venerdì 5 febbraio 2010

Intervista a Miro Renzaglia


Miro Renzaglia è nato a Roma nel 1957. È poeta, scrittore, giornalista, autore e performer teatrale. Ha pubblicato
Controversi (Milano, 1988), I rossi e i neri (Roma, 2002), A spese mie (Roma, 2009). Nel 1990 ha fondato la rivista di letteratura ed immagini «Kr 991» che ha diretto fino al 1999. Suoi testi poetici sono presenti in antologie e riviste. In qualità di saggista, critico letterario e di costume, collabora a siti web, periodici e quotidiani, fra cui «Secolo d’Italia». È autore e performer del concerto di musica-poesia «Radiografia di uno sfacelo» (2003). Dirige il magazine online «il Fondo».



Cominciamo con una domanda complessa. Che cos’è stato sinteticamente il Fascismo, in che modo il suo insegnamento può essere ancora valido oggi, e in che senso te ne senti continuatore?

Il fascismo è un movimento sociale e politico. La sua carta fondativa, Il manifesto dei fasci di combattimento, del 1919, è un programma che prevedeva il profondo cambiamento dell’Italia post-unitaria in senso, appunto, politico e sociale. Su «Il Fondo», in passato, ho postato sei articoli che vanno sotto il titolo complessivo di «Il fascismo oggettivo» (leggere qui e, di seguito, le altre puntate) che dimostrano come la produzione legislativa del ventennio abbia avuto una linea di marcia maestra che va dalla Carta del Lavoro, alla costruzione dello Stato Corporativo fino alla socializzazione delle imprese. Su questo percorso, che io considero principale e privilegiato, si sono poi creati degli innesti non previsti dal Manifesto: a volte positivi (penso soprattutto alla grande impresa delle Città di fondazione…) e a volte assolutamente catastrofici e negativi, quali considero le leggi razziali. L’essenzialmente valido resta la via maestra che conduce ad uno Stato politico e sociale alternativo sia al capitalismo che al comunismo. Ammesso e non concesso che io sia continuatore di qualcosa, lo sono come freccia direzionale nel prosieguo di questa via.


Quali sono i miti, gli autori e le esperienze che consideri parte integrante del tuo bagaglio politico-culturale?

Miti? Uno solo ma immenso e multicomprensivo: Roma. La mia esperienza politica fondamentale l’ho vissuta negli anni ’70, con tutto quel che ne è conseguito anche sul piano strettamente personale. Nella mia formazione ha avuto un ruolo di assoluto rilievo Ezra Pound, al quale devo sia la mia visione politico-economica che quella poetico-culturale. Poi: Nietzsche e Carlo Michelstaedter, per quanto riguarda la filosofia dell’esistenza. Dante, Gottfried Benn e Arthur Rimbaud, sul piano strettamente poetico.


In passato, in alcuni tuoi interventi, avevi avanzato perplessità circa l’istituzione della famiglia. Potresti approfondire il concetto?

La famiglia tradizionale non esiste più. E quella che consideriamo tradizionale (padre-lavoratore + madre-educatrice X pargoli al seguito) è un’istituzione relativamente recente: qualche centinaio di anni, forse meno. Quella che viene spacciata come famiglia tradizionale, oggi, è un luogo di produzione di nevrosi, se va bene, di atti di violenza gravi, fino all’omicidio su donne e bambini, quando va male. E va male spesso: basta pensare che l’85% di violenza sulle donne avviene all’interno delle mura domestiche, e a commettere questi atti di assoluta vigliaccheria sono sempre i mariti, i padri, gli zii, i conviventi delle vittime: li chiamano, non a caso, delitti prossimali. L’evoluzione della società contemporanea, con evidente progressione dal dopo ultima guerra mondiale, ha creato strutture diverse e più adatte alla riproduzione della specie (in fondo poi è questa la funzione della famiglia): coppie di fatto, comunità para-familiari allargate a più soggetti non vincolati da obblighi di fedeltà eterna. Il problema è che non sempre gli Stati hanno contemplato come positive tali nuove figure, preferendo intestardirsi nella difesa della vecchia concezione fino al punto di escludere forme di assistenza ai nuovi soggetti nucleari. Credo che dipenda anche da questa ottusità statale il calo della natalità in molti paesi europei.


Immigrazione e cittadinanza. Qual è il tuo pensiero in materia?

