A parte lo sforzo di auto-comprensione affrontato dai protagonisti stessi di CasaPound, è però soprattutto «da sinistra» che l’attenzione si è fatta e si sta facendo sempre più viva e, per certi versi, necessaria. Se l’operazione made in «Repubblica» rappresentata da OltreNero: nuovi fascisti italiani (Contrasto, 2009) di Alessandro Cosmelli e Marco Mathieu rimane tuttavia ancorata alle secche di certo giornalismo d’inchiesta scandalistico e furbescamente deformante, un esempio ben più edificante ci è fornito viceversa da Fuori dal cerchio: viaggio nella destra radicale italiana (Elliot, 2010) del giovane ex militante del Pci Nicola Antolini, che dedica gran parte del suo volume all’esperienza di CasaPound. Il lavoro di Antolini, in particolare, risulta difficilmente incasellabile in un preciso genere letterario, data la sua specifica natura: si tratta infatti di approfondite interviste a numerosi esponenti dell’area destro-radicale (ma non solo), sicché potremmo definirla un’analisi politologica informale. Ad ogni modo, quest’opera rappresenta senz’altro un proficuo e serrato confronto tra diverse «anime» politiche su un terreno franco e anti-pregiudiziale, con l’esplicito intento di scandagliare «il problema dell’egemonia culturale del paese, che secondo molti starebbe cambiando radicalmente di segno, spostandosi progressivamente da sinistra verso il fronte opposto» (p. 5).
Da considerazioni analoghe è nato il volume di recentissima pubblicazione Dentro e fuori CasaPound: capire il fascismo del terzo millennio (Armando, pp. 160, € 15) di Daniele Di Nunzio ed Emanuele Toscano, due giovani sociologi anch’essi di formazione culturale «di sinistra». Per motivare la loro ricerca su CasaPound, infatti, gli autori dichiarano:
La riflessione intorno all’avanzare della destra nei quartieri periferici e non della nostra città – Roma – aveva occupato già da un po’ le nostre discussioni. Da ricercatori, e prima ancora da cittadini impegnati da sempre in iniziative di quartiere, ci siamo chiesti dove e come la nostra generazione aveva sbagliato, non riuscendo a creare la cinghia di trasmissione con le nuove generazioni necessaria a dare continuità a quell’insieme di pratiche relazionali, creative e sociali che avevano caratterizzato gli spazi frequentati da adolescenti e universitari. Semplicemente, ci siamo accorti che i luoghi di aggregazione, di scambio, di incontro, stanno cambiando; e ai centri sociali, alle sezioni, si vanno sostituendo spazi in cui è più o meno chiara la matrice fascista, nelle scuole e nei quartieri della nostra città. Addebitavamo (e tuttora pensiamo sia così) questa «sconfitta» all’incapacità della sinistra – intesa in senso ampio e trasversale – di fornire risposte e soluzioni ai problemi e interpretazioni ai cambiamenti del mondo di oggi. Ma anche e soprattutto alla nostra – noi di sinistra – sicurezza nell’essere nel giusto, nel nostro porci in modo acritico nei confronti della realtà perché certi della forza delle nostre idee. Senza riuscire, e metterlo per iscritto non è certamente facile, a riattualizzare la nostra posizione di egemonia culturale, già fortemente provata dagli avvenimenti che avevano sconvolto la sinistra nell’ultimo decennio del secolo scorso. […] Questo libro ha come obiettivo quello di contribuire a conoscere il fenomeno CasaPound, il perché del suo avanzare soprattutto tra le giovani generazioni e il suo radicarsi in contesti spesso anche diversi e articolati, dalle periferie come nei quartieri più borghesi, nelle grandi città come nei piccoli centri (pp. 128-129).
Come si può vedere, da parte di certa sinistra esiste un’esigenza – scaturita dal graduale sgretolamento della sua egemonia culturale – di comprendere l’altro da sé rinunciando ai paraocchi ideologici e alle facili demonizzazioni ascientifiche e antiscientifiche. E – aggiungo – non è probabilmente un caso che tale esigenza sia maggiormente avvertita da alcuni dei più giovani, i quali non godono delle laute prebende derivanti da quella egemonia (a differenza di qualche vecchio maître à penser…) e che di essa hanno per lo più vissuto la fase decadente.
Ad ogni buon conto, Dentro e fuori CasaPound rappresenta uno studio sociologico di alto livello, che intende analizzare le ragioni della progressiva ascesa del movimento delle tartarughe frecciate. Uno studio preparato, del resto, da una ricerca sulla musica «non conforme» (che ha fruttato un articolo su «Alias», supplemento del «Manifesto», nell’aprile del 2009) e da un paper presentato al XVII Congresso mondiale dell’International Sociological Association, svoltosi a Göteborg nel luglio del 2010, ossia Can We Still Speak about Extreme Right Movements? CasaPound in Italy between Community and Subjectivation Drives (alcune conclusioni del quale sono riprese da un articolo per l’edizione online dell’«Espresso» dell’ottobre dello stesso anno, significativamente intitolato Perché piace CasaPound).
