mercoledì 20 gennaio 2010

Intervista a Francesco Mancinelli

L’AVGVSTO inizia oggi un ciclo di interviste a personalità con storie e percorsi diversi ma con un minimo comune denominatore: la Politica. Il primo contributo è quello di Francesco Mancinelli – che ringraziamo per la disponibilità –, cantautore e pensatore eretico, autore – tra le altre della celebre canzone Generazione ’78.




(F. MANCINELLI, Generazione ’78)


Domanda a bruciapelo: quali sono i miti, gli autori e le esperienze che consideri parte integrante del tuo bagaglio politico-culturale?


Domanda quanto mai complessa. Diciamo che accanto al pantheon tradizionale dei vari Nietzsche, Evola, Jünger, Guénon, nella mia formazione convivono stranamente elementi di neo-cripto-catarismo (alcuni li chiamerebbero anarchici o comunisti spirituali, ma solo per coloro che non hanno occhio nel capire), approfonditi ad esempio attraverso la poesia musicale di De André e Guccini, ma presenti anche in tutta la canzone d’autore degli anni ’70; pesco anche nella visione profonda ed essenziale di P. P. Pasolini. Il tutto viene poi condito dal riferimento assoluto ai temi della «Paganitas», soprattutto quella romano-italica, nonché alle tematiche esoteriche, uno degli amori di gioventù.

Poi, per chi semplicemente riesce a ricavare dagli sguardi e dall’intuizione «la propria via», il proprio destino, direi che Codreanu e «Che» Guevara rappresentano, nei loro sguardi essenziali, la sintesi perfetta del mio background politico e culturale. Comunque, andando a scavare c’è dentro veramente di tutto, ed è quasi impossibile anche per me farne una organica sintesi. Anzi direi che sono in-organico per definizione.


Risorgimento italiano. Ultimamente ferve il dibattito su questa pagina controversa della nostra storia. Tu hai parlato spesso di «Risorgimento tradito», potresti approfondire il concetto?


Di Risorgimento tradito ne parla ampiamente uno dei massimi cronisti della Storia Risorgimentale (protagonista oltreché cronista): Giuseppe Cesare Abba. Uno che capì molto prima di molti altri (prima dello stesso Gramsci e anche di Carlo Alianello) il binario morto su cui si era avviato il nostro moto di liberazione. Si stava codificando dal 1849, dopo la fine della Repubblica Romana, il teorema velenoso del trasformismo delle nuove classi dirigenti, per mancanza e volontà di strappi tragici ed irreversibili all’interno del tessuto sociale e culturale della nazione nascente.

Serviva un sacrificio iniziale di purificazione, alla Romolo e Remo per capirci, la famosa guerra civile di liberazione anziché le false guerre Internazionali teleguidate da potenze straniere (tre guerre d’Indipendenza che non hanno costruito niente in termini di coscienza civile e nazionale). Ma purtroppo tra noi italioti, estranei perfino alla rivoluzione protestante, i Giacobini non sono mai stati veri Giacobini, ed i legittimisti del vecchio ordine (a parte le frange eroiche dell’ultimo Brigantaggio borbonico post-unitario) erano già imborghesiti e pronti per un salto di ricollocamento nella nuova gestione post-unitaria, ed in chiave moderata-liberale. Potremmo dire che i due laboratori controrivoluzionari per eccellenza (Vaticano e Savoia piemontesi) hanno ucciso lo spirito «Pagano-Insurrezionalista» di Pisacane e di Mazzini, dei fratelli Bandiera, ed infine ridimensionato ed esiliato il mancato console-dittatore Giuseppe Garibaldi; hanno festeggiato insomma la solita normalizzazione oligarchica: da un lato sul corpo dei nostri martiri e dei patrioti caduti, considerati come feccia eversiva, e dall’altro sul genocidio ed il massacro premeditato del Sud Italia.

Se si vuole capire come si arriva a Caporetto, a Badoglio, e poi Fini o Alemanno in Sinagoga, bisogna partire da Cavour, dal Piemonte e dalle sue lobby illuminate, e/o dal potere millenario e conformista del Vaticano. Neanche il Fascismo riuscì a sradicare la controrivoluzione dei gattopardi trasformisti, degli ordini autocratici antinazionali (gesuiti e massoni in testa), il cancro atavico delle nostre classi dirigenti riconvertite all’apparato e alla decadenza.


Può il Fascismo essere considerato il completamento del Risorgimento?


