lunedì 9 dicembre 2013

Corporativismo e New Deal/1

La crisi del capitalismo fra le due guerre mondiali stimolò riflessioni teoriche in ogni angolo del mondo. Gli stati europei, colpiti dalle conseguenze delle difficoltà economiche, tentarono di esprimere ricette innovative, con l'Italia che recitò un ruolo da protagonista. Nel nostro paese, «Critica Fascista» si distinse per l'alto livello delle sue elaborazioni teoriche1.
Sul finire degli anni Venti questa rivista intensificò visibilmente il suo impegno verso la diffusione dei principi della «terza via», alimentando un dibattito che presentava il corporativismo come ordinamento capace di superare le teorie economiche classiche e dare vita ad una «nuova scienza economica»2. Aspirazioni riscontrabili dalla lettura di altri fogli del regime e condivise anche da numerosi intellettuali, che tentarono di dare un respiro internazionale alle proposte italiane in campo economico3. Ne derivò una serie di fermenti culturali e illusioni propagandistiche che conobbe un crocevia fondamentale proprio con la «grande crisi» del 1929, la quale ebbe conseguenze significative sugli orientamenti di molti studiosi ed economisti italiani4. Le difficoltà del sistema liberale offrirono al fascismo l'occasione per proporre la tematica corporativa al di fuori dei confini nazionali5: tanto che essa fu, come ha osservato Gianpasquale Santomassimo, «una delle leve fondamentali del successo internazionale del fascismo»6. Attenzione particolare nella pubblicistica del regime venne riservata alla situazione americana, dove la crisi fu più dirompente.
D'altra parte, proprio a causa delle difficoltà economiche, oltreoceano si cominciava a guardare con sempre più interesse ai provvedimenti d'impostazione dirigista del fascismo. A seguito dell'insediamento di Franklin Delano Roosevelt alla Casa Bianca nel 1933 e del varo del New Deal, tra i due Paesi si intensificarono notevolmente i rapporti culturali e istituzionali, dando vita ad una serie di contatti che merita di essere studiata in profondità.
- Stato degli studi
Le posizioni fasciste di fronte al New Deal (e in genere alle politiche economiche degli Stati Uniti) così come quelle americane nei confronti del corporativismo sono state analizzate raramente dalla storiografia. Cenni sulla questione, infatti, si trovano solamente in alcune opere dedicate generalmente agli Stati Uniti e al fascismo, come ad esempio nella biografia di De Felice dedicata a Mussolini7. Da segnalare poi la breve ma densa analisi presente in Santomassimo8 e il volume datato ma prezioso di John P. Diggins9. Quest'ultimo costituisce ancor oggi una piattaforma indispensabile per capire l'atteggiamento statunitense di fronte al fascismo. Qui vengono esaminate nel dettaglio tutte le reazioni ed i rapporti con l'Italia da parte del governo, dell'opinione pubblica, dei giornalisti, del mondo degli affari, dei cattolici e dei sindacati americani.
Gli studi più specifici sul tema, in ambito italiano, sono rappresentati da un articolo di Franco Catalano10 e dai saggi di Maurizio Vaudagna11. Sul piano internazionale, invece, speciale menzione merito uno scritto di John A. Garraty, pubblicato negli anni Settanta,che più di altri contribuì a mettere in discussione i pregiudizi riguardo ai rapporti tra il totalitarismo italiano (e tedesco) e la democrazia statunitense e alla natura delle loro convergenze politiche, economiche e culturali12. L'autore illustrò inoltre le somiglianze tra i due Paesi e accennò ai dibattiti che avevano animato Italia e America negli anni Trenta, venendo in questo seguito diverso tempo dopo da Diane Ghirardo13 e, recentemente, da Wolfgang Schivelbusch. Ed è proprio di quest'ultimo il volume più importante pubblicato finora sul tema, ossia Three New Deals: Reflections on Roosevelt's America, Mussolini's Italy, and Hitler's Germany14Qui l'autore analizza tutte le affinità tra Italia e Stati Uniti sul piano economico, culturale, oltre che delle opere pubbliche, delle istituzioni e della propaganda, approfondendone i comuni elementi populisti e statalisti. La panoramica offerta è di estremo interesse, quanto però lontana dall'essere esaustiva. Per comprensibili ragioni di spazio e di vastità di argomenti affrontati, le porte aperte a critiche e approfondimenti storiografici ulteriori sono a dir poco numerose15. Allo stesso modo, l'opera precedentemente richiamata di Vaudagna, fondamentale per inquadrare il contesto culturale entro cui i fascisti recepirono ed interpretarono la situazione americana, risulta oggi quanto mai suscettibile di ulteriori approfondimenti16. L'autore, poi, tradisce i suoi pregiudizi ideologici quando definisce fascismo e New Deal due «forme di dominio capitalistico borghese». Affermazione a dir poco superficiale. Ad oggi, infine, il tema è stato rilanciato con forza da Lucio Villari17 e da Paolo Mieli sulle colonne del Corriere della Sera18.