E infatti, come si evince in particolare dal titolo stesso del paper or ora citato, una delle prospettive più interessanti del libro è rappresentata proprio dal carattere di forte problematicità dell’identificazione di CasaPound con quella che è comunemente definita «estrema destra», sia nella prassi che nei presupposti teorici: un’identificazione che è invece riproposta e recitata a mo’ di mantra dalla sedimentata vulgata antifascista che, molto spesso in maniera interessata, è perennemente occupata a ricondurre l’ignoto e il nuovo al già noto e, più in generale, al dogma fideistico e a-razionale. Dalla ricerca degli autori, infatti, «emerge una distanza di CasaPound rispetto a orientamenti culturali, assetti politici e sociali riferibili alla destra estrema» e alla «destra conservatrice e reazionaria» (pp. 94-96) sostanziata, del resto, dall’idea dell’«EstremoCentroAlto», ossia quella «“visione del mondo” capace di andare al di là delle interpretazioni ideologiche tradizionali del fascismo e del neofascismo, del consociativismo e della socialdemocrazia» (p. 95). Una distanza che si concretizza, ad esempio, nel rifiuto del razzismo estremo-destro, giacché risultano assolutamente estranee a CasaPound «rivendicazioni di una presunta superiorità razziale nei confronti dei soggetti migranti, segnando in questo una discontinuità con il neofascismo classico del dopoguerra» (p. 52), così come questa differenza si avverte in ambito musicale, cioè il fulcro della metapolitica casapoundiana, dal momento che «i codici espressivi e di stile propri della destra radicale sono stati rimessi in discussione oppure, in alcuni casi, direttamente abbandonati», tanto che l’«autoironia è utilizzata come forma di critica verso i dogmi della tradizione di estrema destra» (p. 71). Non è un caso, d’altra parte, che di recente lo stesso Gianluca Iannone abbia esplicitamente fatto uso del termine «casapoundismo», proprio per evidenziare la radicale originalità del movimento di cui è leader.
Lo studio inoltre, più specificamente, si fonda sull’analisi del Soggetto – sociologicamente inteso – e dei suoi rapporti con la comunità di cui fa parte. Partendo quindi dalla contrapposizione – proposta dal sociologo Alain Touraine – di auto-determinazione ed etero-direzione, si rileva che «all’interno di CasaPound l’individuo cerca il proprio spazio di vita dove costruire delle forme di resistenza al dominio, per elaborare e perseguire delle alternative politiche, sociali e culturali, a livello individuale e collettivo» (p. 74). La comunità di CasaPound è pertanto vista come una potenzialità di affermazione individuale in un contesto «non conforme» (altrimenti impossibile nella società atomistica e globalizzata), in cui si instaura un equilibrio, seppur mai scontato, tra individuo e collettività, tra autorità e libertà e tra gerarchia e partecipazione. L’impegno dei militanti in CasaPound, inoltre, «trascende dall’essere semplicemente un impegno politico e facilmente diventa esistenziale». Di più: «questo intenso coinvolgimento è percepito dai membri di CasaPound non come una costrizione o un’imposizione, ma come un’espressione naturale del proprio essere, poiché essi vedono in CasaPound uno spazio ideale per esprimere al meglio la loro esistenza», tanto che non è raro che si crei una «continuità tra il vissuto personale e quello comune in CasaPound» (p. 75).
Se il soggetto intravede quindi in CasaPound una «potenzialità per l’affermazione di sé», è altresì vero il contrario, e cioè che «l’affermazione dei singoli è considerata indispensabile a quella del movimento» (p. 76). Questo processo dialettico di socializzazione, che pone la forza della comunità come effetto della forza dei singoli, si osserva in particolare grazie alla partecipazione dei giovani (che in CasaPound è massiva) e al loro percorso formativo: «riguardo all’espressione autonoma della propria personalità», infatti, «i giovani di CasaPound sono invogliati a “osare” e a agire. È interessante sottolineare come è riconosciuto il diritto del giovane “di sbagliare” – entro certi limiti, soprattutto riguardanti il rispetto delle gerarchie – nell’idea che non bisogna frenare l’istinto rivoluzionario e creativo proprio delle giovani generazioni» (p. 81). In termini di partecipazione, poi, la stessa scelta dei capi, se da un lato segue le direttive gerarchiche, è però avvertita dai militanti come «naturale» e non imposta, giacché «i leader emergono da un confronto con la collettività sull’esperienza concreta che mettono in atto e sono valutati in base all’efficacia delle proprie interpretazioni e riflessioni così come dalla portata delle proprie azioni» (pp. 81-82). Insomma, ce n’è abbastanza per confutare tutti i deliri para-psicologici che si ritrovano spesso nei dossier antifascisti in stile «Repubblica».
