mercoledì 9 febbraio 2011

Schiavi delle banche

di Matteo Rovatti


La moneta, sangue di ogni economia qualitativamente superiore al baratto, dona a chi ne governa le logiche un potere quasi sacerdotale, sovente all’insaputa dei popoli che tale moneta utilizzano. Per capirlo, è necessario capire come nasce la moneta e soprattutto quali effetti essa abbia sulla nostra esistenza quotidiana.

Nella UE tecnocratica, il processo di creazione della moneta può essere approssimato grossomodo in 5 diverse fasi:

1) La BCE (Banca Centrale Europea) stampa una certa somma (mettiamo un milione di euro), sostenendo delle effettive spese tipografiche (possiamo ipotizzare che, per la cifra qui ipotizzata, si aggirino nell’ordine di alcune migliaia di euro);
2) Una banca commerciale, necessitando di liquidità, si fa scontare (anticipare il capitale) dalla BCE tramite quella moneta, un pari importo in titoli di Stato. Ovvero, la banca cede alla BCE un milione in titoli di Stato in cambio di un milione cash;
3) Il milione entra così nel circuito finanziario, in cui grazie alla copertura frazionaria dei depositi, genera strumenti fiduciari di pagamento per valori multipli rispetto all’emissione cartacea. Con una riserva al 2%, un milione di euro genera depositi bancari per 50 milioni circa;
4) Allo scadere dei titoli, la banca (generalmente) li riacquista per intascare gli interessi, pagando alla BCE, oltre al milione, anche il Tasso di Sconto Ufficiale, ufficialmente unico profitto della BCE medesima;
5) La BCE pone al passivo di bilancio il milione in cartamoneta creato dal nulla inizialmente, azzerando contabilmente il milione che ritorna indietro, e realizzando una colossale opera di elusione fiscale.

Per quanto il quinto punto presupponga certamente un illecito, in quanto il sistema bancario che controlla la BCE realizza tramite esso una quotidiana opera di occultamento di capitali (di cui chi scrive ignora del tutto l’obiettivo), in realtà ciò su cui preme soffermarsi è il terzo punto, riguardante la copertura frazionaria dei depositi, il quale rende l’attuale sistema bancario intrinsecamente pernicioso dal punto di vista macroeconomico per almeno 8 differenti motivi:


Moltiplicatore monetario

La stragrande maggioranza degli strumenti di pagamento utilizzati dal sistema economico sono fiduciari, ovvero scritturali, creati dalle banche all’atto di concedere un prestito. Una banca con un deposito liquido (in cartamoneta o titoli facilmente liquidabili) di 1 milione presso la Banca Centrale, ipotizzando un tasso di riserva del 2%, può concedere prestiti fino a 980.000 euro (quindi detratto il 2%). Ipotizzando che l’intera somma finisca sul conto della medesima persona presso una banca (la medesima o un’altra, è indifferente), questa potrà prestare 960.400 euro, e così via, fino a che dal milione iniziale non si saranno creati depositi presso il sistema bancario per 50 milioni circa, generati da decisioni private e dalla congiuntura del mercato.


Potenziale instabilità degli investimenti

Quando un risparmiatore apre un deposito a vista presso la sua banca, esso considera il medesimo come immediatamente disponibile, mentre la banca lo usa per concedere prestiti. Quindi, come notava il nobel Maurice Allais (1911-2010), si assiste all’assurdo logico e potenzialmente destabilizzante per cui attività ad una data scadenza vengono finanziate con fondi ottenuti dal finanziatore (le banche) ad una scadenza inferiore, o addirittura nulla (il deposito a vista può teoricamente essere estinto istantaneamente dal correntista). Se io deposito 1000 euro in banca, posso utilizzarli per le mie spese, più o meno arbitrariamente, ma la banca userà i medesimi come base per concedere un prestito. Il rischio, come si noterà, è più che concreto.


Instabilità fondiaria ed immobiliare

La dipendenza della massa monetaria complessiva da situazioni congiunturali è la responsabile principale della continua oscillazione dei valori del mercato immobiliare, che favoriscono la speculazione e l’accaparramento improduttivo.


Inflazione permanente

La continua, irresponsabile ed incontrollata espansione della massa monetaria, e la conseguente creazione di strumenti fiduciari di pagamento denominati in valuta ufficiale da parte delle banche tende a svalutare progressivamente l’unità di conto, causando incontrollati rialzi dei prezzi al consumo di beni e servizi. L’inflazione si verifica infatti quando in circolazione esiste troppa moneta rispetto ai beni e servizi acquistabili sul mercato, che quindi si apprezzano per compensare la differenza. È pur vero che gli aumenti non sono omogenei – checché ne possano pensare i monetaristi –, ma sono maggiori nei settori in cui la domanda è più alta (alimentare sopratutto), ed in cui comunque esistono altre spinte all’aumento dei prezzi. L’inflazione, perlomeno ai livelli reali, è profondamente ingiusta in quanto altera sia l’efficienza del mercato interno – favorendo chi fa debiti rispetto a chi risparmia, che si vede svalutato il gruzzolo faticosamente guadagnato – che la redistribuzione ottimale della ricchezza, in quanto colpisce essenzialmente i redditi fissi (salari e pensioni), ed avvantaggiando i patrimoni già costituiti rispetto a quelli da costituirsi.


