mercoledì 4 novembre 2009

Ernst Jünger: il Ribelle

Il passo ulteriore del pensiero di Jünger, dopo la fine della guerra e la distruzione della Germania, che lo portarono a prendere irrimediabilmente atto della natura nichilista e distruttiva della modernità nelle forme fino ad allora proposte, fu elaborare un’alternativa al totalitarismo liberaldemocratico imperante.
Se non era più possibile un’azione collettiva, come quella prospettata dalla mobilitazione totale, rimaneva però una via di fuga individuale, quella del «passaggio al bosco» (Waldgang), descritta nel saggio del 1951 Il trattato del ribelle (Der Waldgang), edito in Italia da Adelphi.

Sul titolo va operata una precisazione etimologica. Il Waldgänger («colui che passa al bosco») – qui tradotto come «ribelle» – era, nell’antica cultura germanica, il proscritto, colui che bandito dalla comunità per aver commesso un delitto, se ne purificava vivendo nella foresta (Wald), non gli attuali boschi ormai antropizzati e coltivati, ma l’originaria foresta vergine che copriva l’Europa. In Jünger questa figura assume un significato simile, anche se meno letterale.

Infatti, in un’epoca come la nostra, le domande sono sempre più semplici e drastiche, e prendono la forma di una sorta d’interrogatorio da parte di chi detiene il potere. Tanto più la libertà di dire «no» è sistematicamente intimidita e limitata, quanto più però questo rifiuto acquista una forza maggiormente eversiva. Questa presa di posizione, anche non dovesse scuotere il nemico, ha l’indiscutibile effetto etico però di mutare chi la compie. Si afferma così una terza figura: il Ribelle, la cui scelta di passare al bosco esprime la libertà, tanto più preziosa quanto essa conferisce un senso umano alla necessità storica. Questo singolo uomo su cento, forte del proprio coraggio e della nozione del diritto, è in grado di mettere in pericolo lo Stato dittatoriale, esso stesso tanto più in pericolo, quanto più brutale, proprio perché la maggioranza consenziente, essendo docile, è inaffidabile, mentre la minoranza ribelle, essendo decisa, è irriducibile.

In epoca di Guerra Fredda, il passaggio al bosco, contrapposto alla nave/Stato, reso più difficile dall’attuale dipendenza della vita del singolo dalle strutture collettive, è possibile in ogni parte della terra, ed è in grado di restituire la sovranità al singolo e far crollare i Titani. Mentre la necessità, infatti, è più che altro una prova, la libertà invece, pur richiedendo sacrifici, è l’autentico motore della Storia.
Chiaramente, l’imminenza della catastrofe apertamente preparata dal sistema moderno, non fa che rendere più urgente questa scelta di campo. Di qui non deriva che l’immaginazione debba staccare l’uomo dalla realtà, bensì che essa debba ricostruire, tramite il bosco, un’alternativa di quiete all’immagine ambigua del Titanic/Leviatano (comfort/terrore) che rappresenta invece la modernità. Il Ribelle deve affrontare anche la paura, un sintomo del nostro tempo, che si svela appieno qualora l’automatismo del Potere si mostri nella sua fatalità. Liberare l’uomo da questa paura, metterlo in dialogo con essa, sgombera le maschere imposte dalla tecnica ed apre la via al «passaggio al bosco», in cui il potere del singolo, dell’uomo creato libero da Dio si afferma appieno.

Il Ribelle, quindi, date queste premesse, non può limitarsi certo all’indifferenza, ma deve ridefinire la sua libertà. Egli deve dunque evitare sia un’azione esclusivamente interiore che un’azione esclusivamente concreta, resistendo al potere con ogni mezzo, ma mantenendo il contatto con quell’energia primigenia e quelle radici profonde, ancor oggi presenti nell’uomo comune, cui conferiscono un’innata saggezza. Nel bosco l’uomo ritrova e riconosce la propria essenza interiore. Qui egli affronta e supera, come in un’iniziazione, la paura della morte. Le Chiese possono offrire oasi nel deserto che cresce, ma l’uomo deve saperne essere autonomo, perché di fronte a questa decisione si trova ad essere solo. Questo non toglie, tuttavia, che vitale sia l’opera del teologo e delle Chiese nell’aiutare l’uomo a prendere consapevolezza della sua condizione, fornendogli gli adeguati strumenti d’orientamento spirituale. Questo incontro con se stesso fa sì che egli debba saper fare a meno della medicina corrente, del diritto moderno, e conservare anche in questi ambiti, come pure nella scelta degli armamenti di cui servirsi, la libertà della sua scelta. Fondamentale è quindi che egli non perda il contatto con l’essere, il luogo da cui sboccia il Verbo che, trascendendo la lingua, diviene potenza creatrice.

In sintesi, si può vedere come il Ribelle sia incentrato sul tema della sovranità del singolo, data dal contatto con territori vergini da cui può scaturire l’Assoluto, per cui il passaggio al bosco è per Jünger la giusta e necessaria risposta ai tentativi di tagliare questo contatto e spogliare l’uomo della propria libertà di scelta. Perciò, nonostante il Ribelle sia un uomo della modernità, posto in contrasto con l’ordine politico moderno, affonda le sue radici in un terreno primigenio e astorico, traendo di qui la libertà e la sicurezza di sé necessarie a liberare se stesso dalla paura e dalla rassegnazione verso il fatalismo e l’automatismo del potere e conferirgli la legittima sovranità nei campi del diritto, della teologia, della medicina, dell’etica. Ne consegue che l’opposizione vitale e vincente al totalitarismo non può essere basata su fondamenta meramente materiali e moderne, bensì deve essere inevitabilmente connessa alla sfera spirituale ed eterna.

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2 commenti:

  1. Sintesi efficace. Il "Trattato" non ha perso nulla della sua attualità con la scomparsa del totalitarismo dall'Europa contemporanea, ma rappresenta un prezioso vademecum anche per la resistenza alla tecnocrazia e alle forme degenerative delle democrazie moderne (io almeno lo leggo anche in questo senso). Approfitto per pubblicizzare biecamente il mio neonato blog "Jüneriano"... Un saluto.

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  2. Il bosco luogo di silenzio per se se stessi lontani dallo spazio di questo tempo infame e calcolatore. Un luogo per ritrovare la propria identità la propria origine...In ciò un popolo dovrebbe riconoscersi, nella propria storia, nelle proprie orignini culturali e sociali. tutto ciò è inestimabile e senza un popolo è perduto

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