I temi affrontati dal libro, del resto, sono molti e trattati con obiettività, dal rapporto di CasaPound con la violenza all’utilizzo sapiente e innovativo della comunicazione a tutti i livelli, dal carattere spiccatamente metapolitico del movimento all’importanza fondamentale dell’azione riflessiva. Una menzione speciale merita tuttavia l’analisi del rapporto dei militanti con la dimensione del corpo, considerato dalla moderna critica sociologica come il «luogo del sé agente». Secondo il sociologo Michel Wieviorka, in particolare, «mettere in discussione il proprio sé nel processo di affermazione della propria soggettività individuale implica al contempo l’esporre il proprio sé corporeo a dei rischi» (p. 72). Ed è proprio in base a queste considerazioni – e sulla scorta degli studi di Dick Hebdige sul pogo dei punk inglesi – che gli autori stabiliscono un curioso primato: parlare della cinghiamattanza evitando le usuali demonizzazioni scandalistiche. Secondo Di Nunzio e Toscano, infatti, essa rappresenta per i militanti di CasaPound «aspetti fondamentali dell’esistenza: la vitalità, il gioco, la lotta, contrapposti a un modello culturale dominante che riduce il corpo ad oggetto-merce» (p. 71).
Un ultimo accenno lo vorrei dedicare infine alla «tensione» che gli autori rilevano tra la visione del mondo di CasaPound e l’ambito valoriale della moderna concezione di «democrazia». Questo rapporto, in effetti, appare molto problematico, specialmente se si prende a modello di democrazia la definizione proposta da Norberto Bobbio. Senza contare i problemi d’ordine teorico che gli stessi intellettuali «democratici» (le virgolette sono d’obbligo…) incontrano nella conciliazione tra i tre postulati di libertà, uguaglianza e solidarietà, che si vorrebbero alla base della «democrazia moderna», la questione di maggior attrito mi sembra rappresentata dall’adesione fideistica alla dottrina dei «diritti dell’uomo», a cui gli autori paiono tenere in maniera particolare. Una dottrina – com’è noto – basata su un giusnaturalismo che, secondo lo stesso Bobbio, risulta sempre e comunque arbitrario. Un giusnaturalismo – aggiungo io – oltretutto deterministico, che, paradossalmente, nega all’uomo quella stessa libertà che gli vorrebbe conferire. Se infatti l’uomo è, a prescindere dalla sua volontà, esso risulta necessariamente privato della propria libertà di auto-determinazione, perché la sua essenza è pre-determinata da un assunto metafisico d’ascendenza divina, sebbene secolarizzata. Erano stati d’altronde già Giovanni Gentile (non a caso detestato da Bobbio) e la sua scuola a condurre una critica filosofica impietosa e radicale dell’uomo astratto e intellettualistico del liberalismo democratico, ossia un «fantoccio» totalmente avulso dalla storia e dal divenire, rivendicando invece al fascismo quel vero e autentico «liberalismo» che, sfociando nell’«umanesimo del lavoro», avrebbe edificato una «nuova civiltà». La tensione tra CasaPound e la democrazia bobbianamente intesa, pertanto, scaturisce a mio parere da irriducibili visioni dell’uomo (questa deterministica, limitante e statica, quella volontaristica, libera e dinamica), benché ad un livello fenomenico vi possano indubbiamente essere delle notevoli convergenze, come Di Nunzio e Toscano ben evidenziano (pp. 119-120). Su questo punto, però, il dibattito è aperto.
Ad ogni buon conto, questo libro testimonia di un lavoro onesto e scientificamente valido, da consigliare sicuramente a quanti continuano a proporre una visione distorta e caricaturale di CasaPound, molto spesso viziata da palesi intenti politico-ideologici. Siamo ancora su un livello pionieristico e, al momento, manca un’opera squisitamente politologica in grado di sostenere una critica serrata, qualificata e anti-pregiudiziale del pensiero e dell’azione di CasaPound. Ma per questo – ne sono certo – ci sarà tempo. Ciò che invece ora conta, in un periodo cioè di massicci e vili attacchi mediatici (ma non solo mediatici) a CasaPound, è che questo volume può indubbiamente rappresentare un utile punto di riferimento per chiunque vorrà accostarsi alle tartarughe frecciate rinunciando all’odio politico e a valutazioni puramente acritiche e preconcette. Il che, si converrà, non è poco…
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