Altissima pressione fiscale

Quello che si fatica a capire, a livello anche mediatico, è che l’inflazione ha il medesimo effetto di una imposta indiretta (tipo IVA), e che quindi, se fosse causata dall’emissione sovrana di moneta da parte dello Stato, essa potrebbe – auspicabilmente – portare all’abbassamento della pressione fiscale complessiva. Infatti, se lo Stato emettesse direttamente 1 miliardo di euro per le proprie spese, avrebbe bisogno di tassare i cittadini-produttori per una cifra inferiore di un miliardo rispetto alla situazione (attuale) in cui la Sovranità Monetaria fosse in mani private. L’esautorazione dello Stato dal processo di creazione della moneta, per contro, costringe i governi ad indebitarsi e a spremere i propri cittadini-produttori per ottenere le risorse necessarie al sostentamento della spesa pubblica, con effetti economici e sociali devastanti ed il progressivo distacco delle istituzioni – viste come enti cleptocratici – ed il popolo.


Debito matematicamente inestinguibile

Se tutta la moneta viene emessa a debito, ne consegue che il debito totale è matematicamente inestinguibile, in quanto composto dalla somma algebrica di credito erogato ed interessi riscossi. Le conseguenze economiche sono devastanti: un sistema fondato sul debito può reggere solo se il debito medesimo può essere finanziato (pagare gli interessi) possibilmente all’infinito. È ferma opinione di chi scrive che il consumismo derivi appunto dall’inderogabile necessità delle imprese di smaltire sempre più velocemente la produzione, allo scopo di poter andare avanti. Non più investimenti produttivi, ma tagli, delocalizzazioni, marketing, obsolescenza programmata, bisogni mediaticamente indotti, hanno trasformato il capitalismo imprenditoriale, puritano, quasi avventuriero nel turbocapitalismo improduttivo odierno.


Finanziamento della speculazione da parte del credito

L’economia (produzione di beni e servizi all’interno di un ciclo di domanda-offerta) non può essere inflazionata impunemente molto a lungo. Per questo, la finanza si fa carico di assorbire quote sempre maggiori di liquidità. Si formano così quelle periodiche bolle finanziarie – la cui esplosione, ogni volta, rovina milioni di risparmiatori, se non intere nazioni, come nel caso delle «Tigri asiatiche» – in cui tutti comprano perché aumentano le quotazioni, e le quotazioni aumentano perché tutti comprano. Come si nota, è una sorta di maligna inflazione che non fa rincarare il pane o le case, ma i titoli quotati in borsa, creando l’illusione di un arricchimento generalizzato che, alla prova dei fatti, si rivela semplicemente una pericolosa chimera gonfiata dalle banche.


Mancato controllo pubblico sul credito

In virtù della sua eccezionale complessità, il sistema creditizio sfugge alla percezione della pubblica opinione, e quindi della politica (che della prima è l’espressione diretta). La prova la si è avuta con l’entrata dell’Italia nell’euro, con la caccia alle streghe scatenata dai media contro i commercianti, colpevoli dei folli rincari che hanno dimezzato il nostro potere d’acquisto effettivo. A livello collettivo, però, è facile dimostrare che detti rincari possono essere addebitati ad altri fattori: la «Cura Prodi» per entrare nell’euro (i famosi sacrifici, che hanno pagato come sempre i redditi fissi), l’abbattimento inflattivo dei coefficienti di riserva obbligatori (che hanno consentito alle banche di espandere il credito a dismisura) ed il crollo delle esportazioni, dovuto ad un euro innaturalmente forte per una economia manifatturiera come la nostra, che ha bisogno che all’estero comprino i nostri beni, e per cui la lira, moneta debole, andava benissimo.

Da quello che si è visto, il sistema bancario necessita di riforme profonde dei suoi ordinamenti. Chi scrive, è convinto che le idee di Irving Fisher (1867-1947) e del già citato nobel Maurice Allais possano essere la base per una detta riforma, fondata sulla separazione di depositi e prestiti e sul concetto di riserva al 100%. Diciamo che ogni operatore economico sia dotato di due conti: un conto di deposito, in cui mette i danari necessari alle spese mensili, da cui la banca non può trarre moneta da prestare, ma che gli fattura tutte le spese (custodia fisica della liquidità, pagamenti, incassi…). Il secondo conto sarà quello di prestito, in cui il risparmiatore potrà mettere le proprie eventuali eccedenze, stimolato dal costo del primo conto. È l’equivalente di un prestito: il risparmiatore presta il proprio denaro alla banca ad un dato termine, e la banca lo presta, a propria volta, ad un termine minore (o al limite uguale), lucrando sulla forbice fra interessi passivi (che corrisponde al risparmiatore) ed attivi (che incamera). Da notare che il risparmiatore, fino allo scadere del prestito, non avrà alcuna disponibilità sul proprio danaro: esso è fisicamente impegnato a finanziare una qualche attività. Tutta la moneta necessaria al funzionamento del sistema, deve essere creata dallo Stato, o quantomeno spesa dallo Stato, senza debito. La «moneta-lavoro» teorizzata da Ezra Pound, per quanto trascenda gli intenti di questo articolo, è senza dubbio l’obiettivo di lungo termine per una autentica rivoluzione fondata sulla Sovranità Monetaria, ovvero su una moneta considerata come monopolio naturale del popolo.

Condividi

Nessun commento:

Posta un commento