martedì 19 febbraio 2013

Il voto utile: tra conservazione e rinnovamento


L’articolo è stato pubblicato in «Occidentale», febbraio 2013.

Alle elezioni politiche del 2008, dopo l’esperienza cialtronesca e fallimentare della banda Prodi al governo, ci fu un punto che mise tutti quanti d’accordo, Pd e Pdl: l’appello al «voto utile». Caduta tra fischi e pernacchie l’eterogenea e traballante coalizione prodiana, si respirava infatti nell’aria una tremenda voglia di stabilità, la formazione di un dicastero non ricattabile da partitini e partitucoli che, forti magari finanche del’1%, erano però in grado di mandare a casa tutti, con tanto di baracca e burattini. Il fenomeno, peraltro, aveva raggiunto picchi di notevole patetismo, visto che il «Professore», per ottenere la maggioranza al senato, era costretto a ricorrere continuamente ai senatori a vita e a quelli eletti all’estero, tanto che divenne famoso l’altrimenti ignoto Luigi Pallaro, senatore italo-argentino in quota Unione, che, al momento della verità, fece cadere er Mortazza decidendo, invece di dargli la fiducia a Palazzo Madama, di restarsene in panciolle a Buenos Aires.

Insomma, mandando al diavolo il malsicuro bipolarismo spaghettaro, si invocava ora a gran voce il bipartitismo puro «made in Usa»: tutti americani dunque. Ebbero così buon gioco Berlusconi e Veltroni nel propagandare la retorica del voto utile. Utile soprattutto al secondo, a causa dell’atavica incompatibilità delle varie anime della sinistra italiana, laddove il primo poteva contare sulla lealtà della Lega e sull’assorbimento dei «cugini» di An nel proprio partitone. L’effetto più vistoso di tale campagna, sorretto inoltre dall’anti-berlusconismo più becero, fu allora un sensibile aumento dei consensi al bistrattato Pd (che comunque non lo salvarono dalla clamorosa batosta finale) con conseguente «svuotamento» dei partitini della sedicente «sinistra antagonista», i quali rimasero trombati ed esclusi dal Parlamento.

Ora, tutto questo non ha comunque evitato lo sgretolamento di uno dei governi più saldi nella storia della Repubblica Italiana dal punto di vista del consenso. Il Delfino della Scrofa infatti, all’indomani della vittoriosa passerella del Pdl alle Regionali, creò una grave crisi di governo che porterà di lì a poco al collasso del Berlusconi IV. Poi vennero Monti, la Fornero, Terzi e gli altri macellai sociali al seguito della corte di Re Giorgio. Il resto è storia recente. Nonostante tutto questo, Pd e Pdl si ripresentano oggi agli italiani criticando Monti (che hanno sostenuto fino all’altro ieri) e rispolverando, con una bella faccia tosta, la retorica del voto utile (benché si sia già rivelato, a conti fatti, quanto mai inutile). 

Il concetto, del resto, è furbo ma debole. E curioso, oltretutto, visto che il voto dovrebbe essere utile in quanto convinto, come ci insegnano i soloni della democrazia indiretta. Io dovrei votare in base alle mie convinzioni e alle mie idee, e non per garantire la cosiddetta «governabilità». Quindi, in soldoni, il voto utile rappresenta per i grandi partiti il viatico naturale per rimanere in sella, per non dover mai pagare la propria inettitudine, la propria viltà e il proprio marciume.

In questa grave congiuntura storica, sulla scia dei governi tecnici antinazionali e dei rottami dei vari carrozzoni partitici, è tuttavia possibile ri-pensare il voto utile? In effetti c’è un movimento che dichiara da tempo di rappresentare, oggi, l’«unico voto utile». Si tratta di un movimento per cui «voto utile» non significa conservazione dei privilegi di casta, ma radicale rinnovamento, rivoluzione. Ebbene sì: «rivoluzione». Questo, infatti, è un movimento che non ha paura di nulla, nemmeno delle parole. Rivoluzione, oggi, significa soprattutto andare alla radice, fare piazza pulita dei sepolcri imbiancati che costellano il triste panorama politico italiano, tra guitti, mummie, magistrati prezzolati e rubagalline. Un movimento che è popolare perché è movimento di popolo, perché nasce nelle strade, nelle scuole, nelle università, nei cantieri e nelle imprese produttive. Un movimento che è radicale perché ha salde radici in un mondo di rinnegati. Un movimento giovane perché i suoi candidati, molto spesso, non superano i quarant’anni. Un movimento rivoluzionario, infine, perché ha il coraggio e la forza di voler edificare la «civiltà del lavoro». Che ha il coraggio di sfidare apertamente le mafie dei partiti, dei giudici, dei questurini, dei costruttori e dei ladruncoli da quattro soldi. 

Il voto utile, in effetti, oggi ha trovato un nome. Con un poeta come nume tutelare e una salda corazza sulle spalle. Con buone gambe e una tremenda voglia di camminare.

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