Vengo spesso spacciato per un fautore dell’immigrazione: non lo sono. E credo che nemmeno la stragrande maggioranza degli immigrati lo sia. Non si può essere fautori di un fenomeno che, quando assume le proporzioni che ha oggi, produce solo sofferenze sociali e personali. E quando dico «sociali», non mi riferisco solo alle società dei paesi che ospitano i flussi, ma anche a quelli che li producono: molto spesso chi viene a cercare fortuna nei paesi dell’Occidente (falsamente) opulento, è dotato di formazione professionale e culturale che farebbe la fortuna dei loro paesi di origine. Il problema è che molti di questi paesi sono sotto il cappio usuraio del debito pubblico (penso ai paesi dell’Africa sub-sahariana, ma sono solo il 6% del totale immigrato da noi) imposto proprio dal capitalismo vincente in Occidente. Inoltre, se guardo alle cifre reali che comprendono il fenomeno in Italia mi accorgo di due cose: a) più del 50% della popolazione allogena (circa 2 milioni e 200 mila, su un totale di 4 milioni e mezzo) proviene da paesi europei dell’Est; b) vi proviene come conseguenza diretta dell’implosione dei loro regimi comunisti. Ovvero: il capitalismo produce immigrazione a ogni suo stato di avanzamento. Basta guardare come la progressione di quei flussi ha avuto una impennata geometrica proprio a partire dal fatidico 1989. Siccome tutto questo è assolutamente accertato, a me non resta che tirarne le ovvie conclusioni: è il capitalismo la radice del male. L’immigrazione è solo uno dei suoi tanti effetti nefasti. Combattere gli effetti con i respingimenti, con i Cie, con il reato di clandestinità, vale come pretendere di guarire un organismo curando le metastasi ma lasciando intatta la massa tumorale. Che fare, quindi? Aspettiamo che il capitalismo imploda come è imploso il comunismo e tutto torni alla normalità? Fermo restando che trovo assolutamente irreale l’ipotesi di espellere 4 milioni e mezzo di persone, bisogna creare le condizioni perché questa gente, sentendosi estranea al corpo della nazione, finisca per rappresentare quel pericolo che molti paventano. Io non conosco altra strada che il riconoscimento dei diritti, da quello di soggiorno a quello di una cittadinanza NON più facile, ma prevista in modi più tempestivi a disinnescare la minaccia. Le sollevazioni delle masse non avvengono quando si allargano i diritti, avvengono quando si applica loro il potere della discriminazione e del divieto: da quello della tutela sul lavoro a quello religioso, per esempio.


Si parla spesso di «identità», o con richiami puramente retorici oppure con invocazioni ideologiche al meticciato: che senso ha questa parola? Il melting pot è, secondo te, un pericolo o una possibilità?

A me piace discutere di queste cose con i dati alla mano. Chi blatera di pericolo in Italia di melting pot biologico, di multiculturalismo, di identità non conosce i numeri e ne vaneggia come conseguenza dei flussi migratori. Non solo, ma non conosce nemmeno la storia e la geografia. Ho già detto che oltre il 50% degli immigrati provengono da paesi Europei, Ue e zona-euro e che, in quanto tali, sono perfettamente identici alla nostra costituzione biologica indo-europea. Perché noi siamo indo-europei, vero? E qualcuno dei vaneggiatori di cui sopra, sa da quante nazioni indo-europee, tra Europa e Asia, importiamo emigranti? Ve lo dico io: una trentina. E così copriamo circa l’80% della popolazione allogena residente in Italia, con la quale abbiamo da condividere le medesime origini biologiche. Di quale pericolo multirazziale vanno parlando? Il pericolo è allora nella multireligiosità e, in particolare, in quella importata dagli immigrati musulmani? Qualcuno ricorda anche solo per sentito dire che per quasi mille anni buona parte dell’Europa, dalla Spagna alla Grecia, dalla Romania all’Ungheria, dalla Sicilia alla Sardegna, fino alle porte di Vienna è stata dominata dall’Islam, in maniera tanto malvagia che gran parte di quelle che consideriamo nostre civili abitudini quotidiane ci vengono da questo millenario contatto con loro? E il multiculturalismo, poi? Chi vuole difendere chi e da cosa? Già che in epoca della comunicazione totale, come è la nostra, si parli di purezza culturale a me fa ridere. Non ho bisogno nemmeno di scendere per strada: accendo il mio pc e sono immediatamente contaminato da tutti i germi culturali del mondo. Anche ammesso che si voglia difendere la nostra cultura (quale, poi?) avrebbe un senso qualsiasi chiudere le frontiere? Fra il II e il I millennio a.C. le polis greche si chiusero a difesa della loro identità. Risultato? Dimenticarono persino il dono della scrittura. Glielo restituirono i fenici quando le polis ripresero la sana abitudine di riaprirsi al commercio, di ogni tipo, con gli altri. La verità è che la paura di perdere la propria identità ce l’ha chi sa di averla fragile, di non averla proprio e di non volere nemmeno sapere quale sia.


