CANTO AUGURALE ALLA NAZIONE ELETTA
(dall’Elettra, secondo libro delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi)
Italia, Italia,
sacra alla nuova Aurora
con l’aratro e la prora!
Il mattino balzò, come la gioia di mille titani,
agli astri moribondi.
Come una moltitudine dalle innumerevoli mani,
con un fremito solo, nei monti nei colli nei piani
si volsero tutte le frondi.
Italia! Italia!
Un’aquila sublime apparì nella luce, d’ignota
stirpe titania, bianca
le penne. Ed ecco splendere un peplo, ondeggiare una chioma...
Non era la Vittoria, l’amore d’Atene e di Roma,
la Nike, la vergine santa?
Italia! Italia!
La volante passò. Non le spade, non gli archi, non l’aste,
ma le glebe infinite.
Spandeasi nella luce il rombo dell’ali sue vaste
e bianche, come quando l’udìa trascorrendo il peltàste
su ’l sangue ed immoto l’oplite.
Italia! Italia!
Lungo il paterno fiume arava un uom libero i suoi
pingui iugeri, in pace.
Sotto il pungolo dura anelava la forza dei buoi.
Grande era l’uomo all’opra, fratello degli incliti eroi,
col piede nel solco ferace.
Italia! Italia!
La Vittoria piegò verso le glebe fendute il suo volo,
sfiorò con le sue palme
la nuda fronte umana, la stiva inflessibile, il giogo
ondante. E risalìa. Il vomere attrito nel suolo
balenò come un’arme.
Italia! Italia!
Parvero l’uomo, il rude stromento, i giovenchi indefessi
nel bronzo trionfale
eternati dal cenno divino. Dei beni inespressi
gonfia esultò la terra saturnia nutrice di messi.
O madre di tutte le biade,
Italia! Italia!
La Vittoria disparve tra nuvole meravigliose
aquila nell’altezza
dei cieli. Vide i borghi selvaggi, le bianche certose,
presso l’ampie fiumane le antiche città, gloriose
ancóra di antica bellezza.
Italia! Italia!
E giunse al Mare, a un porto munito. Era il vespro.
Tra la fumèa rossastra
alberi antenne sàrtie negreggiavano in un gigantesco
intrico, e s’udìa cupo nel chiuso il martello guerresco
rintronar su la piastra.
Italia! Italia!
Una nave construtta ingombrava il bacino profondo,
irta de l’ultime opere.
Tutta la gran carena sfavillava al rossor del tramonto;
e la prora terribile, rivolta al dominio del mondo,
aveva la forma del vomere.
Italia! Italia!
Sopra quella discese precìpite l’aquila ardente,
la segnò con la palma.
Una speranza eroica vibrò nella mole possente.
Gli uomini dell’acciaio sentirono subitamente
levarsi nei cuori una fiamma.
Italia! Italia!
Così veda tu un giorno il mare latino coprirsi
di strage alla tua guerra
e per le tue corone piegarsi i tuoi lauri e i tuoi mirti,
o Semprerinascente, o fiore di tutte le stirpi,
aroma di tutta la terra
Italia! Italia,
sacra alla nuova Aurora
con l’aratro e la prora!
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