Un altro tentativo (mancato) del completamento risorgimentale? Sicuramente sì. Un tentativo evocato soprattutto con l’intuizione della prima guerra mondiale come Evento Rivoluzionario che doveva finalmente modificare antropologicamente il soldato politico italiano, trasformandolo in una macchina da guerra contro la borghesia; con il Sindacalismo Nazionale che voleva espropriare l’apparato statale e produttivo dai suoi aguzzini-parassiti, con San Sepolcro ed il suo programma di sfida ai vecchi ordini, con Fiume e la Sua gioventù pronta a tutto.

Ma già il 1922 segna a mio avviso un arretramento di posizione (anche sul piano iniziatico e culturale). Forse si doveva cavalcare la Via Immanente ed intransigente dell’Imperialismo Pagano.

Invece si è finiti nella tappa consociativa (catto-nazionale), considerata da molti necessaria, e connivente con i «vecchi ordini» dell’antinazione, tappa che il fascismo ha pagato a caro prezzo per tutto il corso del regime, e con due “cambiali” scadute: una il 25 luglio e l’altra l’8 di settembre.

Bisogna attendere la RSI per recuperare lo spirito della Repubblica Romana e di Carlo Pisacane.

Questo non ha impedito tuttavia al Fascismo di proporsi come Rivoluzione Immanente dentro lo Stato, grazie alla grande figura di Mussolini (altro console-dittatore mancato a mio avviso!), di Gentile, di Rocco. Tuttavia se vogliamo ri-percorrere a ritroso le radici della «Tentazione Sinistra» (come la chiamo io!) bisogna capire come il mancato Risorgimento e l’incompiutezza del Fascismo siano da sempre concetti interconnessi.


Caso Matteotti. In una recente conferenza a CasaPound avevi accennato al suo delitto come ad un tentativo di intralciare l’avvicinamento di Mussolini ai socialisti. Potresti approfondire il tuo pensiero in proposito?


Esistono ormai illustri studiosi ed opere che hanno teorizzato il delitto Matteotti come vera e propria congiura internazionale contro Mussolini, una strategia della tensione ante litteram per capirci. Tra coloro i quali hanno sempre sospettato sul “fattaccio” c’è stato Nicola Bombacci, che ebbe il compito durante la RSI di capire chi erano i mandanti, che erano per l’appunto da ricercare tra i luogotenenti dei potentati internazionali, insomma dentro la «destra» infiltrata nel Fascismo. D’altra parte sia l’internazionalismo comunista che le «destre» temevano da sempre la convergenza tra socialismo storico e fascismo, sia sul tema sociale che sulla prospettiva politica. Entrambi sarebbero rimasti spiazzati da un nuovo ordine «Et Et» per capirci. Ogni volta che si determinano strane ed eretiche convergenze in Italia, scatta sempre qualcosa che non permette all’eresia di attecchire.


Destra e sinistra nel Fascismo. Quale è stato il rapporto tra queste due «anime» durante il Ventennio? Quale il loro lascito?


Per quanto mi riguarda la «destra» ha infiltrato pesantemente il fascismo (e/o la sinistra nazionale) e gli ha tramato contro, lo ha depistato. E questo nonostante che lo stesso Regime avesse in Sé sani anticorpi (tra cui lo stesso Mussolini) per sradicare lentamente ed in maniera indolore la mala pianta. La guerra ha impedito che il lavoro fosse ultimato, soprattutto con l’avvento della «seconda generazione», quella già fascistizzata ed immune dai valori e pruriti controrivoluzionari.
Ma i vecchi ordini, le lobby e l’apparato autoreferenziale ed auto-conservativo l’ha fatta franca ancora una volta, non solo depistando il Fascismo, ma – peggio ancora – gettando le premesse anche per la «deviazione del neofascismo a destra alla fine della guerra»; un neofascismo preso in ostaggio per conto del nemico, un ostaggio che non siamo più riusciti a liberare.


Una certa vulgata recita che «Mussolini ha fatto bene all’Italia fino all’alleanza con Hitler». Quanto c’è di vero in questa affermazione?


Queste sono le solite vulgate della «destra liberale e moderata», che avrebbero voluto un fascismo alleato e complice delle potenze occidentali, vere responsabili della guerra. O peggio ancora il fascismo come variabile dell’ideologia liberale, un interregno necessario in funzione semplicemente anticomunista. Io rispondo in maniera provocatoria che forse Mussolini si doveva dedicare proprio alla «pulizia interna», piuttosto che alla guerra internazionale di liberazione; ma la guerra con le potenze del mare e con le «democrazie plutocratiche» era inevitabile. È sempre inevitabile da parte di tutti. Forse il vero errore l’ha compiuto Hitler: evocare-anticipare lo scontro con Stalin senza prima aver “regolato” definitivamente l’Inghilterra.