Quali sono, a tuo parere, i meriti e i demeriti del movimento omosessuale? Che giudizio dài dell’intervento dell’onorevole Anna Paola Concia a CasaPound?

Un modo molto semplice ed infallibile per distinguere fra libertari e reazionari è osservare le loro richieste: chi vuole un ampliamento dei diritti è libertario. Chi, invece, tende a restringere i diritti a caste di privilegiati è reazionario. Io, in quanto fascista, sono un libertario. Il fascismo fu un eminente esempio di movimento politico a forte prevalenza (con qualche rarissima caduta di livello) libertaria: basta pensare a tutte le iniziative legislative realizzate su territorio intese ad allargare i diritti per il lavoro (le 40 ore settimanali, le ferie pagate, la previdenza sociale, l’antinfortunistica, etc…), per la sanità pubblica, per la casa popolare, etc… Ora, il movimento gay chiede per sé il riconoscimento di diritti già in uso per le coppie eterosessuali. Bene: non trovo un solo motivo, né etico, né spirituale, né sociale che mi impedisca di riconoscere eque e giuste le loro istanze. Del resto, su «Il Fondo», non ho fatto mancare una mia critica alla recente richiesta di estendere le aggravanti previste dalla legge Mancino per i reati commessi contro di loro. Sbagliano: inasprire le leggi di repressione (e quindi di segno reazionario) anche di opinione non servono ad altro che consolidare e diffondere la fobia del «diverso». Lo sappiamo bene noi fascisti degli anni ’70. L’ho detto anche all’on. Anna Paola Concia, che collabora a «Il Fondo», in quanto proponitrice della legge antiomofobia. Come giudico il suo intervento a CasaPound? Di un rilievo politico che va anche al di là, e in positivo, della specifica questione…


Che senso ha e che contributi può offrire il femminismo oggi?

Pierre Bourdieu, in uno dei suoi libri più noti e intensi, Il dominio maschile dimostra come la costruzione del maschile e del femminile non abbia nulla di naturale e che quanto consideriamo oggettivo, cioè il dominio di un sesso sull’altro, su altro non è fondato che su un principio culturale di subalternità indiscutibile, in quanto «la forza dell’ordine maschile si misura dal fatto che non deve giustificarsi». Come ogni ordine, può essere infranto ma per farlo non basta l’atto di volere del dominante che fa concessione al dominato di una generosa parità (tanto per fare un esempio: le famose «quote rosa» di rappresentanza politica). È necessario, invece, che il maschio rinunci a quel «non» (della citazione sopra riportata) convincendosi che la sua forza, invece, «deve» essere sempre e comunque giustificata dall’altra. Dove il «giustificarsi» ha un senso di giustizia condivisa. È, ovviamente, un percorso ben più difficile da compiere, ma qualcosa si muove. Stefano Ciccone nel suo recente libro Essere maschi, tra potere e libertà ci mette davanti alla questione più importante: «Un uomo può schierarsi per la parità tra i sessi nell’accesso al potere o al reddito, può battersi contro la violenza sulle donne o la mercificazione dei loro corpi, può affermare il loro diritto a decidere del proprio corpo e a determinare le proprie scelte riproduttive. Ma se ascolterà fino in fondo ciò che queste scelte portano dentro di sé, vedrà che non parlano soltanto delle donne, ma parlano di lui, del suo rapporto con il proprio corpo, con la sua identità di uomo…». Sottoscrivo…


Cambiamo scenario. Come giudichi esperienze come quelle di Castro a Cuba o di Chávez in Venezuela? Quale valore assumono all’interno della lotta contro il capitalismo e l’imperialismo a stelle e strisce?

