserzioni con parole più autorevoli delle nostre.
«La nostra esperienza corporativa dà al mondo che si dibatte nella rete delle interferenze fra Stato, gruppi ed individui, norme chiare e precise sul mutuo comportamento di questi fattori. Lo Stato forte, l’organizzazione di tutti i cittadini nell’ordinamento corporativo, la ricostituita unità familiare e soprattutto una nuova morale eroica e virile, fatta di volontarismo e di spirito di solidarietà: ecco altrettanti punti che potranno sanare la crisi europea» («Critica Fascista») (13).
Ancora, in queste poche righe, il ruolo assegnato al corporativismo è centrale a tutta l’ideologia e la prassi fascista: il corporativismo non è solo un sistema economico di gestione dei mezzi di produzione ma un sistema sociale di organizzazione della società e un sistema ideologico che comprende tutta la realtà socioeconomica. Il fascismo di Delio Cantimori o è corporativo o non è; e allo stesso modo, il corporativismo non può che dare luogo al fascismo: i due concetti sono strettamente collegati. Particolarmente interessante è l’ultimo paragrafo, che individua la necessità del corporativismo proprio in risposta al caos politico del liberalismo, in cui versava l’Europa. Il fascismo corporativista si poneva in questo modo come un’alternativa non solo al bolscevismo, ma anche ai regimi liberaldemocratici e alle dittature reazionarie.
D’altra parte, in questo senso, proprio questo tema risulta fondamentale anche per capire le motivazioni dietro alla scelta fascista di Cantimori: ovvero il lavoro di ricerca e di scommessa sul corporativismo come alternativa a una concezione reazionaria di fascismo. A questo riguardo, scrive Luisa Mangoni (14):
La constatazione del progressivo affermarsi di una concezione reazionaria del fascismo (15), trovava nell’idea di «Stato» o «società etica» una ancora possibile alternativa che gli consentiva di definirsi fascista, all’interno di una «visione politica (o etico-politica)»; erano anche queste le «ragioni storiche e filosofiche che proprio mi tengono legato, e che non vedo ancora risolvibili», di cui Cantimori scriveva a Capitini, e che lo spingevano a vivere «attivamente in politica», a studiare il dibattito sul corporativismo all’indomani del convegno di Ferrara, a proporsi di immergersi «sempre più in tali questioni» (16).
Per questo motivo, il corporativismo, pur non essendo affrontato direttamente da Cantimori, risulta un concetto fondamentale per comprendere il suo pensiero politico, che all’irrazionalismo e al romanticismo politico contrapponeva un razionalismo di matrice hegeliana neoidealista. In particolare occorre notare come, all’interno del fascismo, egli si sia confrontato con la teoria della «corporazione proprietaria» di Ugo Spirito, in generale condividendone sì la pars destruens, ovvero la «critica radicale della vecchia ‘scienza economica’» (17) per cui la sua opera risulta una polemica efficace «contro la vecchia scienza, la vecchia società, e le loro espressioni» (18), ma anche la sua pars construens, cioè anche Cantimori credeva «nella sua impresa di darci una integrale condanna della vecchia scienza economica, [egli] l’ha accompagnata da uno sforzo veramente notevole di ricostruire teoricamente la scienza stessa» (19). Conviene ora esaminare i rapporti di Cantimori con altri modelli ideologici, sempre alla luce del modello corporativista.
Note
(1) Cfr. S. BARBERA, Dalla filosofia alla storiografia: gli inizi di Delio Cantimori: 1922-1937, in G. CAMPIONI – F. LO MORO – S. BARBERA, Sulla crisi dell’attualismo, 1981.
(2) Cfr. R. PERTICI, Mazzinianesimo, fascismo, comunismo: l’itinerario politico di Delio Cantimori (1919-1943), in «Cromohs», II (1997), pp. 1-128.
(3) D. CANTIMORI, «Cronache di politica religiosa»: I nuovi statuti dell’A.C.I., in «Civiltà Fascista», VIII (1940), pp. 705-714; ora in ID., Politica e storia contemporanea: Scritti (1927-1942), a cura di L. Mangoni, Einaudi, Torino, 1991, pp. 761-770, hic pp. 762-763.
(4) ID., [recensione di A. VOLPICELLI, Corporativismo e scienza del diritto, Sansoni, Firenze, 1934], in «Leonardo», VI (1935), pp. 9-10; ora in Politica e storia contemporanea, cit., pp. 573-576, hic p. 575.
(5) ID., Scritti sul fascismo, in «Leonardo», VI (1935), pp. 380-382; ora in Politica e storia contemporanea, cit., pp. 588-591, hic p. 588.
(6) G. BELARDELLI, Dal fascismo al comunismo: Gli scritti politici di Delio Cantimori, in «Storia contemporanea», XXIV (1993), pp. 379-403, hic pp. 383-384.
(7) D. CANTIMORI, La Cultura come Problema Sociale, in «Vita Nova», VI (1930), pp. 85-91; ora in ID., Politica e storia contemporanea, cit., pp. 71-80.
(8) Ivi, p. 71.
(9) ID., Fascismo, rivoluzione e non reazione europea, in «Vita Nova», VII (1931), pp. 759-763; ora in Politica e storia contemporanea, cit., pp. 111-118, hic p. 117.
(10) ID., Fascismo, nazionalismi e reazioni, in «Vita Nova», VII (1931), pp. 3-6; ora in Politica e storia contemporanea, cit., pp. 81-87.
(11) ID., Fascismo, nazionalismi e reazioni, cit., pp. 81-82.
(12) Ivi, pp. 83-85.
(13) Ivi, pp. 86-87.
(14) L. MANGONI, Europa sotterranea, in D. CANTIMORI, Politica e storia contemporanea, cit., pp. xiii-xlii, hic p. xxx.
(15) D. CANTIMORI, Fascismo, rivoluzione e non reazione europea, cit., e Ritorno al Medioevo e crisi di viltà, già in «Vita Nova», VIII (1932), pp. 95-97, ibid., pp. 119-123.
(16) Lettera di Delio Cantimori ad Aldo Capitini senza data (agosto o primi di settembre 1932), in G. GIANCANE, Note sulla formazione «religiosa» di Aldo Capitini: dall’amicizia con Baglietto agli «Elementi» (1932-1937), tesi, Università di Firenze, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore prof. Michele Ranchetti, pp. viii-x.
(17) D. CANTIMORI, [recensione di Le encicliche sociali di Leone XIII e Pio XI, in Vita e Pensiero, Milano, 1933], in «Leonardo», IV (1933), pp. 393-394, ora in Politica e storia contemporanea, cit., p. 705.
(18) ID., [recensione di A. VOLPICELLI, Corporativismo e scienza del diritto, Sansoni, Firenze, 1934], op. cit., p. 576.
(19) Ivi, p. 573.
Continua...
Nessun commento:
Posta un commento