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La rivista di Giuseppe Bottai, tra le più sensibili alle questioni internazionali, si avvalse «delle migliori firme giornalistiche e della pubblicistica italiana di quegli anni» (Gabriele De Rosa, Bottai e «Critica Fascista». Saggi introduttivi all'antologia di «Critica Fascista»: 1923 – 1943, Luciano Landi Editore per C. E. N.Roma 1980p. XCV) e la sua lettura costituisce un passaggio imprescindibile per capire a fondo la storia dell'«illusione corporativa» tra le due guerre (Francesco Malgeri, Bottai e «Critica Fascista», cit., p. LXXI).
2 Nel corso del 1928 «Critica Fascista» ospitò uno dei più rilevanti “scontri” tra teorici di estrazione liberale e sostenitori del corporativismo quale «nuova scienza economica», al quale parteciparono Giuseppe Bottai, Lello Gangemi, Massimo Fovel, Gustavo Del Vecchio, Ettore Lolini, Gaetano Napolitano, e dove emersero le fragilità delle nuove concezioni fasciste, ma anche la convinzione di perfezionarle e portarle avanti (G. Santomassimo, La Terza via fascista, cit., pp. 111 – 115). Nella costruzione teorica di questa vagheggiata «nuova scienza» al nazionalista Filippo Carli spetta «l'indubbia primogenitura» (Ibidem, p. 69), mentre Ugo Spirito ne fu forse il più noto ed “estremo” propugnatore. Oltre che per via del suo celebre intervento al Congresso di Ferrara del 1932, ciò si evince dall'analisi dei suoi libri (U. Spirito, Critica dell'economia liberale, Sansoni, Firenze 1930; U. Spirito, I fondamenti dell'economia corporativa, Sansoni, Firenze 1933; U. Spirito, Capitalismo e corporativismo, Sansoni, Firenze 1933; U. Spirito, Dall'economia liberale al corporativismo, Sansoni, Firenze 1939) e della sua rivista «Nuovi studi di diritto, economia e politica», uscita dal 1927 al 1935. La discussione fu ampia e articolata in quanto secondo alcuni il corporativismo costituì pressoché l'unico argomento sul quale durante il regime si potessero esprimere opinioni difformi. Cfr. F. Chabod, L'Italia contemporanea (1918 – 1948), Einaudi, Torino 1961, p. 87; Pier Giorgio Zunino, L'ideologia del fascismo. Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Il Mulino, Bologna 1995, p. 246.
3  «Gli studiosi dell'epoca ebbero chiara consapevolezza che la loro riflessione non fosse legata alla situazione politica italiana», secondo Massimo Finoia (M. Finoia, Il pensiero economico italiano degli anni '30, Rassegna Economica, Banco di Napoli, Maggio – Giugno 1983, p. 583). A questo proposito ha scritto Giacomo Beccantini: «Io credo che con tutti i loro equivoci (…), le critiche di Spirito e compagni all'economia liberale, contenessero molti grani di verità e fossero comunque meno anacronistici delle pur labili e dotte difese dei custodi del tempio. E credo anche che quelle controversie e coloro che ne furono protagonisti non siano da considerare come un momento di smarrimento della ragione economica o come il prezzo pagato ad una dittatura politica invadente il terreno della cultura». G. Beccantini, «Alberto Bertolino (1898 - 1978) », in AA. VV., L'inflazione oggi: distribuzione e crescita, Giuffrè, Milano 1981, p. 129.