Sono un castrista da sempre. Ora, sono anche un chaveziano o bolivariano, se preferite. Ma non mi basta la loro dichiarata opposizione all’imperialismo americano, pure importante. Cuba (che ho visitato personalmente e di cui ho dato resoconto con un reportage sul mio vecchio blog) e Venezuela sono soprattutto degli esperimenti in corso d’opera di socialismo nazionale: quella terza via che io auspico fra capitalismo e comunismo. Intendiamoci: nessuna delle due è il fascismo italiano. Né possono esserlo, mutati come sono tempi e dinamiche politico-economiche. Pur tuttavia, come il primo peronismo argentino, rappresentano quanto di meglio un concetto di alternativa al liberismo possa offrire allo studio di chi quell’alternativa, oggi, va cercando.


Nella stessa ottica, come può essere inquadrata l’opera di Putin? L’intesa italo-russa avviata da Berlusconi può giovare all’Italia e aprire nuovi scenari di politica estera?

Non condivido gli entusiasmi di chi vede in Berlusconi un combattente per la sovranità italiana contro i perfidi Usa. Intendiamoci: tutto ciò che sottrae l’Italia all’egemonia Usa in campo politico, economico, culturale etc… è da me valutato con estremo favore. Quindi, tanto per stare alla cronaca recente, l’accordo Italia-Russia che prevede la creazione di un nuovo gasdotto alternativo a quello controllato dagli Usa, mi trova consenziente. Ciononostante, il segnale è ampiamente bilanciato, in negativo, dalla nostra sudditanza agli ordini militari oltreoceanici che ci impongono l’utilizzo dell’esercito, e il sacrificio dei nostri soldati, in quelle guerre, Iraq e Afghanistan, che sono quanto di più lontano dai nostri interessi. Avrei barattato volentieri la conferma della fornitura del gas attraverso la compagnia Nabucco, con il ritiro delle nostre truppe laggiù impropriamente appostate. Inoltre, ho delle perplessità in merito agli interessi pratici dell’accordo South Stream. Ricordo, ad esempio, che l’ex cancelliere della Germania, Gerhard Schröder, sottoscrisse ai tempi del suo cancellierato un accordo con Vladimir Putin per la costruzione di un gasdotto che, passando sotto il Mare del Nord, potesse arrivare a rifornire direttamente il territorio tedesco. Ebbene, sapete che posto è andato ad occupare l’ex cancelliere immediatamente all’indomani della sua sconfitta elettorale ad opera della Merkel? Quello della presidenza del consorzio costituito per la costruzione del gasdotto. Insomma, non mi stupirei troppo se dietro alle grandi insegne politiche ed ideali sventolate da Berlusconi nell’occasione, ci siano interessi – come dire? – un tantinello personali…


Che cosa pensi del processo di unificazione europea? Meglio un’unione “inquinata” da derive liberalcapitalistiche, oppure un rafforzamento delle sovranità nazionali?

Quale processo di unificazione? Il solo processo di unificazione realizzato in Europa è quello delle banche. E quello realizzabile, ammesso che si arrivi a realizzarlo, sarà fortemente viziato da questo processo preliminare. D’altronde, mi atterrisce chi predica il ritorno alle piccole patrie: padane, borboniche, sarde, etc… Come se l’annullamento degli attuali Stati nazionali fosse l’antidoto al male assoluto: il capitalismo finanziario. Il problema da porsi e da risolvere è sempre quello che vale, ad esempio, per il fenomeno dell’immigrazione: finché non asporteremo il tumore, ogni medicina sarà inutile… In primo luogo deve esserci la lotta al capitalismo… Poi, a seguire, in caso di vittoria ci mettiamo seduti ad un tavolino e ragioniamo sugli eventuali nuovi assetti geo-politici. È per questo che mi incazzo sempre quando vedo tanta energia militante disperdersi in battaglie di retroguardia…


Recentemente hai espresso apprezzamenti verso talune prese di posizione di Gianfranco Fini. Che idea ti sei fatto dei suoi ultimi orientamenti politici e culturali?