’68. Se non ci fosse stato l’intervento reazionario del MSI, sarebbe stata veramente possibile una contestazione giovanile trasversale?


Non so se sarebbe stata possibile. Sarebbe stata tuttavia auspicabile. Ma è ovvio che maggioranze silenziose e picchiatori al soldo del Viminale funzionano sempre bene (a destra e a sinistra), e per disinnescare (ancora una volta) una pericolosa ed eretica opportunità di convergenza. Sicuramente sarebbe stato tutto meno conflittuale all’interno degli anni ’70 e la strategia della tensione avrebbe dovuto intraprendere altre piste per stabilizzare la politica, o meglio per de-stabilizzare la società civile con una guerra civile strisciante e sporca.


Quanto c’è di simile tra il movimento del ’68 e la manifestazione anti-Gelmini prima degli scontri di Piazza Navona?


Direi che il ruolo e la furbizia delle «guardie» è stato lo stesso che nel marzo del 1968. Direi anche che, ancora una volta, scocciava a certa «destra iper-istituzionalizzata e codina» che i ragazzi del Blocco Studentesco marciassero alla testa della manifestazione anti-Gelmini a fianco dei coetanei della sinistra radicale. Insomma da destra e da sinistra hanno mosso le loro pedine di provocazione come sempre. Il clima antisessantotto delle frange pidielline, alimentato da pericolosi articoli sui giornali e dai convegni antisessantotto da un lato, e le provocazioni innescate dai Rash e dai nonni pensionati di Rifondazione Comunista dall’altro, nonni che non potevano permettere ai Fascisti del Terzo Millennio di gestire la piazza. Grazie al solito comportamento ambiguo e direi “stabilizzante” delle forze dell’ordine si è permesso lo «scontro» davanti alle telecamere. Le guardie si sono de-filate all’ultimo momento per favorire l’impatto.
Tutti contenti, a destra e a sinistra, che si fosse tornati alle vecchie contrapposizioni, alle bastonate e alla teoria degli opposti estremismi, prassi che ha dato da mangiare sempre a molti.


Anni di piombo. Quali i miti da sfatare, le logiche ed i protagonisti occulti di quel periodo?


Il primo mito da sfatare è che ci fosse in atto uno scontro tra Est ed Ovest. Lo scontro vero, dai primi degli anni ’60, è stato tra la componente trotskista-internazionalista, progressista e neo-capitalista del sistema occidentale (falsamente considerata come sovietico-comunista) e la Sua controparte atlantico-reazionaria, cioè un regolamento di conti tutto interno all’Occidente ed ai suoi potentati politici ed economici, i suoi Think Tank. L’altra variabile era lo scontro che si stava innescando tra Nord e Sud, con in più la variabile impazzita della bomba medio-orientale, innescata soprattutto in Europa dalle varie intelligence.

Il neofascismo, preso in ostaggio a destra dal ’46 proprio dalla componente reazionario-atlantica (anticomunista), è stato per 45 anni terreno di scontro tra coloro i quali volevano tenere bloccato lo strumento in funzione semplicemente anticomunista, per conto degli alleati atlantici e della DC, e coloro i quali hanno cercato invece di «liberare lo strumento», con un assalto disperato al cielo, per ridargli la sua valenza originaria antisistemica.

La stessa Destra Radicale ad es., che si era distaccata in modo critico dal neofascismo parlamentare sul piano dell’analisi, nel 1965 subì però un’infiltrazione pesantissima ad opera dei servizi degli apparati atlantici con il famoso convegno all’Istituto Pollio e le tentazioni golpiste di fine anni ’70. Il giocattolo si ruppe, proprio a metà degli anni ’70, dopo la crisi del Kippur e con il decollo della Trilateral. Là si scoprirono i giochi ed iniziarono gli anni di piombo con tutte le dinamiche correlate: quelle di accelerazione o di provocazione (strategia della tensione e lotta armata), quelle di compensazione (i Think Tank europei trotskisti e neocapitalisti che infiltrano i gruppi dell’estrema sinistra anche in funzione antisovietica oltreché antiatlantica) e quelle plebee di ricomposizione (la stagione del compromesso storico e della concertazione tra padronato e sindacalismo deviato). In tutto questo c’è una sana rottura di linguaggio, di immaginari e di progetto politico nel nostro ambiente, avvenuto intorno a metà degli anni ’70. Noi siamo i figli di nessuno, partoriti da questo «strappo» antropologico, politico e culturale.


Nella tua celebre canzone Generazione ’78 hai descritto, rivivendole, le passioni e le tragedie comuni a tanti ragazzi del tempo. Quali erano – per come le hai vissute – le ambizioni e i sogni di quei giovani, stanchi del conservatorismo del MSI e decisi a «fare la rivoluzione»?