4 Santomassimo, riferendosi a studiosi di primo piano come Gustavo Del Vecchio, Ulisse Gobbi e Giorgio Mortara, ha scritto: «(…) si poteva notare un'evoluzione nell'atteggiamento degli economisti nei confronti del corporativismo, indotta certamente dalle ripercussioni, anche intellettuali, che la crisi economica cominciava a diffondere in Italia. Non si trattava affatto di una conversione esplicita, che non sarebbe mai avvenuta, ma di casi isolati in cui cominciavano a cadere barriere e preclusioni, a volte anche in base a considerazioni critiche sulla capacità di resistenza dei modelli teorici fino ad allora sostenuti» (G. Santomassimo, La Terza via fascista, cit., p. 131). In questo contesto, Alberto De Stefani compì «un lento decorso dal liberismo al solidarismo cattolico attraverso l'esperienza corporativa» (Ibidem, p. 219).
5 Tra l'espansione del fenomeno fascista e la «crisi» ci fu uno «stretto rapporto». Questo favorì l'attenzione verso le teorie economiche italiane all'estero, oltre che la popolarità del duce. Le dinamiche in questione sono state approfondite da De Felice in: R. De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Einaudi, Torino, 1974, pp. 538 – 587. Il ministro delle Corporazioni Bottai organizzò due Convegni di studi sindacali e corporativi proprio dopo l'irrompere della crisi (Roma 1930 e Ferrara 1932), in cui si discusse a proposito dell'ordinamento economico italiano ed internazionale, nel momento di massima difficoltà del sistema economico a livello europeo e mondiale.
6 G. Santomassimo, La Terza Via fascista, cit.p. 11. Ancora una volta fu la «grande crisi» a spingere il regime verso il rafforzamento delle sue «illusioni universalistiche». Molti giovani e intellettuali negli anni Trenta vollero proporre l'esperienza italiana come modello per gli altri Paesi, progettando la costruzione di un'«internazionale delle camicie nere» che avrebbe dovuto soppiantare la «vecchia democrazia borghese», come descritto da Michael Ledeen nel suo L'internazionale fascista, Laterza, Roma – Bari 1973. Cfr. anche: Marco Cuzzi, Antieuropa. Il fascismo universale di Mussolini, MB Publishing, Milano 2006. De Felice ha affrontato il tema in: R. De Felice, Mussolini il duce, vol. I: Gli anni del consenso 1929-1936, Einaudi, Torino 1974, pp. 307 – 311.
7 Ad esempio cfr. R. De Felice, Mussolini il duce, vol. I: Gli anni del consenso (1929-1936), Einaudi, Torino 1974, p. 542.
8 G. Santomassimo, La Terza Via Fascista cit., pp. 207 – 212.
9 J. P. Diggins, L'America, Mussolini e il fascismo, Laterza, Bari 1972.
10 F. Catalano, New Deal e corporativismo di fronte alle conseguenze della grande crisi, «Movimento di Liberazione in Italia», Aprile – Giugno 1967, pp. 3 – 34.
11 M. Vaudagna, New Deal e corporativismo nelle riviste politiche ed economiche italiane, in: a cura di Giorgio Spini, Gian Gioacomo Migone e Massimo Teodori, Italia e America dalla grande guerra ad oggi, Marsilio, Padova, 1976, pp. 101 – 140. L'autore in questione ha scritto anche: M. Vaudagna, Corporativismo e New Deal, integrazione e conflitto sociale negli Stati Uniti (1933-1941), Rosenberg & Sellier, Torino 1981 e M. Vaudagna, The New Deal and the American welfare state: essays from a transatlantique perspective (1933-1945), Otto, Torino 2013, che affrontano in particolare il tema della situazione sociale degli Stati Uniti nel periodi indicati.
12 J. A. Garraty, The New Deal, National Socialism, and the Great Depression, «The American Historical Review», 78/4 (ottobre 1973), pp. 907-944 .
13 D. Ghirardo, Building New Communities: New Deal America and Fascist Italy, Princeton University Press, New York 1989.
14 W. Schivelbush, Three New Deals: Reflections on Roosevelt's America, Mussolini's Italy, and Hitler's Germany. 1933-1939, Metropolitan Books, New York 2006.
16 Questo scritto analizza i contributi di molte riviste italiane in maniera efficace quanto veloce e, inoltre, sembra sopravvalutare i pregiudizi che pure caratterizzarono parte delle analisi di molte riviste specializzate, come si nota in primis dalla lettura di «Critica Fascista».
17 Lucio Villari, America amara, Salerno editrice, Roma 2013.
18 P. Mieli, Quell'amicizia finita male tra Mussolini e Roosevelt. Le forti sintonie tra fascismo e new deal, Corriere della Sera, 26 novembre 2013.

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