Non so a cosa sia dovuto il recente ri-orientamento di Fini verso posizioni che un tempo, quando ancora c’era il vecchio Msi e, poi, An, lo trovavano sempre dall’altra parte della mia barricata. Le cose che sostiene oggi Fini (il testamento biologico, la proposta di diritto di cittadinanza agli immigrati regolari, la denuncia e il rifiuto del provvedimento che avrebbe creato i «medici-spia» e i «presidi-spia» contro i clandestini, il richiamo alla laicità dello Stato, il favore da lui espresso al riconoscimento delle coppie di fatto, anche gay, etc…) mi trovano assolutamente d’accordo. Non dovevo prendere atto della sua mutazione politica e culturale perché si è dichiarato antifascista? E perché mai? Io fascista non l’ho mai considerato e credo che non ci si sia considerato mai neanche lui. E non capisco perché da antifascista (Fini) ad antifascista (Berlusconi) debba preferire il secondo al primo, come fa buona parte della destra terminale. In temi di battaglia per i diritti civili non ho dubbi: sto con Fini. Sapendo bene, magari, che domani me lo posso ritrovare a sventolare la più bieca bandiera della reazione. Ma domani è un altro giorno e si vedrà…


Esiste oggi un partito, un movimento, o una personalità che ritieni affine al tuo pensiero?

CasaPound.


«Il Fondo», la tua rivista settimanale online, sta esprimendo una linea di trasversalità e di dialogo, con contributi di scrittori e intellettuali di diversa connotazione politica. Che cosa ti aspetti da questa esperienza e quale messaggio intendi lanciare?

Mi interessa esplorare spazi di discussione inevasa. Lo sto facendo. Continuerò a farlo. Fate di quel che faccio l’uso che volete. Non vedrò la nuova alba. Il domani appartiene a VOI…



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4 commenti:

  1. Interessanti spunti di riflessione, soprattutto sul concetto di "identità". Ma quindi per Miro non esisterebbe un'identità italiana o europea? E se sì, dove la si rintraccia?

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  2. Non mi seembra di aver scritto che non esiste identità italiana e europea.

    Ho scritto che la nostra identità non è messa in discussione dai flussi migratori che in stragrande maggioranza hanno la nostra stessa identità biologica indo-europea.

    E che non la vedo minacciata nemmeno dall'immigrazione islamica, stante il fatto che dobbiamo proprio ai mille anni di dominazione europea molti dei nostri modi identitari.

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  3. Perfettamente daccordo su questi due punti.
    A dir la verità la domanda era posta più per provocare una risposta. Mi incuriosiva la tua posizione riguardo all'allagrmaneto del diritto di cittadinanza, quando affermi:

    "Io non conosco altra strada che il riconoscimento dei diritti...etc"

    Sono convinto che vi sia una necessità di gestire l'attuale presenza di immigrati con politiche atte a tutelarli dal lavoro alla libertà religiosa, ma sono scettico che la cittadinanza possa favorirli in questo. E senza fare analisi particolari mi vengono in mente le baunlieu parigine, dove gli mmigrati di 3a e 4a generazione sono tutti cittadini e vivono di puro assistenzialismo statale. Lo scoppio delle rivolte come sappiamo non aveva nulla a che fare con la questione religiosa.
    Penso che da extracomunitari o da immigrati regolari godano di più privilegi del cittadino italiano, e che guadagnare la cittadinanza possa essere per lo più uno svantaggio. Ho l'impressione che, anche se cittadini, verrebbero ugualmente sfruttattati a livello lavorativo, e umiliati sul piano religioso, come di fatto avviene per svariati cittadini di origine araba, per esempio.
    La cittadinanza breve mi sembra un provvedimento rischioso che andrebbe più che altro ad intruppare file di immigrati come ascari dei partiti in crisi della sinistra o come oggetti privilegiati della Chiesa cattolica, ed a sminuire ulteriormente un diritto (che non prevede più doveri) che pare non avere più alcun valore a causa delle derive universaliste.

    Mi chiedevo quindi dove rintracciassi maggiormente la nostra identità, se a livello culturale, sprituale, o altro.

    Ti ringrazio per la risposta.

    Alessandro

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  4. Sono arrivato fino a qui da: Viaggio a Cuba

    http://stgrunk.spaces.live.com/blog/cns!60586ACA0920C73F!389.entry

    e da fotografo ho invidiato le foto verbali del viaggio.
    Tento di spiegarmi meglio, il racconto descrive Cuba mille volte meglio delle mie fotografie.
    Io ho cercato di dare un piccolissimo contributo alla comprensione dello spirito di Cuba
    http://www.youtube.com/watch?v=OzeU7QxvPjY
    ma mi sono reso conto della piccolezza (mi si passi il termine)rispetto all'artico di Rezaglia.
    Ho digerito il rospo dell'invidia ma una cosa cosa non riesco a inghiottire.
    Come c...o fai a definirti fascista e castrista.
    Con simpatia.
    Franco

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