Già in altri interventi ho messo in evidenza come allora la Nuova Destra, i Campi Hobbit, il movimentismo (TP-Costruiamo l’azione) e la stessa lotta armata dei Nar, non nascono «a destra» ma, come hanno messo ben in evidenza Andrea Colombo e Ugo Maria Tassinari, come rottura irreversibile e contro la stessa destra istituzionale e di apparato. C’è stata una rivolta generazionale complessiva, di chi si è voluto scontrare con la gerontocrazia e l’immobilismo della destra nazionale. E soprattutto contro coloro che già da allora plaudevano alla completa de-fascistizzazione di pensiero ed azione, per ghettizzare il nostro mondo nell’anticomunismo di servizio.


Quanto c’è di vivo e vivace oggi di quel messaggio, di quella visione del mondo che nacque nel Risorgimento, confluì nel Fascismo e che ora è dispersa in mille rivoli?


Bhè una indicazione l’avete data proprio Voi di Augusto Movimento che avete lanciato un immaginario notevole e affascinante, sostenendo che non solo non si è concluso il ’900, ma che in Italia siamo in una sorta di sottociclo pre-risorgimentale, in cui la Nazione è di nuovo presa in ostaggio da vecchi e nuovi ordini molto simili a quelli che scaturirono dal Congresso di Vienna. Ricollocare agli inizi del terzo millennio un «immaginario filo-risorgimentale», imporlo nella comunicazione, significa recuperare l’essenza più originale ed atemporale del concetto di LIBERAZIONE NAZIONALE, mai seriamente compiuta, a cui dovrebbero partecipare le élite più nobili del pensiero anticonformista, quelle più avanzate e mobilitate da sempre esistenzialmente su certi temi. Come allora, c’è bisogno più che mai di una RIVOLUZIONE DA DENTRO su tre vettori: la rifondazione del linguaggio, la proposizione-occupazione degli immaginari di riferimento, un cambio vertiginoso e definitivo della collocazione politica (oltre, fuori e contro la destra).


Che cosa rappresenta e, in prospettiva, può rappresentare una realtà come Casa Pound?


Casa Pound è un progetto avanzato e vincente di «Avanguardia», che si sta sviluppando su tutto il territorio nazionale, l’esperienza concreta che ha strappato finalmente “pezzi di sinistra” alla sinistra, soprattutto nella comunicazione, nel metodo, nel radicamento sociale; è la tentazione di spiazzare il conformismo dei blocchi, e di non farsi ghettizzare nel minimalismo nazional-populista tra le varie destre più o meno radicali; EstremoCentroAlto è un’immagine assolutamente vincente per lo scenario di confronto dentro la post-modernità, soprattutto per lo scenario di scontro sul fronte metropolitano.

D’altra parte ho visto nascere questa “creatura” dal basso, dai primi vagiti del Cutty Sark nel 1997, nelle provocazioni di panico mediatico del gruppo Fahrenheit 451 (a proposito di occupazione degli immaginari!) agli ZetaZeroAlfa, che sono diventati con la loro musica underground l’elemento trainante del progetto umano, alle occupazioni non conformi e alle battaglie sul Mutuo Sociale e sulla proprietà della casa, fino alla Giovinezza dirompente e futur-ardita del Blocco Studentesco. Il solito vero limite di sempre (quello del romano-centrismo) lo si sta superando con il radicamento nelle altre realtà territoriali e regionali. D’altra parte bisogna alimentare e far crescere a tutti i livelli il network della Resistenza, della nostra Resistenza, questa volta una Resistenza vera, al «nulla» che inesorabilmente avanza.


Condividi

5 commenti:

  1. Si può seguire una discussione sull'intervista al relativo topic su Vivamafarka: http://www.vivamafarka.com/forum/index.php?topic=79553.0

    RispondiElimina
  2. grande francesco, come al solito non dice mai banalita'

    l'unico dubbio l'ho su CasaPound.
    spero che le sirene arcoriane non attraino questo bel progetto...

    saluti
    rick

    RispondiElimina
  3. "l'unico dubbio l'ho su CasaPound. spero che le sirene arcoriane non attraino questo bel progetto..."


    Su questo ci dovremo tornare, altrimenti sorgono tediose incomprensioni. Ma ci sarà tempo anche per questo...

    RispondiElimina
  4. Bellissimo, però....nuovi articoli???

    RispondiElimina
  5. Anonimo se te mi fai gli esami ci penso io agli articoli...però me devi mantenè la media che ci tengo...non più di 20!;)

    RispondiElimina